Il Movimento Sociale Italiano

Terzo ed ultimo articolo dedicato da Evola ad un breve giro d’orizzonte sui partiti che in Italia, a fine anni ’60, componevano l’area politica della cosiddetta “Destra”, alla ricerca di qualche elemento, di qualche potenzialità che potesse costituire il fondamento di una possibile, auspicata rinascita politico-culturale del nostro paese mediante l’edificazione di un vero Stato in senso organico e tradizionale. In clima di attuale campagna elettorale, fa uno strano effetto leggere Evola nelle vesti di “analista politico”, sebbene chiaramente i tempi siano molto diversi, così come i protagonisti del teatrino elettoralistico. Ma se uomini, sigle e movimenti passano, la sostanza marcia, ingannevole e perversa di questo sistema politico rimane ovviamente intatta. Dopo l’analisi del partito monarchico e del partito liberale, Evola riservava il suo intervento conclusivo proprio al Movimento Sociale Italiano.

E’ interessante notare che a seguito dell’ottimo risultato elettorale ottenuto nelle elezioni politiche del 7 ed 8 maggio 1972 dal M.S.I., grazie alla formula che risultò vincente della “Destra Nazionale”, che avrebbe dovuto trasformare il partito della fiamma in una sorta di raccoglitore unico delle forze di “Destra”, compresi i movimenti d’ispirazione monarchica, Evola scrisse due articoli di approfondimento, da noi riproposti, in cui in qualche modo si rifaceva a questa particolare situazione politica in atto. Si tratta di “La Destra e la Tradizione”, che uscì proprio nel numero del maggio 1972 della rivista “La Destra” (il cui incipit recitava: “L’idea della Destra sta oggi destando un interesse in ambienti abbastanza ampi e vari. Dato il marasma politico e culturale dell’Italia attuale, ciò è certamente un sintomo positivo“) e di “La cultura di Destra”, uscito sul “Roma” il 24 agosto 1972 (in cui Evola scriveva: “Oggi è abbastanza in voga parlare di una «cultura di Destra»: però è difficile sottrarsi alla sensazione che, in ciò si tratti di un «fenomeno di congiuntura». Data l’avanzata registrata dalla Destra nel campo politico, evidentemente, si cerca di metter su una controparte culturale, per integrarla“).

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Nell’immagine in evidenza, Junio Valerio Borghese parla durante il congresso M.S.I. del 1954. Accanto a lui Giorgio Almirante ed Alfredo Cucco. Borghese era stato presidente del Movimento dal 1951 al 1953.

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Tratto da “Il Borghese”, n. 45 Roma, 7 novembre 1968

Dopo aver considerato, in due precedenti articoli, le idee che per una vera Destra si possono raccogliere dal liberalismo e dai monarchici, per ultimo esamineremo il Movimento Sociale Italiano.

Questo partito viene solitamente giudicato come di estrema Destra. Ciò può essere giusto se ci si riferisce soprattutto al suo atteggiamento di antitesi al marxismo, al comunismo e al centrosinistra, atteggiamento assai più deciso ed energico, nel MSI, che non negli altri partiti attuali considerati parimenti Destra.

Nel 1972, dopo l’unione con il Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica, il M.S.I. aggiunse al suo nome ed al simbolo storico la dizione “Destra Nazionale“

Né va trascurato l’aspetto attivistico: gli uomini del MSI, specie i giovani, sono quasi gli unici pronti a rintuzzare le manifestazioni più insolenti degli elementi di sinistra e a far sentire la loro voce nelle vie e nelle riunioni quando si tratta di difendere valori ideali e nazionali.

