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Meditazioni delle vette – recensione

a cura della Redazione di RigenerAzione Evola

La montagna  chiede purità e semplicità. Essa chiede – diciamolo pure – ascesi

Lo scritto di Evola Meditazioni delle vette non può che far vibrare, per chi pratica montagna (sia pur nei diversi gradi), le corde del nostro essere spirituale, e per certi versi cambia il modo di vedere ogni salita ad alta quota. E’ noto come il Barone, appassionato di montagna, si recasse regolarmente sulle Alpi per praticare questa disciplina così formativa, simbolo di uno stile di vita, che ricerca continuamente la via di liberazione e superamento dello stato semplicemente umano.

Per l’autore sfidare le altezze è la forma di lotta più pura e bella, spoglia da contaminazioni meccanico-materialistiche, svincolata da qualsiasi condizionamento esterno. Durante le silenziose marce o le impegnative arrampicate, non esistono compromessi di sorta, e ci si ritrova inevitabilmente a “dialogare” con sé stessi, nella battaglia per la vittoria della parte “alta” di noi che ci spinge a sforzarci a continuare, a non cedere e non mollare il passo “Sentirsi lasciati a se stessi, senza aiuto, senza scampo, vestiti soltanto della propria forza e della propria debolezza”. Esperienze in cui l’azione (si è soli con la propria interiore forza ed è necessaria massima lucidità e presenza) e la contemplazione (visione di chiari cieli nei quali si stagliano solo le nude e imponenti rocce e il sopra-naturale ci sembra così “presente”) si fanno un tutt’uno. E’ dunque nella durezza, nella purezza e nella semplicità della montagna che la distanza tra l’umano e il divino si riduce, e non a caso in qualsiasi antica civiltà tradizionale troviamo riferimenti alle inaccessibili altezze montane come simbolo, proprie agli eroi, alle divinità, agli iniziati. Il monte Meru per gli Indù, L’Olimpo per i greci, il Walhalla per i popoli nordeuropei sono tutti esempi del monte concepito come sede di immortalità. E se per alcuni sono solo superstizioni o testimonianze utili solamente ad uno studio superficiale di un’antichità superata, per altri  ancor’oggi nel mito e nel simbolo vale un significato profondo da vivificare in nuove forme e azioni.

Ma non è facile spogliarsi completamente dai condizionamenti propri all’uomo moderno che è in noi, anche in un ambiente così puro come la montagna, ed Evola ci mette in guardia da eventuali errori in cui si può facilmente cadere. Si tratta infatti di oltrepassare sia  la visione “poetico-pittoresca”  in senso borghese della montagna-panorama dove si sprecano liriche pompose ma vuote di ogni vero significato spirituale, sia il “naturismo” ovvero la fuga e il rifiuto della vita delle città per un “ritorno alla natura” definito dall’autore come “misticismo primitivista” che vuole solo appagare un bisogno fisico-biologico/psichico. Un ulteriore problema viene poi specificato, errore di cui facilmente si è vittima, che vede l’ascesa come sensazione di eroismo fisico, ricerca dell’emozione per l’emozione stessa, che decade più nello stordirsi (quasi fosse una droga) che nel possedersi.

La montagna ha dunque valore veramente formativo quando è un mezzo, non un fine. Ovvero quando, in ogni ascesa ci sforziamo sì di superarci, ma soprattutto interiorizziamo l’esperienza: ci interroghiamo sul dove siamo andati bene e dove invece meno bene, ci chiediamo se abbiamo fatto il massimo al di là del risultato raggiunto, se siamo riusciti ad esaltare le nostre qualità e se abbiamo riconosciuto i nostri limiti. In poche parole se riusciamo a fare un passo in più nella conoscenza di noi stessi, se la tramutiamo in esperienza da riportare nelle nostre azioni quotidiane. “A questo grado dovrebbe subentrare la vera realizzazione, cioè la trasformazione dell’esperienza della montagna in un modo d’essere. E ciò sarebbe la forza di coloro che, in fondo, può dirsi che mai ritornano dalle vette alla pianura, di quelli per i quali non vi è più né l’andare né il tornare, perché la montagna è nel loro spirito.

La montagna come scuola di vita, porta dunque a sviluppare gli aspetti più positivi potenzialmente presenti in noi: l’essenzialità nell’esprimersi, un rifiuto della chiacchiera inutile e fuori luogo, la disciplina e il controllo di sé attuato in un azione precisa e gesti composti senza spreco di energie, la concentrazione sull’essenziale in un realismo attivo e lucido. Non ultimo, la montagna abitua all’azione semplice, priva di spettatori di contro al gesto teatrale proprio alla parte “mediterranea” del nostro animo. Ciò accade anche quando si sale in gruppo, perché ognuno sa di dover essere nonostante tutto solo con sé stesso, cosciente ed attivo, perché ogni tentennamento o disattenzione può portare danno a tutti. Quest’ultimo aspetto viene accentuato ancor di più nelle ascese in cordata, dove l’errore del singolo può essere fatale per tutti: Evola qui accenna ad una connessione speciale tra le persone che è solidarietà attiva tra i membri spogli da qualsiasi sentimentalismo e  legati dalla comune azione.

Tutte queste considerazioni sono esposte dal Barone su base di esperienze effettive date dalle numerose spedizioni sulle Alpi, e così troviamo i “diari di viaggio” delle sue scalate sul Lyskamm, sul Langkopfel, sul Gross-Glockner, sul Monte Rosa, tutte accompagnate sia da dettagli tecnici che da riflessioni che risvegliano nel lettore, anche attraverso evocative descrizioni dell’ambiente, lo stimolo a cercare continuamente nuove esperienze in montagna. Sembra che in ogni ascesa Evola ci renda partecipi di questi suoi momenti di liberazione interiore:

E’ l’ora delle cime e delle altezze, qui dove lo sguardo si fa ciclico e solare: dove, come larva di febbre, svanisce il ricordo delle piccole preoccupazioni, dei piccoli uomini, delle piccole lotte della vita delle “pianure”; dove non esiste che cielo, e nude libere forze che rispecchiano e fissano l’immensità nel coro titanico delle vette.

E in effetti, quello che andrebbe fatto continuamente, quando si affronta un problema nella vita ordinaria è ricordare i momenti in cui in montagna soffrivamo camminando in salita. Allora, alle prese col vero nemico, ovvero noi stessi, ogni problema secondario ci sembrava molto più piccolo e distante, come le abitazioni, persone, le cose viste dall’alto.

Questo libro lungi dall’essere dunque un tomo da “scaffale” , è una vera e propria guida, illuminante per chi nella montagna vede qualcosa in più che solo sport, evasione o svago, ed aiuta a comprenderla e viverla in modo pieno e cosciente.

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Titolo: Meditazioni delle vette

Autore: J. Evola

Anno: 2002

Pagine: 208

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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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