Mussolini e il razzismo (III parte)

Razzismo e altri “orrori” (compreso il Ghibellinismo)

di J.Evola

(Continua da II parte)

Da un episodio recente, di carattere personale, prendo solo lo spunto per un chiarimento di alcune idee che, forse, sarà utile per chi, negli ambienti di Destra, non s’interessi soltanto ai problemi relativi alle forme più contingenti della lotta politica. L’episodio è questo. A Roma, una organizzazione del MSI aveva pensato a dedicare una conferenza alle idee da me difese. In ciò vi era anche una specie di punto d’onore, pel fatto che poco prima un circolo culturale romano facente capo a persona non fascista e non “ariana”, si era interessato, in una tornata, alla presentazione e diffusione di uno dei miei più recenti libri. Ebbene, all’ultimo momento la conferenza del MSI è stata “bloccata”. Qualcuno aveva fatto presente il pericolo che essa rappresentava pel Partito, dato che io sarei un “razzista” e un nemico della Chiesa. E strano che coteste etichette che finora erano state usate solo da parte antifascista al fine di una congiura del silenzio e di uno ostracismo contro la mia attività in generale, abbiano trovato credito anche presso degli elementi del MSI, che evidentemente non hanno nessuna esatta conoscenza delle dottrine su cui ho scritto e che si sono limitati a raccogliere delle dicerie, senza darsi alcuna pena per controllarle. Trattandosi poi di persone che professano un incondizionata fedeltà per Mussolini, è anche strano che non sappiano che Mussolini ebbe ad approvare le idee che più sembrano impaurirle, e dette ad esse una specie di crisma essendo d’accordo che il mio libro “Sintesi di dottrina della razza” recasse nella edizione tedesca, in più, il termine “fascista”, intitolandosi dunque: “Sintesi di dottrina fascista della razza”. Ciò a parte, v’è anzitutto da rilevare che la parte essenziale delle idee da me difese non ha a che fare con quegli orientamenti, ed è essa che in prima linea dovrebbe essere presa in considerazione; e, poi, che sta di fatto che da dopo la guerra io non ho ripreso in alcun modo problemi riguardanti la razza o la polemica con le concezioni cattoliche: non perché io rinneghi qualcosa, ma perché, data la mutata situazione, di essi ho riconosciuto l’inattualità, secondo quel che dirò più giù.

orientamenti_itNon è certo colpa mia se alcuni giovani hanno fatto un uso arbitrario, confuso e poco serio di alcune idee dei miei libri, scambiando piani molto diversi. Su questa base, un giornale milanese giunse perfino a concepire un qualche rapporto fra quelle idee e un attentato privo di senso all’Arcivescovato, allo stesso modo che la polizia romana nel processo dei FAR (1951) aveva visto in me il “personaggio malefico e tenebroso” ( sic ) che stava dietro al complotto “fascista” da essa fantasticato. Anche recentemente dei giovani hanno ristampato un mio opuscolo,“Orientamenti”, senza esserne in alcun modo autorizzati, mettendovi un “ghibellino” e la data della nascita di Roma al posto di quella dell’era volgare (tratto fanciullesco). Cose del genere, che non è in mio potere impedire, sono le uniche che possono eventualmente spiegare, ma per nulla giustificare, le accennate angoscie. Dico “per nulla giustificare”, perché, ripeto, può arrestarsi a tanto solo chi, a differenza di quei più autorevoli amici che già ebbero ripetutamente ad invitarmi a collaborare a fogli ufficiali o fiancheggiatori del MSI, nessuna pena si è presa per conoscere ciò che effettivamente mi si può, oggi, attribuire.

