Dopo la prefazione di Oswald Spengler all’opera di Richard Korherr “Regresso della nascite: morte dei popoli” nella sua edizione italiana, pubblicata dalla Libreria del Littorio nel 1928, RigenerAzione Evola prosegue il suo scoop proponendo un estratto dell’altra prefazione che si abbinava al volume dello statistico tedesco, quella a firma di Benito Mussolini, di cui già avevamo proposto la recensione a “Gli Anni decisivi” di Spengler. La prefazione a firma del Duce era molto lunga, e ve ne proponiamo la parte più concettuale, omettendo quella in cui Mussolini riportava dati statistici dell’epoca: più precisamente, dati sulla prolificità delle etnie nere d’America, dei Cinesi e dei Russi, la cui prolificità all’epoca era vista come un pericolo, trattandosi di un potenziale umano nelle mani del bolscevismo sovietico; e, per contro, dati sulla progressiva denatalità in Europa, e, in particolare, in Francia, Regno Unito, Svizzera e Germania, con l’ipertrofica crescita delle metropoli e la correlativa desertificazione delle campagne, con delle osservazioni anche sui primi fenomeni di immigrazione per motivi di lavoro, all’epoca ancora di matrice infraeuropea (in Francia, osservava Mussolini, il 6% della popolazione era straniera e l’Italia aveva fornito alla Francia il 18% dell’importazione della manodopera). Circa l’Italia, Mussolini citava dati demografici altrettanto sconfortanti, con una lieve ripresa unicamente nel territorio milanese dal 1926 al primo semestre del 1928.
Le considerazioni di Mussolini risultano ancor oggi attuali ed interessanti, soprattutto laddove troviamo inquietanti richiami a Malthus (a buon intenditor poche parole) ed alla inevitabilità che le leggi, in qualsiasi ambito, e, nello specifico, in quello demografico, per quanto stringenti e draconiane, ben poco possano quando negli uomini cui le leggi sono rivolte non ci sia uno spirito adeguatamente recettivo e, pertanto, in grado di reagire positivamente ad uno stimolo indotto.
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di Benito Mussolini
estratto dalla prefazione a “Regresso della nascite: morte dei popoli” di Richard Korherr
Non conosco personalmente l’autore di questo libro, né lo conoscevo di fama, prima che mi capitasse sott’occhio un fascicolo dei Süddeutsche Monathshefte (Quaderni mensili della Germania Meridionale) contenente – prefazionato da Osvaldo Spengler – sotto forma di opuscolo, quello che oggi, ampliato e riveduto, io presento come volume al pubblico italiano e in particolar modo al pubblico fascista. Chi sia Osvaldo Spengler è noto agli studiosi che hanno seguito le ultime espressioni del pensiero politico e filosofico tedesco. La sua opera Untergang des Abendlandes (Decadenza dell’Occidente) è stato a suo tempo oggetto di vivo interessamento e di non meno vive polemiche.

Richard Korherr
II Dott. Riccardo Korherr, è un bavarese di Regensburg di modeste origini che ha fatto i suoi corsi universitari in legge e sociologia a Monaco ed Erlangen. Giovane, egli è nato nel 1903, potrebbe già aspirare ad una cattedra universitaria, ma egli vi ha rinunziato per essere, com’egli stesso mi scrive, «più libero nella lotta che intende condurre in difesa della civiltà occidentale, minacciata da un complesso di idee mendaci che vanno dalla fratellanza universale, alla felicità dei più, dall’edonismo pacifondaio al controllo delle nascite». Questo libro è un episodio di tale battaglia. Per coloro che hanno meditato sui fenomeni demografici nei tempi passati e presenti, il libro stesso non apporta lumi speciali. Ci sono sono qua e là delle inesattezze, almeno per quanto concerne l’Italia (…). Ma il libro è destinato al grande pubblico, facile vittima dei pregiudizi edonistici orpellati spesso di falsa scienza e, dato questo scopo, il libro, pur la sua esposizione drammatica, per i suoi richiami storici, per i suoi riferimenti al mondo contemporaneo, per la sua ampia documentazione statistica, è di una potente efficacia. La dimostrazione che il regresso delle nascite attenta in un primo tempo alla potenza dei popoli e in successivi tempi li conduce alla morte, è inoppugnabile. Anche le varie fasi di questo processo di malattia e di morte, sono esattamente prospettata e hanno un nome che le riassume tutte: urbanesimo o metropolismo, come dice l’autore.
Aumento patologico
A un dato momento la città cresce morbosamente, patologicamente, non, cioè, per virtù propria, ma per un apporto altrui. Più la città aumenta e si gonfia a metropoli, e più diventa infeconda. La progressiva sterilità dei cittadini è in relazione diretta coll’aumento rapidamente mostruoso della città. Berlino che in un secolo è passata, da centomila, a oltre quattro milioni di abitanti, è, oggi, la città più sterile del mondo. Essa ha il primato del più basso quoziente di natalità non più compensato dalla diminuzione delle morti. La metropoli cresce, attirando verso di sé la popolazione della campagna, la quale, però, appena inurbata, diventa – al pari della preesistente popolazione – infeconda. Si fa il deserto nei campi; ma quando il deserto estende le sue plaghe abbandonate e bruciate, la metropoli è presa alla gola: né i suoi commerci, né le sue industrie, né i suoi oceani di pietre e di cemento armato, possono ristabilire l’equilibrio oramai irreparabilmente spezzato: è la catastrofe.
La città muore, la nazione – senza più le linfe vitali della giovinezza delle nuove generazioni – non può più resistere – composta com’è oramai di gente vile e invecchiata – a un popolo più giovane che urga alle frontiere abbandonate. Ciò è accaduto. Ciò può ancora accadere. Ciò accadrà e non soltanto fra città o nazioni, ma in un ordine di grandezze infinitamente maggiore; la intiera razza bianca, la razza dell’Occidente, può venire sommersa dalla altre razze di colore che si moltiplicano con un ritmo ignoto alla nostra (…). Sì, sono alle porte e non soltanto per la loro fecondità ma anche per la coscienza che essi hanno preso della loro razza e del suo avvenire nel mondo (…)

