Le orde devastatrici di Gog e Magog rappresentano un archetipo tradizionale delle forze del caos che (variamente descritte, ora come giganti, ora come nani, ora come démoni), dopo aver condotto un’esistenza “sotterranea”, in stato quindi di latenza, prorompono nella storia dell’umanità nei tempi ultimi, devastando e distruggendo, prima di essere a loro volta annientate per mano divina. Un archetipo che, di questi tempi di avanzata decadenza, appare quanto mai conveniente riprendere ed approfondire, nei limiti del possibile.
Nella tradizione biblica, ritroviamo il riferimento a questi terribili invasori nel Libro di Ezechiele (nel capitolo 38 si parla dell’esercito distruttore lanciato contro Israele e guidato dal re Gog, “nel paese di Magòg, capo supremo di Mesec e Tubal“) e nell’Apocalisse di Giovanni (XX, 7-8: “Satana sarà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra, Gog e Magog, per adunarli alla battaglia“). Nella tradizione islamica, il Corano (Sura XVIII) specifica che le orde di Gog e Magog riusciranno a penetrare attraverso le fenditure apertesi verso il basso lungo la barriera posta a tutela del cosmo e dell’ordine sacro nei confronti delle schiere infere, la cd. “Grande Muraglia”, edificata da “Bicorne”, misterioso personaggio identificato tradizionalmente con Alessandro Magno. Nella tradizione e nella cosmografia sacra induista, tale barriera ha il connotato di una catena montuosa a forma circolare, Lokaloka, che separa e difende il cosmo (Loka) dal mondo del caos (aloka) e dalle forze demoniache perennemente in agguato, che assumono la denominazione di Koka e Vikoka (evidentemente molto simile a quella di Gog e Magog), demoni gemelli che, secondo alcune fonti, affronteranno Kalki, il decimo ed ultimo Avatara del dio Vishnu, la cui venuta annuncerà notoriamente la fine del presente ciclo cosmico.

Niu-kua ripara lo squarcio del cielo con le pietre colorate (opera di Xiao Yuncong, 1596-1673)
Analogamente, nella tradizione germanica la Terra di Mezzo (Miðgarðr) è protetta dal Mondo dei Giganti da una barriera protettiva costituita da altissime vette, che saranno valicate alla fine di tempi dalle forze del caos per distruggere il mondo. Nella mitologia scandinava il ponte Bifrǫst, il ponte-arcobaleno che collega cielo e terra, crollerà quando arriveranno da sud i figli di Múspell, i distruttori del mondo. Persino nella tradizione cinese troviamo un interessante riferimento simbolico in linea con quanto esposto. Si narra infatti che durante il regno di Fo-hsi (o Fu Xi, Fu-Hi), uno dei tre mitici sovrani cinesi detti “i tre augusti”, un gigante o dio delle acque (da intendersi qui come simbolo di instabilità, della sfera delle passioni, della psiche) dal nome di Gong Gong (si può notare anche qui una certa analogia perlomeno fonetica con Gog e Magog), ebbe una disputa con Zhu Rong, il dio del fuoco, su chi di loro dovesse prendere il trono del paradiso. Ne scaturì una terribile battaglia che si estese dal cielo alla terra, portando distruzione ovunque, durante la quale Gong Gong fece crollare il monte Bu Zhong, montagna mitologica che si riteneva essere uno dei quattro pilastri che separava il cielo dalla terra; a seguire crollarono anche gli altri pilastri, aprendo uno squarcio nella volta celeste, che fece collassare metà del cielo sulla terra: come osservato dallo stesso René Guénon, l’immagine richiama analogicamente le fenditure nella Grande Muraglia. Per riparare il danno, la sorella-sposa di Fo-hsi, Niu-kua (o Niukwa, Nüwa), fuse alcune pietre di cinque colori (allegoria dei cinque elementi, o anche dei quattro punti cardinali e del centro), chiudendo lo squarcio nel cielo (le nuvole colorate nel cielo sarebbero il risultato dell’utilizzo delle pietre colorate); quindi tagliò le gambe della Grande Tartaruga e le sostituì ai pilastri danneggiati. Sempre Guénon osserva come tale “riparazione” dello squarcio/fenditura fosse ancora possibile all’epoca, trattandosi di un periodo collocabile nei primi secoli del Kali-Yuga, mentre ciò sarebbe diventato via via più problematico col passare del tempo (1).
