Seconda parte di “Limitazione dell’exoterismo”, capitolo tratto dalla fondamentale opera “Unità trascendente delle religioni” di Frithjof Schuon. Il metafisico svizzero prosegue nella sua lectio magistralis su natura e caratteristiche del dominio exoterico, riuscendo realmente ad illuminare la mente di chi si ponga con il giusto spirito, la corretta concentrazione e predisposizione alla lettura delle parole di questo grande maestro spirituale, forse non ancora sufficientemente apprezzato e considerato come meriterebbe. E’ inutile soffermarsi troppo sulla presentazione di questa seconda, straordinaria parte del capitolo in oggetto: ci limiteremo a dire che Schuon ci mostra, con cristallina chiarezza, la dimensione relativa dell’exoterismo nella sua pretesa di esclusività, in quanto strettamente funzionale all’effetto salvifico dell’individuo; si sofferma sul concetto altrettanto relativo di Verità riferito alle singole religioni, intese come forme e modalità di manifestazione della unica Verità Assoluta, e quindi come “limitazioni”, la cui apparente distinzione deve essere compensata da un’indistinzione, da una causa sopraformale, e quindi da un’identità che appare relativa su un piano puramente esteriore. E così, ancora, c’è spazio per fondamentali spiegazioni sui Dogmi e sull'”indimostrabilità” degli stessi sul piano puramente exoterico, su Rivelazione e Grazia, sulla Conversione. Da non perdere, come nella prima parte, anche le note dell’autore.
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di Frithjof Schuon
Tratto da “Unità trascendente delle religioni” (cap. II)
segue dalla prima parte
La dottrina exoterica in sé, ossia considerata fuori dell’influsso spirituale che può agire sulle anime indipendentemente da tale dottrina, non possiede affatto la certezza assoluta; perciò la conoscenza teologica non può escludere per sé stessa le tentazioni del dubbio, perfino nei grandi mistici, e quanto alle grazie che possono sopraggiungere in casi simili, esse non sono circostanziali all’intelligenza, in modo che la loro permanenza non dipende dall’essere che ne beneficia; limitandosi a una prospettiva relativa, quella della salvezza individuale – prospettiva interessata che influenza pure la concezione della Divinità in un senso restrittivo – l’ideologia exoterica non dispone di nessun mezzo di prova o di legittimazione dottrinale proporzionato alle sue esigenze. Difatti la caratteristica di ogni dottrina exoterica è la sproporzione tra le sue esigenze dogmatiche e le sue garanzie dialettiche: dato che le sue esigenze sono assolute, giacché provengono da un Volere divino, dunque anche da una Conoscenza divina, mentre le sue garanzie sono relative, giacché indipendenti da tale Volere e fondate non su tale Conoscenza, bensì su una visuale umana, quella della ragione e del sentimento.
Ci si rivolge, per esempio, ai Brahmani per richiedere loro l’abbandono totale d’una tradizione plurimillenaria, di cui innumerabili generazioni hanno fatto l’esperienza spirituale e che ha generato fiori di sapienza e di santità fino ai nostri giorni; le argomentazioni prodotte per giustificare questa esigenza inaudita non contengono tuttavia niente di logicamente concludente, né di proporzionato all’ampiezza dell’esigenza stessa; le ragioni che avranno i Brahmani per restare fedeli al proprio patrimonio spirituale saranno dunque infinitamente più solide per loro di quelle con cui si vuole indurli a smettere di essere quello che sono. La sproporzione, nell’ottica indù, tra l’immensa realtà della tradizione brahmanica e l’insufficienza degli argomenti religiosi contrapposti è tale, che ciò dovrebbe bastare per provare che, se Dio volesse sottomettere tutto il mondo a una sola religione, gli argomenti di questa non sarebbero tanto deboli, né quelli di certi cosiddetti “infedeli” tanto forti; in altri termini, se Dio fosse unicamente dalla parte di una sola forma tradizionale, la potenza persuasiva di questa sarebbe tale che nessun uomo di buona fede potrebbe sottrarvisi. Del resto la stessa parola “infedele” attribuita a civiltà più vetuste, tranne un’eccezione, di quella cristiana, civiltà che hanno tutti i diritti spirituali e storici per ignorarla, fa anche intuire, con l’illogicità della sua ingenua pretesa, tutto quel che c’è d’abusivo nelle rivendicazioni religiose nei confronti di altre forme tradizionali ortodosse.
L’esigenza assoluta di credere in tale e non in altra religione può, infatti, cercare di giustificarsi soltanto con mezzi eminentemente relativi: tentativi di prove filosofico-teologiche, storiche o sentimentali; ora, non esiste in realtà nessuna prova a sostegno di queste pretese alla verità unica ed esclusiva, e ogni tentativo possibile di prova può riferirsi solamente alle attitudini individuali degli uomini, attitudini che, limitandosi in definitiva a un problema di credulità, sono tra le più relative. Ogni prospettiva exoterica pretende, per definizione medesima, di essere la sola vera e legittima, e questo poiché la visuale exoterica, tendente solamente a un interesse individuale, la salvezza, non ha nessun beneficio nel conoscere una verità delle altre forme tradizionali; disinteressandosi della propria verità, si disinteressa anche molto di più di quella degli altri, o piuttosto la nega, giacché la nozione d’una pluralità di forme tradizionali rischia di nuocere alla sola ricerca della salvezza individuale; e questo chiarisce precisamente il carattere relativo della forma che, invece, è d’una necessità assoluta per la salvezza dell’individuo.