La follia dell’urbanesimo senza controllo
Tesi false
Basta questo, a fare giustizia di tutte le assurde pseudo scientifiche o filosofiche vociferazioni sui neo-maltusiani. Nessuno, oggi, prende più sul serio la famigerata sedicente legge di Malthus. Ci si domanda come si possa ancora seriamente discutere attorno a questa specie di «patacca» scientifica.
E’ stato dimostrato che prendendo a punto di partenza la popolazione esistente sulla faccia della terra all’epoca di Malthus e applicando la legge di Malthus a ritroso nei secoli, si giungerebbe a questa mirabolante nonché grottesca conclusione: che ai tempi dell’Impero romano la terra non aveva abitanti!
Falsa è la tesi che la qualità possa sostituire la quantità, tesi che io ho ribattuto energicamente non appena fu avanzata quasi a giustificazione della purtroppo progressiva flessione della natalità italiana; falsa ed imbecille è la tesi che la minore popolazione significhi maggiore benessere: il livello di vita degli odierni 42 milioni di italiani è di gran lunga superiore al livello di vita dei 27 milioni del 1871 o dei 18 del 1816.
Vero è, invece, che i benestanti sono i meno prolifici – fenomeno di egoismo morale, dunque! -. Vero è, invece, che le famiglie più deserte di bambini sono quelle che non soffrono penuria di ambienti. Di queste e di altre consimili «falsità» pseudo scientifiche fa efficacemente tabula rasa l’autore di questo volume. (…)
Le leggi e lo spirito
Non voglio trarre conclusioni affrettate dalla lieve ripresa milanese. La mia politica demografica non può avere dato ancora i suoi frutti. Ma qui si pone il problema. Le leggi demografiche – che in ogni tempo legislatori di ogni paese adottarono per arrestare il regresso delle nascite – hanno avuto o possono avere una efficacia qualsiasi?
Su questo interrogativo si è discusso animatamente e si continuerà a discutere ancora. La mia convinzione è che se anche le leggi si fossero dimostrate inutili, tentare bisogna, così come si tentano tutte le medicine anche e sopratutto quando il caso è disperato.

La sottocopertina del libro di Korherr vergata a mano da Mussolini. A destra, da notare la citazione di Hegel, riportata anche alla fine della prefazione: “Non è uomo chi non è padre”
Ma io credo che le leggi demografiche – e le negative e le positive – possono annullare o comunque ritardare il fenomeno, se l’organismo sociale al quale si applicano è ancora capace di reazione. In questo caso più che le leggi formali vale il costume morale e sopratutto la coscienza religiosa dell’individuo. Se un uomo non sente la gioia e l’orgoglio di essere «continuato» come individuo, come famiglia e come popolo; se un uomo non sente per contro la tristezza e la onta di morire come individuo, come famiglia e come popolo, niente possono le leggi anche, e vorrei dire sopratutto, se draconiane. Bisogna che le leggi siano un pungolo al costume. Ecco che il mio discorso va direttamente ai fascisti e alle famiglie fasciste. Questa è la pietra più pura del paragone alla quale sarà saggiata la coscienza delle generazioni fasciste. Si tratta di vedere se l’anima dell’Italia fascista è o non è irreparabilmente impestata di edonismo, borghesismo, filisteismo. II coefficiente di natalità non è soltanto l’indice della progrediente potenza della Patria, non è soltanto come dice Spengler, «l’unica arma del popolo italiano», ma è anche quello che distinguerà dagli altri popoli, europei, il popolo fascista, in quanto indicherà la sua vitalità e la sua volontà di tramandare questa vitalità nei secoli. Se noi non rimonteremo la corrente, tutto quanto ha fatto e farà la Rivoluzione fascista, sarà perfettamente inutile perché, ad un certo momento, campi, scuole, caserme, navi, officine non avranno più uomini.
Uno scrittore francese che si è occupato di questi problemi ha detto: per parlare di problemi nazionali occorre in primo luogo che la Nazione esista. Ora una Nazione esiste non solo come storia o come territorio, ma come masse umane che si riproducono di generazione in generazione. Caso contrario è la servitù o la fine. Fascisti italiani: Hegel, il filosofo della Stato, ha detto: Non è uomo chi non è padre!
In una Italia tutta bonificata, coltivata, irrigata, disciplinata: cioè fascista, c’è posto e pane ancora per dieci milioni di uomini. Sessanta milioni d’italiani faranno sentire il peso della loro massa e della loro forza nella storia del mondo.
I° Settembre VI.
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