Questo tema può essere interpretato, come sempre avviene nella dottrina tradizionale, su diversi piani di lettura: pertanto, le invasioni delle orde distruttrici possono riferirsi sia ad un piano materiale, anche con una possibile ripetitività storica in senso sempre più regressivo (le stesse invasioni barbariche nell’epoca finale del ciclo romano possono essere intese in questi termini), sia, e soprattutto, ad un piano sottile, psichico, simboleggiando la penetrazione incontrollabile nel mondo delle entità psichiche e malefiche di ordine inferiore, in grado di operare su vari livelli, sia esteriori, sul piano individuale e collettivo delle coscienze, fino a quello interno-iniziatico, in chiave passiva (contraffazione, parodia, finalizzata alla pseudo-iniziazione) o in chiave attiva (contro-iniziazione).
Oltre a René Guénon, anche Julius Evola ebbe modo di trattare l’argomento in oggetto sia in Rivolta contro il Mondo Moderno, che in altri scritti, come, ad esempio, nell’articolo “Sulla caduta dell’idea di Stato”, pubblicato sulla rivista “Lo Stato” nel febbraio 1934, da noi riproposto. Oggi ripubblichiamo invece l’articolo del barone a tema uscito sul “Roma” nel 1956, incentrato soprattutto su una chiave di lettura più storico-concettuale, che vede nello straripamento delle orde di Gog e Magog soprattutto l’avvento del dominio della quarta casta, quella delle masse anonime, collettivizzate e materializzate, nelle società moderne, al tramonto delle fasi precedenti della progressiva caduta dell’idea di Stato. Ma, evidentemente, i piani si sovrappongono, poiché le forze dello psichismo più infero intanto possono penetrare nel mondo in quanto esso si sia predisposto a “riceverle”, preparando la “terra di conquista” per tali forze, vale a dire proprio le masse, lasciate sole a sé stesse, non più guidate e incanalante verticalmente verso l’alto da forze di natura superiore impersonate storicamente da Re, Imperatori, Santi, Pontefici, Guide spirituali e che, illudendosi di potersi auto-gestire, vengono “agìte” e dominate dalle forze infere, di cui ignorano ormai totalmente l’esistenza e la natura.
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di Julius Evola
Tratto dal “Roma”, 22 febbraio 1956
L’essenza di ogni sforzo civilizzatorio e, più in genere, di ogni vero Stato consiste nel dare una forma superiore a tutto ciò che nell’umanità è informe, istintivo, sub-personale, selvaggio, legato all’elemento massa, materia e numero; quindi, consiste anche nel chiudere le vie alle forze che, lasciate a sé stesse, produrrebbero soltanto distruzione e caos. Però queste forze sussistono sempre, frenate, come una latente minaccia, al disotto delle varie istituzioni informate da un principio di gerarchia, di ordine, di giustizia, di spirituale autorità. Nelle antiche tradizioni alla funzione ordinatrice dall’alto si legò sempre il simbolo di un Sovrano, che a seconda dei popoli prende ora l’una e ora l’altra figura, ma che in essenza riproduce un unico tipo o «archetipo». Il punto di partenza può, a tale riguardo, essere una data figura storica. Ma nella immaginazione popolare tale figura nel suo significato di rappresentante della funzione anzidetta non tarda ad assumere tratti mitici che, in una certa misura, la staccano dalla storia e la universalizzano. Ciò è accaduto, per esempio, oltre che ad alcuni sovrani orientali, a Alessandro Magno, a Carlomagno, a Federico di Svevia. L’India aveva già essenzializzato una tale idea in una concezione metafisica, in quella Chakravarti, o «Re del Mondo».

Miniatura persiana del XVI secolo che illustra la costruzione delle cd. “Porte di Alessandro” allo scopo di tenere lontani Gog e Magog dalle popolazioni civilizzate.
Un motivo suggestivo che in un gruppo di antiche leggende si associa a queste vedute riguarda le cosiddette genti di Gog e Magog. La denominazione viene dall’Antico Testamento. In esso tali genti ci sono presentate come orde selvagge chiamate da Dio dal fondo dell’Asia, orde che dopo aver seminato la distruzione in Israele, erano destinate ad essere esse stesse sterminate. Ma l’idea più profonda che si cela in questa figurazione non si riferisce tanto ad invasori stranieri barbari e distruttori quanto, appunto, al substrato oscuro, demonico, selvaggio che, chiuso dentro le forme di una superiore civiltà e di un grande Stato, è sempre pronto a riaffiorare, a emergere distruttivamente in ogni momento di crisi.
