L’ideologia della contestazione

di Adriano Romualdi

tratto da “Il Conciliatore”, marzo-aprile 1970 (“CONTESTAZIONE CONTROLUCE“); segue dalla parte precedente “Riforma universitaria o carnevale ideologico?”

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2. L’ideologia della «contestazione»

«Potere studentesco»è una formula mitica che si inserisce in un certo mito generale della vita, un mito di cui fan parte il «potere negro» e la LSD, Fidel Castro e la pillola, Che Guevara, Marcuse e la zazzera.

Questa mitologia d’una borghesia putrefatta che spera nella «rivoluzione», per conquistare sempre nuovi paradisi di libertà e sudiciume, non è in nessun modo una antitesi al sistema, ma solo l’evoluzione interna del sistema verso la sua inevitabile conclusione: la putrefazione dei popoli di razza bianca e il tramonto dell’occidente. Gli occupanti pretendono di lottare contro la società, ma i loro miti, il loro costume, il loro conformismo sono precisamente quelli di questa società contro cui dicono di battersi.

Allen Ginsberg (1926-1997), celebre poeta “beat” statunitense

Dicono d’essere contro lo stato, e la televisione di stato li adula e li vezzeggia, dicono d’essere contro il governo, e i socialisti al governo li proteggono, dicono di costituire un’alternativa ai tempi, ma le loro chiome, gli abiti, gli atteggiamenti, (le) loro folk-songs, le loro donnine beat, sono quanto di più consono allo spirito dei tempi si possa immaginare. Si atteggiano ad «antiamericani», ma sono marci di americanismo fino al midollo: le loro giacche, i loro calzoni, i loro berretti, sono quelli dei beatniks di San Francisco, il loro profeta è Allen Ginsberg, la loro bandiera la LSD, i loro folk-songs quelli dei negri del Mississipi, la loro patria spirituale il Greenwich-Village. Sono marxisti, ma non alla maniera barbarica dei russi o dei cinesi ma in quella particolare maniera in cui è marxista un certo tipo di giovane americano frollo di civiltà. Proclamano il «collegamento con la classe operaia», la «giuntura tra la semantica della rivendicazione studentesca e la dialettica del mondo operaio», ma nulla più del loro snobismo è remoto dall’animo dei veri operai e contadini, nessuno più di questi pulcini usciti dall’uovo d’una borghesia marcia è lontano dalla mentalità di chi deve lottare con le più elementari esigenze. Il loro problema è la droga; quello degli operai, il pane.

Poiché questo è l’aspetto sociologico della questione: non si tratta in nessun modo della lotta del proletariato studentesco contro un sistema universitario sotto tanti aspetti così arretrato, cosi povero di reali agevolazioni per gli studenti bisognosi senza case dello studente, senza mense universitarie, senza posti letto per chi venga da fuori. E’ piuttosto la sommossa d’una minoranza di intellettuali da salotto, di giovani e ricchi borghesi che rompon la noia d’un’esistenza troppo facile giocando ai cinesi o ai castristi. Le roccaforti della rivolta studentesca sono state proprio le facoltà snob, come la facoltà di architettura di Roma dove – di fronte ai muri su cui era scritto «guerriglia cittadina» – stazionavano in doppia fila le eleganti auto sportive degli occupanti.

In realtà, l’agitazione studentesca, su uno sfondo di veri problemi e di vere carenze del sistema scolastico non si presta in nessun modo a una interpretazione classista, ma è una tipica sommossa ideologica, che ha alla base delle idee – anzi delle idee fisse – di cui si è andata saturando una certa minoranza. E’ la rivolta di una minoranza di borghesi comunisti allevati nelle serre calde di alcune facoltà tradizionalmente rosse come Lettere, Fisica, Architettura. E’ la rivolta dei capelloni, degli zozzoni, dei bolscevichi da salotto, di una gioventù che, più che bruciata, si potrebbe chiamare stravaccata.

Herbert Marcuse circondato da alcuni dei suoi “discepoli”

Non a caso essi chiaman Marcuse il loro profeta. Che cos’è infatti questo marcusianesimo, spiegato in poche parole? E’ il marxismo ripensato al lume del suo fallimento storico e rilanciato, non più come una teoria scientifica dello sviluppo dell’economia, ma come pura retorica della anarchia.

Marx aveva pensato il suo sistema all’inizio dell’età industriale, quando lo sforzo per l’accumulazione di capitali – necessari a impiantare macchine e fabbriche – aveva condotto a uno spietato sfruttamento delle plebi urbane. Questa concentrazione e questo sfruttamento, secondo la sua profezia, si sarebbero intensificati fino al punto di provocare la rivoluzione degli sfruttati. Successivamente però, il capitalismo si è rivelato in grado di produrre una tale ricchezza da riversarla sull’intera società, con un netto miglioramento delle condizioni di vita della classe lavoratrice. Non il socialismo, non le lotte sindacali – il capitalismo industriale stesso, prima di tutto, ha creato le premesse d’un benessere operaio. Nella più matura società capitalistica, come quella inglese o tedesca, l’operaio non é più un povero proletario che pensa giorno e notte alla rivoluzione secondo i sogni di Carlo Marx.

Ed ecco l’odio contro il «neocapitalismo» – cosi il marxista chiama il capitalismo che si è permesso di tradire le previsioni del profeta – quel capitalismo che, con grande dispetto suo e di Marx, è in grado di arricchire e non di impoverire il lavoratore. Ecco la critica alla «civiltà dei consumi», condotta da quelli che han consumato abbastanza e che «contestano» anche a nome di quelli che non han consumato mai. Ecco Marcuse, il tipo dell’intellettuale marxista che vuol fare espiare alla società il fallimento della sua ideologia e predica la rivoluzione per la rivoluzione, l’anarchia  per l’anarchia. Ecco che all’operaio, integrato nella società borghese e indisponibile per le chiassate marxiste, si sostituisce il giovane blasé, il figlio di papà con la spider e il ritratto dei che sul comodino.

Per un colmo d’ironia, la rivolta studentesca, che ha il marxismo scritto sulle sue bandiere, smentisce proprio la teoria marxista del fondamento economico d’ogni moto politico. La rivolta studentesca è una tipica sommossa ideologica, libresca, sfornata dalle riviste «impegnate», dalla libreria Feltrinelli, come i distintivi di protesta e i ritratti del Che venduti nei grandi magazzini come tappezzeria. Questa rivolta che polemizza con la civiltà dei consumi, è una tipica espressione del «consumo culturale», di un boom librario impiantato sul sesso e sul marxismo, sulla droga e Che Guevara, su Fidel Castro e sulle donne nude.

Da un punto di vista di mercato, il militante del «movimento studentesco» è il tipo medio del consumatore della cultura di protesta, che trangugia ogni giorno la sua razione di quella letteratura marxista, sessuomane, negrafila, che le grandi case editrici gettano sul mercato in quantità sempre maggiori. Il consumatore culturale è progressista, cinese, antirazzista, per lo stesso motivo per cui indossa i blue-jeans e beve Coca-Cola, «consuma» il romanzo cochon o il diario di Che Guevara come si «consuma» una scatola di fagioli o un rotolo di carta igienica, «consuma» la rivolta giovanile che ormai si fabbrica e vende come una qualunque merce.



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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