Ci si potrebbe però domandare perché le garanzie, ossia le prove di veracità o di credibilità, che la polemica religiosa si sforza di produrre, non provengano spontaneamente dal Volere divino come avviene per le esigenze della religione; ovviamente tale problema ha un senso soltanto se si riferisce a verità, giacché non si possono provare errori; ora gli argomenti della polemica religiosa, appunto, non possono in nessun modo dipendere dalla sfera intrinseca e positiva della fede; un’idea la cui importanza è solo estrinseca e negativa, e che in fondo deriva unicamente da un’induzione – come per esempio l’idea della verità e della legittimità esclusive di una certa religione, oppure, il che fa lo stesso, della falsità e illegittimità di tutte le altre tradizioni possibili – una concezione simile non può evidentemente essere l’oggetto di una prova né divina, né a maggior ragione umana.
Circa i dogmi veri – cioè non derivati per induzione, ma di valore rigorosamente intrinseco – se Dio non ha fornito le prove teoriche della loro verità, questo significa che, in primo luogo tali prove sono inconcepibili e inesistenti sul piano in cui si pone l’exoterismo, e pretenderle come fanno i miscredenti sarebbe una contraddizione vera e propria; in secondo luogo, come vedremo poi, se queste dimostrazioni esistono, sono su tutt’altro piano, e la Rivelazione divina le include perfettamente, senza nessuna omissione; in terzo luogo, infine, tornando al piano exoterico, dove solamente può porsi tale problema, la Rivelazione comporta, in ciò che ha d’essenziale, un’intelligibilità sufficiente per poter servire da veicolo all’azione della grazia [5], che, dal canto suo, è l’unica ragion sufficiente pienamente valida per l’adesione a una religione. Tuttavia, questa grazia essendo così suscitata soltanto nei confronti di quelli che non ne posseggono effettivamente l’equivalente in un’altra forma rivelata, i dogmi rimangono senza potenza persuasiva, potremmo dire senza prove, per quelli che posseggono questo equivalente; costoro saranno quindi “inconvertibili” – prescindendo dai casi di conversione dovuti alla forza suggestiva d’uno psichismo collettivo, la grazia non cominciando allora a operare che a posteriori [6] – giacché l’influsso spirituale non farà presa su di loro, come una luce non può illuminare un’altra luce; ciò è conforme quindi al Volere divino che ha rivestito la Verità una di differenti forme, e l’ha suddivisa tra differenti umanità ciascuna delle quali è simbolicamente la sola esistente; e soggiungeremo che, se la relatività estrinseca dell’exoterismo è conforme al Volere divino, che s’afferma così nella natura stessa delle cose, è evidente che questa relatività non può essere abolita da un volere divino.

Icona bizantina raffigurante la “Santa Sophia”, una delle immagini teologicamente e metafisicamente più complesse del Cristianesimo Orientale, in cui la “Sophia” rappresenta un’ ipostasi della Sapienza Divina
Ora, se non esiste alcuna dimostrazione rigorosa a favore d’una pretesa exoterica al possesso esclusivo della verità, non si deve forse essere portati a credere che l’ortodossia medesima di una forma tradizionale non possa essere dimostrata? Questa sarebbe una conclusione molto artefatta e in ogni modo del tutto erronea: poiché ogni forma tradizionale comporta una prova assoluta della propria verità, dunque della propria ortodossia; ciò che non può essere dimostrato, in mancanza di una prova assoluta, non è la verità intrinseca e pertanto la legittimità tradizionale d’una forma della Rivelazione universale, ma unicamente il fatto ipotetico che una tale forma particolare sarebbe la sola vera e legittima, e questo non può essere dimostrato per la semplice ragione che è falso.
Vi sono dunque prove inoppugnabili della verità d’una religione; ma tali prove, che sono d’ordine meramente spirituale, pur essendo le sole prove possibili a sostegno d’una verità rivelata, comportano in pari tempo la negazione dell’esclusivismo pretenzioso delle forme; in altre parole, chi vuol dimostrare la verità d’una religione, o non ha prove, non esistendone, oppure ha soltanto prove che affermano ogni verità religiosa senza eccezione, qualunque sia la forma che essa può rivestire.