Non è probabile che in Italia si giunga ad uno stato di emergenza; le forze di sinistra preferiscono che la pera si maturi e cada da sé nelle loro mani, al massimo con l’aiuto di un colpettino. Dalla Francia hanno imparato il pericolo di suscitare l’esasperazione nazionale quando essi vanno oltre il segno. Ma nel caso che da noi si venisse ad una vera crisi, se vi saranno ancora uomini disposti a scendere in piazza, a battersi e a rischiare, se necessario, la vita, costoro non saranno certo i democristiani, la cui ottusa massa numerica in tale situazione si liquiferà come neve al sole, e nemmeno i liberali, probabilmente ben poco gli stessi monarchici; essi saranno soprattutto elementi del MSI, forse unitamente a speciali formazioni militari.

Ma questi aspetti non riguardano l’oggetto precipuo della nostra ricerca, perché a parte l’opposizione attiva di anti-sinistra si tratta, ai nostri fini, di esaminare gli elementi dottrinali positivi utilizzabili per la definizione e la costruzione di uno Stato di Destra. Il MSI viene accusato di neofascismo e di «nostalgismo». In via di principio, la reazione contro l’attuale denigrazione sistematica e distorcitrice di tutto ciò che fu proprio al precedente periodo della storia italiana, non può che essere approvata. Ma quando si tratta di riprendere un retaggio ideale si pongono precisi problemi.

Nel MSI sono da considerarsi come negativi il «mussolinismo» e una idealizzazione troppo indiscriminata del fascismo. Dal rispetto e dalla ammirazione che si deve avere per la figura di Mussolini non si può trarre un principio di valore oggettivo, non solo perché non si possono far nascere a volontà dei Mussolini né si può ripristinare la congiuntura a cui il Duce dovette il suo successo, ma anche per la problematicità presentata, dal punto di vista della Destra, da ogni regime incentratosi su individui in quadri più o meno dittatoriali. Quando un sistema gravita interamente su un uomo, esso è affetto fatalmente da un fattore di contingenza, e ciò tanto più, per quanto più quest’uomo è eccezionale. Alla sua scomparsa, con la poca probabilità del succedergli al potere in via regolare una persona della stessa statura, tutto può nuovamente vacillare.

“Quando un sistema gravita interamente su un uomo, esso è affetto fatalmente da un fattore di contingenza, e ciò tanto più, per quanto più quest’uomo è eccezionale“

Il pericolo cresce quando l’autorità di quell’individuo si basa sull’attivazione di forze emotive e irrazionali di massa, per non dire su una parziale loro fanatizzazione. Fenomeni del genere non possono mantenersi per lungo tempo e qui appare la differenza fra i regimi di tale tipo e quelli fondati su un principio sovraelevato e tradizionale di autorità e di sovranità. Pertanto, la saggezza dei primi Romani considerò necessaria la dittatura solo in momenti di emergenza, ma non nei termini di una istituzione permanente. Come non si possono creare a comando, per farne la chiave di una dottrina di Stato, figure di dittatori, cosi non si possono nemmeno chiamare con la bacchetta magica figure eccezionali di statisti che agiscano in un quadro di legalità, come un Bismarck o un Metternich. Tutto ciò è ovvio, ma non è chiaramente visto dai «nostalgici».

In fatto di dottrina dello Stato, non è che il MSI ne presenti una ben precisa, se esso non intende riesumare sic et simpliciter il fascismo. Questa indeterminazione ha una causa sia interna che esterna: esterna, perché si teme che parlando troppo chiaro si rischierebbe di veder mettere al bando il partito; interna, perché, come ci è stato fatto presente, procedendo ad una definizione univoca della dottrina, si correrebbe il pericolo di provocare secessioni e fratture della «base», data l’esistenza di correnti divergenti; così un certo approssimativismo unito ad un certo formalismo burocratico (contro il quale gli elementi «rivoluzionari» del MSI sono ripetutamente insorti, talvolta fino ad uscire dal partito, indebolendone così la compattezza), è sembrata essere, dal punto di vista pratico, pragmatico, la migliore via da seguire.