Con questo, chiudo il fatto personale. Il quale, dunque, qui servirà unicamente di occasione per una messa a punto riguardante alcune idee prese in se stesse: cosa non inopportuna, perché oggi fra i “neofascisti” non manca chi, anche senza rendersene conto, fa proprie le parole d’ordine dei nuovi tempi democratici, pensa per esempio che il rivolgimento “razzista” nel fascismo sia stato una triste cosa che è bene passare sotto silenzio, e che oggi ci si debba tenere ad una linea di conformismo quasi da parrocchia, ben guardandosi dal mettere in discussione in una qualunque sede le idee e le pretese del clericalismo. Il che, non direi che sia indice di eccessivo coraggio intellettuale e politico. Comunque, veniamo al merito. Circa il “razzismo”, e cosa stupida, quanto oggi corrente, farne un semplice sinonimo di antisemitismo, di Buchenwald, di camere a gas e di tutto il resto che è stato mussolini-e-il-razzismopropinato dalla propaganda alleata con largo impiego di esagerazioni e perfino di falsi. Dal punto di vista politico Mussolini prese posizione contro l’ebraismo non per ricopiare passivamente l’esempio tedesco, ma semplicemente perché vi fu costretto: in base a precise informazioni circa l’atteggiamento aggressivamente antifascista che caratterizzava senza eccezione e sempre più l’ebraismo internazionale. Ma assai prima Mussolini aveva riconosciuto la parte che l’ebraismo ha nella finanza e nella vita dei paesi democratici, specie negli Stati Uniti, e ne aveva denunciato il pericolo. Che le cose oggi non siano cambiate, ma al contrario, ognuno può vederlo. La documentazione precisa e inconfutabile che Giovanni Preziosi, collaboratore fedelissimo di Mussolini, aveva raccolto, oggi potrebbe essere moltiplicata, se in base alle parole d’ordine correnti non vigesse un veto sull’argomento. Per non andar lontano, in ordine ad un dominio particolare, basterà rileggere, per esempio, l’ottimo articolo sul cinema americano uscito nel precedente fascicolo di questa stessa rivista.

Ciò, circa l’atteggiamento di Mussolini sul piano politico, con riferimento agli ebrei veri e propri. Per quel che mi riguarda, non è su questa linea (di cui purtuttavia riconoscevo la legittimità, pur condannando ogni eccesso) che ho svolto la mia attività. La teoria della razza da me formulata e che Mussolini approvò, intendeva superare il razzismo biologico, materialistico, facendo valere, oltre la razza del corpo, la razza dell’anima e dello spirito, facendo anzi cadere l’accento su di queste: non importa tanto la razza fisica quanto quella intcriore, che può non corrispondere affatto alla prima, dati i processi irreversibili di mescolanza etnica verificatesi in ogni popolo attraverso i secoli. Su tale base, 1′ ‘”ebraicità” e l'”arianità” dovevano essere definite anzitutto come due modi d’essere, in sé e per sé, in universale, dunque a prescindere dal loro più o meno prevalente manifestarsi nell’una o nell’altra razza, nell’uno o nell’altro individuo. È facile vedere la portata di questo punto di vista, il quale permetteva, e permette, di togliere al concetto di razza ogni unilateralità, e, nello stesso tempo, di estendere la difesa dei valori superiori a noi propri, l’attacco contro valori inferiori o estranei. Infatti, in tale quadro, la qualità “ebrea” deve essere combattuta, nei suoi lati negativi, dovunque essa si trovi, indipendentemente dal sangue, si manifesti, essa, anche neh””ariano”, anzi qui più che mai. Ora, se dopo il crollo provocato dall’ultima guerra, io mi sono astenuto dal riprendere la polemica antiebraica, una delle principali ragioni di ciò sta nel fatto che, purtroppo, quel che si può condannare nell’ebreo come carattere e mentalità, oggi lo vediamo prorompere dappertutto: e se per l’ebreo può esservi eventualmente la scusa, che un tale comportamento è dovuto all’eredità, tale scusa manca del tutto nel caso di quegli “ariani” o cristiani che oggi come carattere e come “razza interna” danno prova di un ebraismo al 100%. Così oggi non sarebbe onesto insistere su certe posizioni e denominazioni.