La pretesa exoterica al possesso esclusivo d’una verità unica, o della Verità senza epiteti, è quindi un vero e proprio errore; in realtà ogni verità espressa riveste di necessità una forma, quella della sua espressione, ed è metafisicamente impossibile che una forma abbia un valore unico escludendo altre forme: giacché una forma, appunto per definizione, non può essere unica ed esclusiva, ossia una forma non può essere la sola possibilità d’espressione di ciò che esprime; dire forma è dire specificità o distinzione, e lo specifico è concepibile soltanto come modalità d’una specie, dunque d’un ordine che include un insieme di modalità analogiche; o anche il limitato, che è tale per l’esclusione di quel che i suoi limiti non comprendono, deve compensare questa esclusione con una riaffermazione o ripetizione di sé fuori dei propri limiti, e ciò equivarrebbe a dire che l’esistenza di altre cose limitate è rigorosamente contenuta nella definizione stessa del limitato.
Pretendere che una limitazione, come per esempio una forma considerata in sé, sia unica nel suo genere e incomparabile, che escluda quindi l’esistenza di altre modalità analoghe a essa, significherebbe attribuirle l’unicità dell’Esistenza medesima; ora, nessuno potrà contestare che una forma è sempre una limitazione, e che una religione è per necessità sempre una forma, non, ovviamente, per la sua Verità interna che è d’ordine universale, quindi sopraformale, ma per il suo modo d’espressione, che, come tale, non può non essere formale, pertanto specifico e limitato.
Non si può ripetere abbastanza che una forma è sempre una modalità d’un ordine di manifestazione formale, dunque distintiva e molteplice, e conseguentemente, come dicevamo poc’anzi, una modalità tra altre, essendo unica solo la loro causa sopraformale; e ripetiamo anche – poiché non va mai dimenticato – che la forma – proprio per il fatto che è limitata, lascia necessariamente qualcosa fuori di sé, cioè quello che il suo limite esclude; e questo qualcosa, se appartiene allo stesso ordine, è necessariamente analogo alla forma esaminata, perché la distinzione delle forme deve essere compensata da un’indistinzione, quindi da un’identità relativa, altrimenti le forme sarebbero assolutamente distinte le une dalle altre, cosa che equivarrebbe a una pluralità di unicità o di Esistenze; ogni forma allora sarebbe una sorta di divinità priva di qualsiasi relazione con altre forme, supposizione che è assurda.

L’Unità nella molteplicità, L’Assoluto e le sue forme relative, il Centro e le circonferenze che da esso promanano (immagine tratta liberamente e senza modifiche da pixabay.com (free simplified pixabay license; author: geralt)
La pretesa exoterica al possesso esclusivo della verità cozza pertanto, l’abbiamo appena visto, contro l’obiezione assiomatica che non esiste un fatto unico, per la semplice ragione che è rigorosamente impossibile che un tale fatto esista, essendo unica solo l’unicità, e un fatto non essendo l’unicità; ed è ciò che ignora l’ideologia “credente” che in fondo è soltanto la confusione interessata tra il formale e l’universale. Le idee che s’affermano in una forma religiosa – come l’idea del Verbo o quella dell’Unità divina – non possono non affermarsi, in una maniera o in un’altra, nelle altre religioni; così i mezzi di grazia o d’attuazione spirituale di cui dispone un certo sacerdozio non possono non trovare l’equivalente altrove; e, aggiungeremo, proprio in quanto un mezzo di grazia è importante o indispensabile, lo si rinverrà necessariamente in tutte le forme ortodosse in un modo adeguato all’ambito rispettivo.
Possiamo riepilogare le considerazioni precedenti con questa formula: la Verità assoluta non è che di là da tutte le sue espressioni possibili; tali espressioni, in sé, non possono aspirare agli attributi di questa Verità; il loro allontanamento relativo rispetto a essa si manifesta con la loro differenziazione e con la loro molteplicità, che necessariamente le limitano.
Note
(5) Un esempio della conversione per l’influsso spirituale o la grazia, e in mancanza di qualsiasia argomento d’ordine dottrinale, ci è offerto dalla ben nota vicenda di Sundar Singh; questo Sikh di natura nobile, dal temperamento mistico, ma senza vere qualità intellettuali, aveva giurato un odio implacabile non solo ai Cristiani, ma anche al Cristianesimo e perfino al Vangelo; tale odio, data la sua coincidenza paradossale col carattere nobile e mistico di Sundar Singh, si scontrò con l’influsso spirituale di Cristo e si mutò in disperazione; sopraggiunse allora una conversione folgorante provocata da una visione; ora non vi fu nessuna intromissione della dottrina cristiana, e il convertito non pensò nemmeno mai di ricercare l’ortodossia tradizionale. L’esempio di San Paolo presenta, d’altronde, sebbene a un livello notevolmente superiore rispetto al personaggio e alle circostanze, alcune analogie meramente “tecniche” con l’esempio citato. In breve, si può affermare che quando un uomo di natura religiosa odia e perseguita una religione, è assai vicino a convertirsi, col favore delle circostanze.
(6) E’ il caso dei non Cristiani che si convertono al Cristianesimo così come adottano qualsiasi forma della civiltà occidentale moderna; ciò che, negli Occientali stessi, è sete di novità, negli altri è sete di mutamento, si potrebbe dire di rinnegamento; da ambedue le parti c’è la medesima tendenza ad attuare e a esaurire possibilità che erano state escluse dalla civiltà tradizionale.
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