Già il riferimento al fascismo non è univoco, pel fatto che talvolta si ha in vista il fascismo del Ventennio, talaltra quello della repubblica di Salò, che non sono una stessa cosa. Là dove l’attenzione si porta soprattutto sul secondo (la designazione, piuttosto scialba, di «sociale» del MSI potrebbe far pensare a questa preferenza, la semplice denominazione «Movimento Italiano», lasciando in pace il «sociale» sarebbe stata assai preferibile), si presentano, dal punto di vista della Destra, vari punti problematici. Una fedeltà al fascismo «repubblicano» può essere degna di riconoscimento se se ne hanno in vista gli aspetti combattentistici e legionari, col corrispondente ethos. Come Mario Tedeschi ebbe a scrivere, con quel fascismo si ebbe il fenomeno, quasi unico in tutta la storia del Paese, di decine di migliaia di italiani che scelsero di battersi su posizioni perdute in nome di una idea e di una fedeltà.

Con la R.S.I., come scrisse Mario Tedeschi, “si ebbe il fenomeno, quasi unico in tutta la storia del Paese, di decine di migliaia di italiani che scelsero di battersi su posizioni perdute in nome di una idea e di una fedeltà“

Quanto a dottrina, il fascismo di Salò risentì però delle contingenze da cui sorse. Ciò vale già per la formula istituzionale repubblicana, dovuta in parte al giusto risentimento di Mussolini oltre che al riemergere in lui di tendenze del suo primissimo periodo, rettificate nel periodo del Ventennio, la stessa interpretazione potendosi dare anche all’accentuazione del «sociale» e al programma della cosiddetta socializzazione, in quest’ultima avendo tuttavia una parte anche l’illusione di Mussolini di guadagnarsi, in quel tragico frangente, la classe lavoratrice.

Che anche una repubblica «presidenziale» non corrisponda al più alto ideale di una vera Destra, in primo luogo date le oscillazioni dell’elettoralismo (anche il clima fra il carnevalesco e il demagogico delle elezioni presidenziali americane potrebbe servire da insegnamento) e per la mancanza di una ininterrotta linea della sovranità, ciò può risultare abbastanza chiaro a chi abbia letto il nostro precedente articolo.

Il punto essenziale di riferimento dovrebbe dunque essere il fascismo del Ventennio, e a tale riguardo nel MSI si dovrebbe procedere ad una adeguata discriminazione. Invece di rispondere evasivamente, come spesso hanno fatto in interviste alcuni dirigenti del MSI a chi chiedeva loro (tendenziosamente) se erano «fascisti», essi avrebbero dovuto rispondere risolutamente di essere fascisti in relazione a ciò che nel fascismo era positivo, di non esserlo in relazione a ciò che nel fascismo non era tale. Naturalmente, non è il caso che facciamo noi, qui, una tale discriminazione. Volendo, il lettore può riandare al nostro libro avente appunto per titolo Il fascismo – Saggio di una analisi dal punto di vista della Destra, pubblicato un paio di anni fa dall’editore G. Volpe. Qui possiamo soltanto cercare di mettere in rilievo qualche aspetto essenziale valido, che anche il MSI ha ripreso.

In primo luogo, si tratta della difesa del concetto di uno Stato forte, di uno Stato che non è una semplice sovrastruttura ma il portatore di una idea, il punto di riferimento superiore per ogni lealismo e per ogni ordine, l’organo per esercitare una influenza spiritualmente formatrice sulla nazione. Questo Stato può anche essere monarchico, e qualora si abbiano in mente sovrani capaci «di reggere la spada e lo scettro» ogni dogmatica intransigenza repubblicana da parte del MSI non potrebbe non accusare la soggiacenza a influenze ideologiche sospette, di sinistra.

