Osservazioni sulla cultura di Destra

Dopo aver pubblicato l’analisi di Evola su contenuti  e prospettive di una “cultura” di Destra, ovviamente sempre nel senso Tradizionale del termine, come già fatto in occasione dell’enucleazione del significato stesso del termine “Destra”, proponiamo a ruota le riflessioni in materia di Adriano Romualdi. Attuali, lucidissime, taglienti, nella parte più critica; esemplificative, stimolanti, nella parte propositiva. Un testo che dettava delle linee-guida da sviluppare e che, dobbiamo ammetterlo, è rimasto purtroppo lettera morta: il desolante panorama delle miserie della cosiddetta “cultura” ufficiale della Destra odierna (ammesso che qualcuno sia in grado di trovarne qualche traccia) sta tristemente a confermarlo.

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di Adriano Romualdi

I brani proposti sono tratti dal saggio Idee per una cultura di Destra, inserito, insieme a La destra e la crisi del nazionalismo, nel volume unico Una cultura per l’Europa, edizioni Settimo Sigillo, 2013.

Perchè non esiste una cultura di Destra

Uno dei motivi che più ricorrono sulla nostra stampa e nelle conversazioni del nostro ambiente è la condanna del massiccio allineamento a sinistra della cultura italiana. Questa condanna viene formulata in tono un po’ addolorato, un po’ sorpreso, quasi fosse innaturale che la cultura si trovi  ormai schierata da quella parte mentre a destra si incontra un vuoto quasi completo.

Di solito si cerca di rendersi ragione di questo stato di cose con spiegazioni a buon mercato, quel tipo di spiegazioni che servono a tranquillizzare se stessi e permettono di restare alla superficie delle cose.
Si dice — ad esempio — che la cultura è a sinistra perché là si trova la maggior quantità di danaro, di case editrici, di mezzi di propaganda. Si dice anche che basterebbe che il vento cambiasse perché  molti «impegnati a sinistra» rivedessero il loro engagément.
In tutto questo c’è del vero. Una cultura, o meglio, la base di lancio di cui una cultura ha bisogno, è anche organizzazione, danaro, propaganda. È indubbio che lo schiacciante predominio delle edizioni d’indirizzo marxista, del cinema socialcomunista, invita engagément anche molti che — in clima diverso — sarebbero rimasti neutrali.
Ma ciò non deve farci dimenticare la vera causa del predominio dell’egemonìa ideologica della Sinistra. Esso risiede nel fatto che là esistono le condizioni per una cultura, esiste una concezione unitaria della vita materialistica, democratica, umanitaria, progressista. Questa visione del mondo e della vita può assumere sfumature diverse, può diventare radicalismo e comunismo, neoilluminismo e scientismo a sfondo psicoanalizzante, marxismo militante e cristianesimo positivo d’estrazione “sociale”. Ma sempre ci si trova di fronte ad una visione unitaria dell’uomo, dei fini della storia e della società.

Da questa comune concezione trae origine una massiccia produzione saggistica, storica, letteraria che può esser meschina e scadente, ma ha una sua logica, una sua intima coerenza. Questa logica, questa coerenza esercitano un fascino sempre crescente sulle persone colte. Non è un mistero per nessuno il fatto che un gran numero di docenti medii ed universitari è comunistizzato, e che la comunistizzazione del corpo insegnante dilaga con impressionante rapidità. E, tra i giovani che hanno l’abitudine di leggere, gli orientamenti di sinistra guadagnano terreno a vista d’occhio.
Dalla parte della Destra nulla di questo. Ci si aggira in un’atmosfera deprimente fatta di conservatorismo spicciolo e di perbenismo borghese. Si leggono articoli in cui si chiede che la cultura tenga maggior conto dei “valori patriottici”, della “morale”, il tutto in una pittoresca confusione delle idee e dei linguaggi.

“A destra si brancola nell’incertezza, nell’imprecisione ideologica. Si è ‘patriottico-risorgimentali’ e si ignorano i foschi aspetti democratici e massonici che coesistettero nel Risorgimento con l’idea unitaria”

A sinistra si sa bene quel che si vuole. Sia che si parli della nazionalizzazione dell’energia elettrica o dell’urbanistica, della storia d’Italia o della psicoanalisi, sempre si lavora a un fine determinato, alla diffusione di una certa mentalità, di una certa concezione della vita.
A destra si brancola nell’incertezza, nell’imprecisione ideologica. Si è “patriottico-risorgimentali” e si ignorano i foschi aspetti democratici e massonici che coesistettero nel Risorgimento con l’idea unitaria. Oppure si è per un “liberalismo nazionale” e si dimentica che il mercantilismo liberale e il nazionalismo libertario hanno contribuito potentemente a distruggere l’ordine europeo. O, ancora, si parla di “stato nazionale del lavoro” e si dimentica che una repubblica italiana fondata sul lavoro che l’abbiamo già – purtroppo — e che ridurre in questi termini la nostra alternativa significa soltanto abbassarsi al rango di socialdemocratici di complemento.

