L’elementare nella musica moderna

Sempre con riguardo al sessantesimo anniversario della pubblicazione di “Cavalcare la Tigre”, proponiamo un altro scritto di Julius Evola che rappresentò una sorta di anticipazione dei contenuti del celebre volume. Dopo l’omonimo articolo pubblicato nell’aprile 1957 su “Il Popolo d’Italia”, il mese successivo, sulla stessa testata, il barone presentava una breve analisi dei cambiamenti riscontrati nella musica occidentale nel passaggio dall’Ottocento al Novecento, fino agli anni in cui Evola scriveva, con un articolo intitolato “Musica «fisica» e jazz”, i cui contenuti, notevolmente sviluppati ed ampliati, sarebbero confluiti in “Cavalcare la Tigre”, nel paragrafo “musica moderna e jazz”, all’interno del capitolo “Il dominio dell’arte – dalla musica  «fisica» al regime degli stupefacenti”. Evola osservava i profondi mutamenti in senso dissolutivo della musica sinfonica, passata dalle strutture melodrammatiche ed eroico-romantiche del wagnerismo, e tragico-patetiche tipiche di Beethoven, a forme più “cerebrali” e, soprattutto, “fisiche”, in cui la musica diventava “puro ritmo, dinamismo sonoro in atto, impulso all’azione”, e la musica-canto e la musica “patetico-emozionale” venivano sostituiti dalla musica-danza.

Tale dissoluzione, legata in qualche modo allo sprigionarsi di forze elementari, come accaduto in tutti gli altri dominii, poteva condurre potenzialmente ad esiti liberatori in senso superiore, o distruttori-disgregatori in senso inferiore. Esattamente come con la progressiva perdita della forma nell’arte (Evola notava, a proposito della disintegrazione della forma: “l’uno è il distruggerla e il retrocedere in ciò che sta prima della forma, nell’informe, l’altro è l’andare di là da essa, il passar, cioè, a ciò che alla forma – e in un certo senso anche alla ’bellezza’ nell’accezione più corrente e convenzionale – è superiore), con la guerra (in cui la liberazione e lo scatenamento di forze elementari potevano far retrocedere nel subumano, o condurre alla sublimazione del proprio ego), la tecnica, la sessualità, la riscoperta del contatto con l’elementare in natura (montagna, mare, volo).

Louis Armstrong, uno dei più famosi musicisti jazz del Novecento

Nella musica sinfonico-melodica, la dissoluzione delle precedenti forme aveva condotto da una parte alla musica atonale, riportando “il suono allo stato puro e libero”, “quasi una specie di attivo nichilismo musicale” (cit. da “Cavalcare la Tigre”), per poi, con la dodecafonia e la post-dodecafonia, ricercare un nuovo ordine, “una nuova legge astratta, fuori dalle leggi della precedente armonia”, che generò forme estreme di rarefazione, tecnicismo ed astrazione formale, paragonabili alle forme più estreme della fisica moderna o del surrealismo artistico, con una completa dissoluzione nell’informe, nell’espressionismo esistenzialistico. Dall’altra parte, quella dissoluzione aveva portato a sondare il terreno di nuove aree sonore ultronee rispetto alle sonorità tradizionali, ad esempio nel campo della musica elettronica, che all’epoca cominciava ad affacciarsi con qualche prima forma di ricerca, e che avrebbe trovato forma compiuta una decina di anni dopo, con l’avvento del famoso gruppo tedesco dei Kraftwerk, pionieri della musica elettronica negli anni Settanta.

Nell’ambito della musica extra-sinfonica, più aperta alle masse, Evola osservava gli esiti della musica-danza nel jazz, e nelle forme da esso derivate o ad esso collegate (hot, bebop, cool jazz, free jazz, lo stesso rock and roll), fino a sfiorare la musica dei primi complessi beat. Anche in tal caso, l’affioramento dell’elementare (peraltro derivante da richiami alle forme ritmiche e sincopate non riprese dal folclore tradizionale europeo, ma da quello africano o afroamericano) non sembrava condurre ad aperture verso l’alto, ma, in un contesto ormai desacralizzato, a regressioni, dissociazioni verso l’informe, il frenetico e l’isterico collettivo.

Sarebbe stato interessante verificare le osservazioni di Evola sugli sviluppi che la musica avrebbe avuto nei decenni successivi, sia quella post-sinfonica e post-classica che quella “leggera” e pop-rock, con “evoluzioni”, involuzioni, ritorni e contaminazioni, e con una progressiva frammentazione in mille generi e sottogeneri, fusioni infinite tra tipi “seminali” (blues, rock, jazz, country, ecc.) e sottotipi, in una sorta di folle “genderismo” in salsa musicale, dove influssi sottili-psichici di varia natura, sempre più spesso realmente demonici, avrebbero preso il sopravvento, in forma individuale o per lo più collettiva, incanalati da un certo clima di progressiva desertificazione spirituale.