Abbiamo già citato, nell’esame del liberalismo, la formula dello Stato omnia potens ma non omnia facens, il che stabilisce una distanza rispetto ad un regime di continue intromissioni dirette dello Stato nei vari settori della vita nazionale, anche se allo stesso Stato si può riconoscere un superiore potere arbitrale e ordinatore. Così là dove il fascismo è stato «totalitario», non (è) secondo questo suo aspetto che può servire da modello. Quanto più lo Stato ha una vera autorità, tanto minore sarà la necessità di suoi interventi. «Tutto nella Stato, nulla fuori della Stato, nulla contro la Stato», questa nota formula fascista non è accettabile; l’ideale non è uno Stato che abbraccia tutto ma lo Stato come centro di gravitazione e, per così dire, di cristallizzazione delle forze della nazione. Quanto all’ultima parte di quella formula totalitaria, una opposizione in uno Stato di Destra è concepibile come opposizione entro il sistema, non contro il sistema e nel segno di ideologie antistatali e sovvertitrici. Che in queste ideologie si debba far rientrare anche la formula degradante di uno «Stato del lavoro», su ciò crediamo che qui non vi sia bisogno di soffermarsi.

Un elemento valido del fascismo, ripreso dal MSI, è l’opposizione alla partitocrazia e la sua controparte, la difesa dell’idea corporativa. Uno Stato di Destra è organico, esso non riproduce, come quello attuale democratico la situazione di uno schizofrenico, ossia quella del conflitto fra varie idee dissociate che nel nostro caso corrispondono alle contrastanti ideologie dei partiti. Al partito si dovrebbe togliere ciò che si potrebbe chiamare il suo plus-valore ideologico in senso politico, per farne invece l’espressione di date categorie articolate di interessi. Ciò porta appunto all’idea di una Camera di rappresentanze corporative, aspetto indiscutibilmente valido del fascismo del Ventennio, salvo definire adeguatamente, e in parte ridimensionare, il concetto di corporazione. Il fascismo si era proposto di eliminare l’idea marxista della lotta di classe, mirando ad una composizione organica delle forze del lavoro e della produzione. Ma a tale riguardo esso in un certo modo si fermò a metà strada perché la formula della composizione organica fu applicata su un piano burocratico-statale poco efficiente, invece che nella concretezza delle aziende. Da qui, lo spazio lasciato al sindacalismo (a cui il fascismo di Salò diede un ulteriore deplorevole rilievo) invece di rimettere in discussione il diritto stesso di esso e di prevenire il pericolo che esso crei qualcosa come uno Stato entro lo Stato. Naturalmente la ripresa di questo problema importantissimo, essenziale se si vuol superare sia il capitalismo degenere, sia il socialismo (e con l’infatuazione socialista bisognerebbe smetterla, riconoscendo che l’eventuale aggiunta dell’epiteto «nazionale» a «socialismo» non fa cessare quest’ultimo di essere tale, lo trasforma. se mai, in un pericoloso cavallo di Troia), oggi date le circostanze, presenta gravi difficoltà. Ma nel quadro di una pura dottrina dello Stato esso può venire ripreso e per esso si può sempre studiare una soluzione adeguata.

Dovendo necessariamente limitare il nostro esame, aggiungeremo solo che al fascismo è stato proprio lo sforzo di creare un dato clima, una certa tensione spirituale avente una dimensione attivistica e disciplinatamente combattiva. Anche questo è un aspetto positivo. Soltanto in tal guisa si ha la possibilità di riprendere e trasfigurare energie che al giorno d’oggi, lasciate a se stesse in un mondo assurdo privo di ideali, possono agire soltanto in modo caotico e distruttivo, come fin troppe situazioni lo attestano (a cominciare dal fenomeno di certa gioventù protestataria anarchica).

In effetti, il maggiore ostacolo per una rivoluzione restauratrice in Italia è l’inerzia, l’insensibilità, il passivo abbandono al corso delle cose, sempreché esso permetta di tirare avanti alla meglio, e alla giornata. Un nuovo principio galvanizzatore dovrebbe essere posto, a parte quella definizione dottrinale dei princìpi, alla quale con questi nostri tre scritti abbiamo inteso dare un modesto contributo.



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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