Forse gli uomini colti non sono meno numerosi a destra che a sinistra. Se si considera che la maggior parte dell’elettorato di destra è borghese, se ne deve dedurre che vi abbondano quelli che han fatto gli studi superiori e dovrebbero aver contratto una certa “abitudine a leggere”.
Ma, mentre l’uomo di sinistra ha anche degli elementi di cultura di sinistra, e orecchia Marx, Freud, Salvemini, l’uomo di destra difficilmente possiede una coscienza culturale di destra. Egli non sospetta l’importanza di un Nietzsche nella critica della civiltà, non ha mai letto un romanzo di Junger o di Drieu La Rochelle, ignora il “Tramonto dell’Occidente” né dubita che la rivoluzione francese sia stata una grande pagina nella storia del progresso umano. Fin che si rimane nella cultura egli è un bravo liberale, magari un pò nazionalista e patriota. È solo quando incomincia a parlare di politica che si differenzia: trova che Mussolini era un brav’uomo e non voleva la guerra, e che i films di Pasolini sono «sporchi».

Basta poco ad accorgersi che se a destra non c’è una cultura ciò accade perché manca una vera idea della destra, una visione del mondo qualitativa, aristocratica, agonistica, antidemocratica; una visione coerente al di sopra di certi interessi, di certe nostalgie e di certe oleografie politiche.

Indicazioni per una nuova cultura di destra

Quali problemi si pongono a coloro che vogliono affrontare il problema della cultura di Destra?
Innanzitutto, si rende necessaria una corretta impostazione del problema. E il primo contributo a questa impostazione è la definizione dei rapporti che corrono tra Destra e cultura.

Bisogna mettere in chiaro che, per l’uomo di destra, i valori culturali non occupano quel rango eccelso cui li innalzano gli scrittori di formazione razionalistica. Per il vero uomo di destra, prima della cultura vengono i genuini valori dello spirito che trovano espressione nello stile di vita delle vere aristocrazie, nelle organizzazioni militari, nelle tradizioni religiose ancora vive e operanti.
Prima sta un certo modo di essere, una certa tensione verso alcune realtà, poi l’eco di questa tensione sotto forma di filosofia, arte, letteratura.
In una civiltà tradizionale, in un mondo di destra, prima viene lo spirito vivente e poi la parola scritta.

Solo la civilizzazione borghese, scaturita dallo scetticismo illuministico, poteva pensare di sostituire allo spirito eroico ed ascetico il mito della cultura, la dittatura dei philosophes.
Il democratico ha il culto della problematica, della dialettica, della discussione e trasformerebbe volentieri la vita in un caffè o in un parlamento. Per l’uomo di destra, al contrario, la ricerca intellettuale e l’espressione artistica acquistano un senso soltanto come comunicazione con la sfera dell’essere, con un qualcosa che — comunque concepito — non appartiene più al regno della discussione ma a quello della verità. Il vero uomo di destra è istintivamente homo religiosus non nel senso meramente fideistico-devozionale del termine, ma perché misura i suoi valori non col metro del progresso ma con quello della verità.

Arthur Moeller van den Bruck: “Essere conservatori non significa dipender dall’immediato passato, ma vivere dei valori eterni”.

Essere conservatori — ha scritto Moeller van den Brucknon significa dipender dall’immediato passato, ma vivere dei valori eterni”.
La cultura e l’arte di destra non possono pretendere di essere loro stesse il tempio, ma solo il vestibolo del tempio. La verità vivente è oltre.
Di qui una certa diffidenza del genuino uomo di destra nei confronti della cultura moderna, un disprezzo impersonale per il volgo dei letterati, degli esteti, dei giornalisti. Si ricordino le parole di Nietzsche: “Una volta il pensiero era Dio, poi divenne uomo, ora si è fatto plebe. Ancora un secolo di lettori e lo spirito imputridirà, puzzerà”.         
Di qui l’ostilità del Fascismo e del Nazismo al tipo dell’intellettuale deraciné. In essa non c’è solo la rozza diffidenza dello squadrista e del lanzichenecco per le raffinatezze della cultura ma anche l’aspirazione ad una spiritualità fatta di eroismo, fedeltà, disciplina, sacrificio. José Antonio raccomandava ai suoi falangisti il “sentimento ascetico e militare della vita”.