Guerriero_sannitaE’ contro tutto un modo di essere che ci si dovrebbe schierare, ma purtroppo con ben scarse prospettive di venir a capo di qualcosa, dato il clima generale, il “razzismo” di Mussolini ebbe un secondo aspetto, non riguardante più il problema ebraico ma la difesa del prestigio della razza bianca nei confronti dei popoli di colore, cosa che assumeva un carattere particolare di attualità dopo la creazione dell’Impero africano. In ciò Mussolini seguì semplicemente la linea praticata da tempo adottata da tutti coloro che ebbero a cuore l’egemonia europea, anche senza sbandiera-menti “razzisti”: a partire dall’Inghilterra. Oggi che molti “bianchi” con una specie di masochismo, nel segno della democrazia e dell’umanitarismo si rallegrano dell’emancipazione e dell’insorgenza minacciosa dei popoli di colore e del tramonto definitivo del prestigio europeo, le cose possono stare altrimenti. Ci si potrà mettere sulla stessa linea di quegli americani irresponsabili che s’inteneriscono pel “povero negro”, che esaltano le promiscuità inter-razziali, che non trovano troppo da ridire se le ragazze bianche vanno a letto e procreano con negri, in attesa che al negro USA si sostituisca il Mau-Mau o addirittura l’australiano. In tutto ciò, è semplice quistione di “razza interna” (si vede bene quanto utile sia tale concetto), di un collasso della razza interna e di ogni corrispondente sensibilità. Non credo che gli amici del MSI se la sentano di seguire questa linea, in omaggio al principio della universale eguaglianza sia degli individui che delle razze, e che quindi sia il caso di vergognarsi anche di questo secondo aspetto del “razzismo” (se così piace chiamarlo) di Mussolini. Ancor meno credo che di ciò possa essere il caso nei riguardi un terzo e ultimo aspetto del “razzismo” mussoliniano, che era l’aspetto positivo, creativo.

Non si trattava soltanto di difendersi da influenze negative, di porre delle barriere protettive, non si trattava dunque più di ebrei e dell’ebraismo internazionale, di meticci, o di popoli di colore, bensì di tutto ciò che in Italia attraverso misure precise poteva modellare e potenziare un tipo umano superiore (superiore sia spiritualmente che, se possibile, tìsicamente, il più alto ideale non potendo non includere l’una e l’altra cosa), il quale avrebbe dovuto costituire la spina dorsale esistenziale dello Stato fascista e assicurare la continuità del movimento fascista nel futuro. Questo “razzismo” positivo equivaleva insomma alla creazione dell’Italiano nuovo, del fascista non come il semplice “inscritto al partito” indossatore di camicia nera e esaltatore del Duce, bensì come un tipo umano ben differenziato, pel quale avrebbero dovuto essere decisive non tanto le qualità generiche, spesso senz’altro negative, dell”‘italiano”, bensì, tendenzialmente, quelle del più alto tipo romano: qualità affini, peraltro, a quelle presentate anche, nelle origini, da altre civiltà dello stesso ceppo, cioè di ceppo indoeuropeo, o “ario” che dir si voglia. In questo quadro, Mussolini approvò assolutamente le idee che avevo cercato di formulare, con l’intento di creare una controparte originale a quel che in Germania si cercava di fare, basandosi però sul tipo “nordico” come punto di riferimento per l’azione formativa all’interno della sostanza nazionale. Ora, non si dovrebbe forse riconoscere nel fatto, che un processo formatore di “razza” in tale senso qualitativo in Italia non ebbe luogo o fu sincopato dalla catastrofe militare, sta la ragione principale del pauroso cedimento del popolo italiano e dell’attuale livello sociale, politico e morale della nostra nazione? Credo pertanto che vi sarebbe poco da ridire se qualcuno, di là da qualsiasi attivismo politico spicciolo, oggi riprendesse esigenze del genere, riconoscendo l’essenziale per un qualsiasi risollevamento la formazione rigorosa di un italiano nuovo, di un nuovo carattere, pur senza farsi illusioni – anche qui -circa ciò che praticamente si può raggiungere.

E con questo si può far punto, per quel che riguarda il “razzismo”. Per non irritare nessuno, non aggiungerò che, psicanaliticamente, chi reagisce oltre misura, quasi istericamente, non appena sente pronunciare quella parola, con ciò stesso da prova che la sua razza – o fisica o interna – è poco in ordine.