Le ritmiche “fisiche” sincopate e primordiali che Evola cominciava a notare nel jazz e nei suoi primi derivati, avrebbero ad esempio trovato forme ulteriormente “evolute” nel funk, nella disco, nella house, nel rap, nell’hip-hop, nel dubstep e infine nel trap odierno, su cui molto il barone avrebbe avuto da dire. Il rock classico avrebbe prodotto, poi, “indurendosi”, l’hard rock e l’heavy metal. La fusione tra musica e droga si sarebbe ulteriormente rafforzata, con l’avvento della musica psichedelica, all’interno dei vari generi, finalizzata esplicitamente a liberare l’Io ed espandere la coscienza (argomento già affrontato dal barone), con i suoi sviluppi successivi ad esempio nell’acid e nella trance, e nell’ossessione dei rave party. L’elettronica avrebbe continuato a “progredire” sul piano tecnico, fondendosi con altri generi musicali. Il progressive rock (nei suoi molteplici sottogeneri, come lo space rock di atmosfera, la kosmische Musik tedesca, con contaminazioni elettroniche) avrebbe proposto una sorta di neo-classicismo nella musica pop, cui sarebbe seguita la distruzione di queste strutture (poi ritornate con il cd. neo-prog) con l’avvento del punk iconoclasta, cui sarebbe succeduto il post-punk e l’alba di un’epoca particolare, per la quale, del pari, il commento di Evola sarebbe stato interessante, caratterizzata dall’avvento della cd. new-wave, della cold wave, del gothic, del dark, dell’elettronica rarefatta dei sintetizzatori (elettro-pop, synth-pop, EBM, ecc.), fino poi al folk e neo-folk europeo, all’indie rock, al mistero del trip-hop, e così via. Anche la cd. ambient music avrebbe stimolato commenti di vario genere in Evola, considerandone le sonorità atmosferiche, lente, dilatate, evocative: un genere trasversale che dal Novecento fino ai tempi nostri ha veicolato sonorità e contenuti talvolta più interessanti e potenzialmente in grado di ridestare anche forme di interiorità o di spiritualità, talaltra più “pericolosi”, per via di contaminazioni equivoche, anche in salsa new-age o peggiori, fino alla strumentalità dilatata dell’ultimo post-rock.

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di Julius Evola

tratto da “Il Popolo d’Italia” del 18 maggio 1957

Quello della musica è uno dei dominii ove spesso si riflettono le trasformazioni generali che hanno luogo nello sviluppo di una civiltà. Così le stesse forme assunte dalla musica contemporanea hanno un valore simbolico e forniscono più di un indice utile per chi cerca di cogliere le caratteristiche dei tempi nostri.

Richard Wagner

A tanto, bisogna però rifarsi un po’ indietro. In genere, la musica occidentale più moderna ha presentato un rivolgimento tutto particolare, designabile come un distacco sempre più netto dalle precedenti forme sia melodrammatiche ed eroico-romantiche (la linea caratterizzata dal wagnerismo), sia tragico-patetiche (basterà riferirsi all’elemento che predomina in Beethoven). Questo distacco sé è effettuato per due vie, solo in apparenza opposte.

La prima è l’intellettualizzazione, nel senso che in tale musica moderna l’elemento cerebrale prevale, a scapito della spontaneità, dell’immediatezza e del sentimento – tanto, che su tal linea delle costruzioni ritmico-armoniche astratte sembrano spesso divenire scopo a sé stesse. In secondo luogo è il carattere fisico di un’altra importante corrente della musica più moderna. Con questo termine, usato da Savinio, s’intende caratterizzare una musica (sinfonica) divenuta prevalentemente descrittiva, tornata in un certo modo alla natura, distoltasi sempre più dal mondo soggettivo, dal pathos umano, per trarre dal mondo delle cose, delle azioni e degli impulsi elementari i suoi principali temi di ispirazione. Questa seconda tendenza prese già inizio con la scuola russa (Rimsky-Korsakoff, in parte Mussorgsky e Borodin) e con gli impressionisti francesi (Debussy, Ravel), avendo per suo limite composizioni, come il Pacific 205 di Honnegger e le Fonderie di Acciaio di Mossoloff.

