Oggi si celebra il 120° Anniversario della nascita di Julius Evola.
Onoriamo questa giornata riproponendo un celebre passo di Orientamenti, che già pubblicammo un paio di anni fa, in cui Evola ci spiega come si sta in piedi in mezzo alle rovine di quest’epoca buia, tormentata e decadente.
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Ciò che solo conta è questo: noi oggi ci troviamo in mezzo ad un mondo di rovine. E il problema da porsi è: esistono ancora uomini in piedi in mezzo a queste rovine? E che cosa debbono, che cosa possono essi ancora fare?
Un tale problema va invero di là dagli schieramenti di ieri, essendo chiaro che vincitori e vinti si trovano ormai su di uno stesso piano e che l’unico risultato della seconda guerra mondiale è stato il ridurre l’Europa ad oggetto di potenze e di interessi extraeuropei. Devesi riconoscere poi che la devastazione che abbiamo d’intorno è di carattere soprattutto morale. Si è in un clima di generale anestesia morale, di profondo disorientamento, malgrado tutte le parole di ordine in uso in una società dei consumi e della democrazia: il cedimento del carattere e di ogni vera dignità, il marasma ideologico, la prevalenza dei più bassi interessi, il vivere alla giornata, stanno a caratterizzare, in genere, l’uomo del dopoguerra. Riconoscere questo, significa anche riconoscere che il problema primo, base di ogni altro, è di carattere interno: rialzarsi, risorgere interiormente, darsi una forma, creare in sé stessi un ordine e una drittura.
Nulla ha imparato dalle lezioni del recente passato chi si illude, oggi, circa le possibilità di una lotta puramente politica e circa il potere dell’una o dell’altra formula o sistema, cui non faccia da precisa controparte una nuova qualità umana. Ecco un principio che oggi quanto mai dovrebbe aver evidenza assoluta: se uno Stato possedesse un sistema politico o sociale che, in teoria, valesse come il più perfetto, ma la sostanza umana fosse tarata, ebbene, quello Stato scenderebbe prima o poi al livello delle società più basse, mentre un popolo, una razza capace di produrre uomini veri, uomini dal giusto sentire e dal sicuro istinto, raggiungerebbe un alto livello di civiltà e si terrebbe in piedi di fronte alle prove più calamitose anche se il suo sistema politico fosse manchevole e imperfetto. Si prenda dunque precisa posizione contro quel falso «realismo politico», che pensa solo in termini di programmi, di problemi organizzatori partitici, di ricette sociali ed economiche.
Tutto questo appartiene al contingente, non all’essenziale. La misura di ciò che può esser ancora salvato dipende invece dall’esistenza, o meno, di uomini che ci siano dinanzi non per predicare formule, ma per esser esempi, non andando incontro alla demagogia e al materialismo delle masse, ma per ridestare forme diverse di sensibilità e di interesse. Partendo da ciò che può ancora sussistere fra le rovine, ricostruire lentamente un uomo nuovo da animare mediante un determinato spirito e una adeguata visione della vita, da fortificare mediante l’aderenza ferrea a dati principii — ecco il vero problema.