Fatta questa premessa, consideriamo più da vicino il compito di animare una cultura di destra. Il fine, lo abbiamo detto, è la costruzione di una visione del mondo che si ispiri a valori diversi da quelli oggi dominanti. Non teoria o filosofia, ma “visione del mondo”. Questo lascia un largo margine di libertà alle impostazioni particolari. Si può lavorare a creare una visione del mondo di destra sia da parte cattolica che da parte “neo-pagana”, sia proiettando il mito novalisiano dell’Europa-Cristianità che sostenendo l’identità Europa-Arianità.

Un esempio modesto, ma interessante, di questa concordia discors ci è offerto dalle riviste giovanili del primo neofascismo. Cantiere e Carattere da parte cattolica, Imperium e Ordine Nuovo da parte evoliana hanno contribuito non poco a un processo di revisione di certi miti borghesi e patriottardi caratteristici della vecchia Destra.

Queste riviste, ed altre che non abbiamo nominato (Il Ghibellino, Barbarossa, Tradizione etc.) contribuirono — pur con dei grossi limiti — ad avviare un certo discorso. Esse dovettero tutto o quasi tutto a colui che si può ben definire il maestro della gioventù neofascista: Julius Evola. Senza libri come Gli uomini e le rovine e Cavalcare la tigre non sarebbe stato possibile mantenere libero a destra uno spazio culturale. Ma Evola è un grande isolato, e la sua opera giace ormai alle sue spalle. Occorrono nuove forze creatrici, o almeno un’opera di diffusione intelligente. Vanno coltivati i domimi particolari della storia, della filosofia, della saggistica. Va tentato qualcosa sul piano dell’arte. Non per nulla Evola ha paragonato la tradizione ad una vena che ha bisogno di innumerevoli capillari per portare il sangue in tutto il corpo.

Orientamenti per una nuova cultura di destra

Quali potrebbero essere i compiti di una destra culturale?

Othmar Spann

Nel campo della visione del mondo, la definizione di una concezione organica e non meccanica, qualitativa e non quantitativa, una Ganzheitslehre per la quale esistono tutta una serie di punti di riferimento da Schelling fino a Othmar Spann. Ma anche taluni filoni dell’idealismo — depurati da una certa mitologia storicistica — possono costituire dei punti di riferimento contro il neomarxismo e il neoilluminismo. Dall’Hegel de La filosofia del diritto fino al miglior Gentile, taluni elementi possono essere utilizzati. Non da trascurarsi è la critica della scienza e della concezione matematica del cosmo, nella quale sia la critica al concetto della legge di natura d’un Boutroux, e perfino l‘élan vital di Bergson possono servire quali elementi di rottura per una concezione non matematica, ma volontaristica e spiritualistica dell’universo.

Così, in questo dominio esistono dei punti di riferimento abbastanza numerosi. L’importante è rendersi conto che una visione del mondo dev’essere formulata anche in termini logici, e non solo mitici. L’importanza di un Evola rispetto a un Guénon è che egli ha alle spalle una Teoria e una Fenomenologia dell’Individuo Assoluto, e cioè un vero e proprio pensiero, e della massima consequenziarietà e coerenza. In un’epoca di razionalismo dominante, non si può pretendere di fare accettare un “tradizionalismo” che si presenti in termini più o meno fideistici.     

Per ciò che riguarda la vera e propria scienza, sono innanzitutto da utilizzare le riserve formulate da grandi scienziati contemporanei come un Heisenberg e un Weiszäcker di fronte al metodo scientifico come strumento di conoscenza assoluta. È importante rendersi conto che la più moderna fisica non conosce una “materia” ma una serie di ipotesi intorno a un quid concettualmente indefinibile.
Un secondo dominio è quello dell’antropologia. Antropologi come l’americano Jensen (The heritability of intelligence) e l’inglese Eysenck (Race, Intelligence and Education) hanno analizzato lo scarto intellettuale tra bianchi e neri dando risalto ai fattori ereditari. Un altro americano, Carleton S. Coon nel suo The origin of races — considerato il più importante studio sulle origini dell’uomo dopo quelli di Darwin — ha mostrato come le razze umane non abbiano un comune progenitore ma abbiano superato separatamente la soglia dell’ominazione. Si tratta di affermazioni fondamentali, che i mass-media si sforzano di ignorare ma di cui una Destra non può disinteressarsi per le loro conseguenze anti-egualitarie.

