di Julius Evola
(Tratto da Il Roma, 30 Luglio 1954)
Ciò accadde verso il ’31. Alla direzione di vari giornali ai quali collaboravo, all’improvviso pervenne l’ordine di non accogliere più miei scritti. Cercai di informarmi e alla fine dovetti rivolgermi all’organo che a quel tempo faceva le veci del Ministero della Cultura popolare, cioè all’Ufficio Stampa del Capo del Governo[1].

Gaetano Polverelli
Mi ricevette il dirigente di tale ufficio, che allora era l’on. Polverelli[2]. Di fronte alle mie richieste di spiegazione Polverelli dapprima si tenne sulle generali, riferendosi ad idee che avevo avuto occasione di difendere in varie polemiche contro certe tendenzialità sospettate dal fascismo. Così mi chiese come è che io combattevo il corporativismo. Mi fu facile spiegare che io non combattevo affatto il corporativismo in quanto tale, bensì la tendenza di alcuni estremisti di esaurire in questo sistema l’essenza del nuovo Stato, tanto da dar luogo ad una riduzione degradante e quasi marxista della sfera politica a quella della mera economia e del lavoro.
Poi Polverelli mi chiese che cosa fosse la faccenda del “paganesimo” e del “ghibellinismo” di cui certi democristiani travestiti di allora mi accusavano (vi era anche Gonella[3]). Ed anche qui mi fu facile mostrare che le cose erano state svisate.
Chiarii che se il fascismo voleva far sul serio nella sua ripresa del simbolo romano, esso non poteva esimersi dal dare una adeguata considerazione anche ai valori fondamentali, etici e spirituali, della romanità precristiana. Quanto al ghibellinismo, tutto si riduceva a rivendicare – con un Dante e un Federico II – allo Stato un principio trascendente, e non soltanto temporale, di autorità, e a non consentire che la Chiesa si monopolizzasse tale principio per un uso perfino politico.Visto che tutto ciò non reggeva, Polverelli scoprì le carte, fece il viso serio e severo e chiese: “E’ vero che con mezzi magici volete colpire il Capo del Governo?”.
Occorse un certo sforzo per scoprire da dove diavolo fosse venuta fuori questa storia. Infine apparve che le cose stavano come segue. Dal 1927 al 1929 avevo curato la pubblicazione di una serie di monografie scritte da collaboratori vari, che conservavano l’incognito, sulle antiche scienze sacre ed esoteriche, su simboli e miti, sulle varie forme di ascesi e di sviluppo delle possibilità latenti dell’essere umano, con l’intento di contrapporre qualcosa di serio e di vagliato alle divagazioni e alle mistificazioni proprie alla gran parte delle pubblicazioni moderne su simili argomenti. Non mancavano inquadramenti teorici e polemici. Così in uno di quei fascicoli si chiarivano le cose nei riguardi di coloro che, scettici per principio rispetto ad ogni potere supernormale, argomentavano più o meno così: “Non vi chiediamo, per credere, che per magia precipitiate il Monte Bianco nel Mediterraneo. Ci basterebbe vedere che, con la sola volontà, riusciate a far sollevare questo tagliacarte sul tavolino.”

Guido Gonella
A questa obbiezione, si ribatteva così:
“Voi non sapete quel che chiedete, se deve trattarsi di un potere davvero incondizionato e oggettivo. L’energia fisica necessaria per produrre quel sollevamento di un tagliacarte è certamente maggiore di quella che occorrerebbe per spostare, per esempio, alcune cellule di un cervello: il che potrebbe causare una emorragia letale. Poi, se si tratta di un potere oggettivo, di fronte ad esso un cervello varrebbe quanto l’altro, come una pallottola di rivoltella produce l’identico effetto su qualsiasi cervello. Potrebbe dunque essere il cervello, per esempio, di un capo di governo di cui con quello spostamento di cellule si potrebbe produrre la morte. Vedete dunque che conseguenze potrebbe avere il possesso di quel potere che chiedete, apparentemente così insignificante per i destini di tutta una nazione”.
E seguivano considerazioni varie circa le “condizionalità interne” di poteri del genere. Questa era l’origine della storia. Il cervello di un capo di governo fu trasformato in quello di Mussolini. Le nostre considerazioni puramente teoriche furono date come una prova che noi intendevamo colpire con la magia il Duce. Alterata volutamente da certi nostri avversari, la cosa era giunta alle orecchie di Mussolini. Impressionatosi, questi per intanto aveva dato l’ordine che io non scrivessi più. In seguito seppi che la stessa polizia era stata messa in allarme.
Naturalmente, tutto fu chiarito e io non ebbi più delle noie. Ma la cosa resta significativa. Uno studio, ancora non fatto, che riuscirebbe interessante, sarebbe quello della mentalità di Mussolini per quel che riguarda il sentimento del sovrannaturale: per il che, naturalmente, non bisognerebbe basarsi sulle dichiarazioni ufficiali ed obbligate riguardo alla religione di lui, non quale uomo ma in veste di capo di governo. Tracce di agnosticismo dovuto alle prime esperienze socialiste (ed anche nietzschiane) di Mussolini si trovano in lui stranamente unite a ciò che, involontariamente e inconsciamente, proveniva da influenze della religione popolare propria alla sua classe sociale originaria, tali da non escludere un certo margine per la stessa superstizione.
Note
[1] Nel 1934 divenne Sottosegretario per la Stampa e la Propaganda, nel 1935 Ministro per la Stampa e la Propaganda e nel 1937 Ministro della Cultura Popolare
[2] Gaetano Polverelli (1886-1960) sarebbe poi divenuto ministro della Cultura Popolare dal febbraio al luglio 1943
[3] Il giovanissimo giornalista Guido Gonella (1905-1982) futuro segretario della DC e ministro, aveva attaccato Evola su L’Osservatore Romano per Imperialismo Pagano. Il filosofo gli aveva replicato chiamandolo “Gonnella”
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