Questo significato è già abbastanza palese nelle redazioni bizantine della leggenda di Alessandro Magno. In esse Alessandro sbarra con una muraglia di ferro la via alle genti di Gog e Magog. E questa funzione la vediamo attribuita dal Corano anche a Dhu l-Qurnain, il motivo ripresentandosi poi nelle saghe relative ad una figura che nel Medioevo ebbe una grande popolarità, Giovanni o Gianni, il quale, benché fosse stato pensato come il sovrano di un misterioso regno orientale, pure, in fondo, non è che una delle figurazioni dell’accennata funzione del «Re del Mondo». Il Prete Gianni viene descritto come colui che, fra l’altro, tiene sotto il suo potere le genti di Gog e Magog. Sarebbe facile indicare delle corrispondenze in altre tradizioni; così in quella nordica degli Edda si parla «esseri elementari» – Elementarwesen – e del popolo dei Rimthursi, nemici degli uomini, la cui via è sbarrata da una muraglia che essi cercano costantemente di abbattere.
Ora, nelle leggende di cui parliamo a tutto ciò si associa un tema apocalittico. Un giorno la muraglia cederà, le genti di Gog e Magog proromperanno, un tale giorno nelle forme cristianizzate della saga venendo identificato, di solito, a quello della venuta dell’Anticristo. Un dettaglio è interessante: l’emergenza avverrà nel momento in cui le genti di Gog e Magog si accorgeranno che le trombe già suonate da coloro che custodivano la muraglia protettrice suonano ancora, ma solo perché vi soffia il vento, in realtà non essendovi più nessuno a suonarle. È questo, un simbolo profondo: le masse si scatenano quando si accorgeranno che, in realtà, i rappresentanti dell’opposto principio sono una semplice sopravvivenza, che nulla più sta dietro la loro voce: solo il vento. Con l’irruzione di là dalla muraglia verrà anche l’ora delle decisioni ultime.
Infatti ancora un tema prende forma in queste saghe: il tema dell’«ultima battaglia». Si parla di un rimanifestarsi di colui che già era stato il rappresentante delle forze dall’alto, l’infrenatore delle forze del caos: figura questa, spesso data nei tratti di un Re o eroe che si credeva morto, che invece solo «dormiva» o si era ritirato in una sede invisibile. È lui che affronta le genti di Gog e Magog, o altre forze aventi lo stesso significato, e combatte l’«ultima battaglia». Se prese nel loro insieme, le saghe dei «tempi ultimi» lasciano problematico l’esito. L’ultima battaglia può essere vinta, ma può essere anche essere perduta. Il rinato «Federico» può vincerla, facendo rinverdire l’Albero dell’Impero (quello stesso di cui parla anche Dante). Però la saga sa anche di un «Alessandro» o di un «imperatore romano» che si desta dal Sonno, ma dopo un breve regno deve alla fine restituire la corona al Signore, lasciando che il fato si compia. E nell’antica saga nordica il motivo del «crepuscolo degli déi», del ragna-rökkr, così bistrattato da Wagner, ha un non molto diverso significato.
Tutti questi motivi leggendari racchiudono un significato profetico profondo abbastanza visibile. Oggi le genti di Gog e Magog rappresentato, in ultima analisi, le masse senza volto, il regno della quantità, l’umanità collettivizzata e materializzata, l’anti-Stato affermato dal fronte della sovversione mondiale. L’epoca moderna – l’epoca del «progresso» – ha conosciuto la loro emergenza a marea, il loro travolgere via via ogni istituzione basata su di un superiore principio di sovranità, di gerarchia e di autorità, il loro scalare le strutture di uno Stato degradato, il loro tendere al dominio della terra. E l’«ultima battaglia» della leggenda, col suo enigmatico esito è assai meno una finzione apocalittica che non la realtà di ciò che un non troppo lontano futuro assai verosimilmente ci riserva.
Nota redazionale
(1) Si legge ne “Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi” (§ 25): “questo episodio si riferisce ad un’epoca la quale è precisamente di qualche secolo soltanto posteriore all’inizio del Kali-Yuga. Soltanto che, quantunque il Kali-Yuga sia propriamente un periodo d’oscuramento, il che ha reso possibile fin dai suoi inizi tale genere di «fenditure», questo oscuramento è certamente lungi dall’aver raggiunto d’un sol colpo le proporzioni che si possono constatare nelle sue ultime fasi, e questa è la ragione per cui le «fenditure» potevano essere a quel tempo riparate con relativa facilità; ciò nondimeno occorreva anche allora che fosse esercitata una costante vigilanza, e questa incombenza rientrava naturalmente nei compiti attribuiti ai centri spirituali delle diverse tradizioni”.
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Nell’immagine in evidenza, “Asgardsreien” di Peter Nicolai Arbo, 1872 (dettaglio), rappresentazione della cd. “Caccia selvaggia”, prefigurazione simbolica nella mitologia nordica della battaglia finale del Ragnarökkr.
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