Ed ora, qualche parola sul “ghibellinismo” e sull’attitudine di fronte a Chiesa e a cristianesimo. FascioNel 1927 uscì un mio libro, Imperialismo pagano, che oggi in nessun modo permetterei che si ristampasse. Si era prima del Concordato, e il problema in esso posto era il seguente: il fascismo aveva ripreso il simbolo romano, ne aveva fatto il punto di riferimento sia per una nuova idea dello Stato e dell’autorità che per un nuovo stile di vita. Ora, se con tutto ciò non ci si voleva arrestare alla superficie, si poteva prescindere dai presupposti spirituali dell’antica romanità, e si poteva ignorare il contrasto fondamentale che esistette fra la visione romana antica della vita e quella cristiana? Non si sarebbero dovute rimettere in discussione non poche delle idee che nel cristianesimo non sono di origine romana o comunque “aria” (indoeuropea) malgrado il loro essere state assorbite dalla successiva umanità occidentale? Ed anche nei riguardi politici si poteva ignorare che la ripresa dell’idea romana quale si verificò nel Medioevo col Sacro Romano Impero, portò necessariamente ad un conflitto con la Chiesa, al “ghibellinismo”, per ragioni assai più profonde di quelle che i più suppongono?

Proprio perché quel libro toccava problemi vivi e scottanti, ed ebbe risuonanze anche all’estero, esso provocò una generale allarmata levata di scudi negli ambienti guelfi e conformisti italiani. Ma presto si dovette constatare che praticamente non v’era nulla da fare. Quegli esponenti del fascismo che in un primo momento mi avevano appoggiato, di fronte al baccano, mi lasciarono in asso (fra di essi vi era Bottai, che in tale congiuntura dette prova della stessa “fedeltà” che doveva dimostrare nel 25 luglio); con Mussolini, a quel tempo, non potei avere contatti diretti, e, infine, apparve che di persone qualificate e dotate di sufficiente autorità e di sufficiente coraggio per seguire una tale linea, non ve n’erano. La partita fu chiusa.

latorreTutto questo, dunque, nel lontano 1927. Dopo di allora, non credetti opportuno sollevare problemi del genere, né nella rivista che diressi “La Torre” (1930), né nei molti anni di collaborazione con Roberto Farinacci: è il concetto universale di Tradizione, che fu invece messo in primo piano. Anzi non esitai a prender posizione di fronte ad alcuni orientamenti problematici del “paganesimo” nazista. In una conferenza stampa a Vienna nel 1936 ebbi per esempio a dichiarare che rivolgimenti del genere erano tali da indurre a divenir cattolici perfino chi avesse avuto le migliori disposizioni “pagane”. E in più di un ambiente, in Germania la mia opera principale, “Rivolta contro il mondo moderno, uscita anche in tedesco, valse proprio come punto di riferimento per rimettere diverse cose a posto, dal punto di vista tradizionale.

Tanto più ciò vale per questo dopoguerra italiano. Se si vuole sapere quale siano le mie idee, data l’attuale situazione, occorre rifarsi al mio libro “Gli uomini e le rovine”, uscito nel 1951 con una presentazione del comandante Valerio Borghese, scritto con l’intento di fornire un orientamento essenziale per un eventuale schieramento di pura Destra: non già a scritti di un precedente periodo, che avevano in vista circostanze diverse, o a libri di carattere tecnico e specialistico, e estranei al campo politico.

Ne Gli uomini e le rovine le cose vengono chiarite anche nei riguardi del “ghibellinismo”. Qui mi limiterò a ripetere, che oggi un tale termine è fonte di equivoco, perché, con una interpretazione illegittima, esso è stato applicato ad una affermazione dell’idea politica o dello Stato in quadri laici, liberal-massonici se non pure materialistici e antireligiosi. Nulla di simile appartiene alla linea che, se le circostanze fossero diverse, si dovrebbe difendere. Il riconoscimento di valori spirituali, sacrali e trascendenti (nell’accezione più rigorosa di tali termini) di contro a tutte le idee dei filosofi “immanentistici” d’estrazione più o meno liberale, Gentile e Croce compresi, contro tutte le istanze massoniche e repubblicane dovrebbe essere il punto di partenza e la base del vero Stato: il quale solo a tale stregua e, propriamente, solo perché quei valori li assume in una diversa, ma non meno legittima forma, escludente tutto ciò che può pregiudicare una concezione affermativa, virile e ben differenziata dell’esistenza, potrebbe contrapporsi alla Chiesa, contestarle il diritto di essere l’arbitra suprema nel campo dello spirito e dell’etica, limitarne le pretese egemonistiche e le indebite interferenze.