Tale direzione spesso s’incontra con la prima, quando l’intellettualismo delle pure costruzioni ritmiche conduce alla evocazione di qualcosa di elementare, di appartenente meno al mondo umano passionale e romantico che non al substrato delle pure forze di natura. Per caratterizzare questo stadio basterà citare lo Strawinsky del primo periodo che si concluse con la Sagra della Primavera. Qui il superamento della musica ottocentesca è pressoché completo: la musica diviene puro ritmo, dinamismo sonoro in atto, impulso all’azione, «musica pura» ma in un ritorno all’elemento menàdico.

Donde un particolare risalto di tutto ciò che è danza. La tendenza della musica-danza a sostituire la musica canto è, in effetti, un’altra tendenza delle caratteristiche di gran parte della corrente in discorso.

E qui cade la considerazione di forme, che in origine, prima di un Gershwin, non erano contate nella musica seria, ossia del jazz. Sia pure su di un diverso livello, il jazz si inserisce nella stessa corrente, se lo si considera alla stregua del puro elemento ritmico e sincopato, staccato dai residui melodici di musica a canzonetta. In questo suo aspetto, il jazz è parimenti una musica «fisica»; è una musica che poco si ferma all’anima per comunque parlarle, ma che passa direttamente a incitare e muovere il corpo: ciò, in un senso diverso da quanto è stato proprio ad ogni precedente danza civilizzata per via di un carattere antisentimentale, primitivo, quasi meccanico e parossistico del jazz (recente caso tipico: il rock and roll). E la diffusione pandemica, la popolarità di una musica siffatta sono significative.

Bebop: Howard McGhee, Brick Fleagle e Miles Davis (1947)

Tale significato lo si può raccogliere nel jazz prima di alcune sue forme ultime, barocche, di scomposizione solistica nell’hot e nel be bop e, naturalmente, non riguarda ciò che sperimenta e sente la gran massa di coloro che ballano. A quest’ultimo proposito, i pareri possono divergere. Si può deprecare l’orientamento primitivizzante del gusto moderno; ma esso, col jazz, sembra essere coessenziale all’attuale civiltà quanto tutto ciò che è tecnica e meccanizzazione. D’altronde, da un punto di vista superiore, è per tutto quel che abbiamo chiamato «musica fisica» in genere che bisognerebbe porre il problema. Nietzsche, dopo essersi trovato in una tempesta fra i monti, ebbe a scrivere: «Quanto sono belle queste pure forze di natura non ancora macchiate dallo spirito!», per «spirito» intendendo, a modo suo, abusivamente, tutto ciò che è molle, sentimentale, soltanto umano. Ebbene l’elemento «fisico», non nel senso volgare del materialismo, del naturalismo o del «verismo», bensì nel senso di un contatto con forze elementari e libere della realtà, può essere il principio di una liberazione.

Un’ultima considerazione riguarda l’esperienza atonale e dodecafonica della musica contemporanea, perché, seppure su di un piano diverso, essa riporta alla stessa situazione. Dopo l’esasperazione cromatica presentata, dal punto di vista tecnico, da una musica come quella di Wagner e via via fino a Richard Strauss e a Scriabin, con la musica atonale si è abbandonato ogni residuo dell’ordine tonale tradizionale riportando, per così dire, il suono allo stato puro e libero. In un secondo tempo, con la dodecafonia si è però cercato di costruire, di la da questa crisi, un ordine nuovo. Assunti tutti i dodici suoni della scala cromatica senza più distinzioni gerarchiche, quindi si è sforzati a dare ad essi una nuova legge formale astratta, fuor da tutte le formule della precedente armonia.

Che questa corrente abbia finito col prendere orientamenti problematici, le forme cromatiche e timbriche di un von Webem rassomigliando alla disgregazione del jazz nell’hot dei solisti, ciò poco toglie al significato simbolico di tale esperienza, che a suo modo incorpora gli stessi significati dianzi accennati. Sono significati che riportano più o meno alle trasformazioni in corso nella nostra civiltà e al suo problema centrale.

Si è in un periodo di dissoluzione. Tutto ciò che si lega al mondo ottocentesco, ai suoi valori culturali e al suo modo di vita, non sembra che possa essere mantenuto. Forze elementari si ridestano. Che ciò conduca a situazioni soltanto distruttive e regressive, ovvero che sia il possibile principio di una liberazione, è cosa che dipende da quel che l’uomo di domani saprà chiedere a sé stesso. Si tratta di concepire una legge nuova avente per premessa – per pericolosa premessa – delle energie libere, spirituali e fisiche, in un mondo di pura realtà.

Nell’immagine in evidenza, i Doors di Jim Morrison



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