Tale sarebbe lo sfondo serio di un eventuale “ghibellinismo”. Ma, di nuovo, con questi chiari di luna un assunto del genere appare del tutto utopico. Se prima non si risolve il problema puramente politico, cioè quello della ricostruzione del vero Stato (la quale presuppone il trionfo di una pura Destra contro ogni democrazia e ogni marxismo) è inutile puntare così in alto ed affrontare problemi spirituali e trascendenti. Può restare solo un “ghibellinismo” approssimativo, di modesto formato: perfino nell’attuale clima democratico, contrapporsi a interventi clericali e guelfi troppo sfacciati nel campo della politica, non ignorare, è vero, il peso che in Italia hanno il cattolicesimo e il cristianesimo come forze sociali, senza però illudersi quanto alla palese discesa di livello di essi quali potenze spirituali: essendo sempre più evidente che nel cattolicesimo di oggi i valori veramente spirituali – quelli della pura trascendenza, dell’ascesi, della contemplazione -hanno sempre meno rilievo di fronte alle preoccupazioni mora-listiche e puramente devozionali, mentre, a parte qualche saltuaria presa di posizione di contro a collusioni proprio sfacciate con le sinistre, appare sempre meno probabile un risoluto ragioni intrin-seche, sia perché nel mondo d’oggi non v’è nessun blocco di forze a cui tale atteggiamento potesse fare da crisma e che ad esso potesse offrire, nel contempo, una base concreta.

cappella-imperiale-innsbruck-europa-impero-cavalieri-tradizioneDi ghibellinismo in senso proprio oggi dunque non è il caso di parlare. I problemi superiori intorno alla visione del mondo, alle varie forme della Tradizione, alla filosofia della storia, possono essere proposti soltanto a dei gruppi di studiosi: non ad un qualche partito esistente. Desiderabile e possibile sarebbe però una certa linea di distacco e di dignità. Non diremmo che valga proprio la pena di darsi a premure e a profusioni di affetto nei riguardi della Chiesa e fare il gioco del cattolicesimo politico guelfo in nome non della Tradizione in senso superiore e severo, bensì di un mero generico “tradizionalismo” sinonimo, da noi, di conformismo, di mediocrità borghese, di bigotteria, di piccola morale al posto della grande morale, e via dicendo. Tutto ciò, non lo nego, potrà anche avere un suo peso sul piano elettorale, forse anche su di un piano di tattiche spicciole parlamentari. Ma dubito assai che ci si possa mettere su di un piede di efficace, vittoriosa concorrenza, rifacendosi a tanto, data l’opera di accaparramento che in vasti strati del popolo e della borghesia italiani, su questa stessa base, la democrazia cristiana ha da tempo organizzato con potenti mezzi. Questo, quanto a mia opinione personale.

Ciò basterà per chiarire l’essenziale nei riguardi degli argomenti trattati e per far vedere che dei complessi d’angoscia, a tale proposito, possono nascere solo in chi non sa di che si tratti perché è male informato ovvero perché ha l’una o l’altra ragione per cambiare le carte in tavola. Infine, che dei travisamenti siano avvenuti, sporadicamente, spesso in buona fede, in base ad “atteggiamenti” giovanili poco meditati e lontani da un qualsiasi senso della realtà, ciò non dovrebbe pregiudicare il significato intrinseco che, in sé stesso, dovrebbero avere alcune linee di pensiero agli occhi di coloro i cui interessi non si esauriscono nel campo delle cose immediate e vicine, sempreché di tali persone ne esista una quantità degna di nota. Per tempi migliori (se verranno), alcune posizioni fondamentali è bene che non siano del tutto abbandonate.

FINE



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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