Oswald Spengler

Ai margini della scienza si colloca uno degli argomenti oggi più discussi: l’ecologia. Ebbene, sarebbe assurdo che la Destra abbandonasse alle sinistre questo tema quando tutto il significato ultimo della sua battaglia si identifica proprio con la conservazione delle differenze e delle peculiarità necessarie all’equilibrio spirituale del pianeta, conservazione di cui la protezione dell’ambiente naturale è una parte.
Quello della storia è uno dei campi più violentemente battuti dall’offensiva avversaria. Dimostrare che la Destra è contro “il senso della storia” è uno dei mezzi più a buon mercato per screditarla agli occhi d’un’epoca pronta a scambiare il progresso tecnico col progresso in assoluto.

È necessario innanzitutto far posto a una concezione non banalmente evolutiva della storia. Un Oswald Spengler, un Toynbee, un Günther, uno Altheim possono offrire dei punti di riferimento.
Alla concezione della storia come un meccanico “progresso” va opposta una visione storica che conosce periodi di sviluppo e periodi di involuzione. In genere, non esiste una storia dell’umanità, ma solo una storia delle differenti stirpi e civiltà, ad esempio — una storia dell’Europa come divenire delle stirpi indoeuropee attraverso i cicli preistorico, greco-romano e medievale-moderno.

Questa concezione d’una “cultura” europea è anche quella che ci aiuta a comprendere la storia più recente. Tutta la storiografia di destra dall’ ‘800 in poi è stata scritta in chiave nazionale e nazionalistica. Questo schema non era metodologicamente errato, ma angusto. Esso mostrò i suoi limiti quando il fascismo si pose come movimento europeo per la ristrutturazione dell’intera civiltà europea. È per questo che i libri degli epigoni del nazionalismo come un Tamaro (Vent’anni di storia) ci lasciano insoddisfatti per la mancanza d’una adeguata prospettiva storiografica.

Un cenno particolare merita il dominio dell’arte. Qui non basta la chiarezza degli orientamenti ma occorre integrare le tesi “giuste” con quell’infallibilità del gusto che conferisce ad un sentimento del mondo nobiltà artistica.
Che cos’è l’arte di destra? Non si tratta semplicemente di fare dei buoni romanzi o delle poesie diversi per il contenuto ma di esprimere una differente tensione stilistica. Vi sono libri di autori “impegnati” a destra in cui difficilmente si potrebbe rinvenire questa nuova dimensione. Essa può affiorare invece in scrittori meno engagé. Si veda, ad esempio, Sulle scogliere di Marmo di Jünger.
Questo autore, se in un certo periodo è stato molto vicino al Nazismo, in seguito se ne è distaccato assumendo atteggiamenti critici. Ma difficilmente potremmo trovare qualcosa che sia più “a destra” di questo racconto: l’impersonalità aristocratica della narrazione, lo stile impeccabile e scintillante, l’assenza della sia pur minima scaglia di psicologismo borghese ne fanno un modello difficilmente dimenticabile.
In genere, questi caratteri si ritrovano in tutte le migliori opere di Jünger. Il contenuto letterario di Jünger è un poco prezioso. Ma un sentimento artistico “di destra” può animare anche una materia scarna, povera, “naturalistica”. Così i romanzi del norvegese Hamsun, in gran parte storie di paesani del Nord: pescatori, marinai, contadini. Anche qui, sia pure in tono minore, una ferma e misurata dignità e — al tempo stesso — un elemento mitico nelle vicende di queste anime semplici che lottano contro il destino nell’atmosfera magnetica del paesaggio boreale.

Qui dobbiamo limitarci a un paio di esempi, i primi che ci vengono in mente. Ma ognuno può comprendere quello che abbiamo voluto dire e integrare questi accenni con la sua sensibilità e le sue conoscenze. Queste riflessioni valgono per tutte le arti: il contenuto passa in seconda linea di fronte alla forma. Si veda ad esempio la disinvoltura con cui il Fascismo si è appropriato dell’architettura moderna per esprimere un sentimento del mondo che “moderno” non è. Si veda l’architettura classico-moderna dell’Università di Roma o quella del Foro Mussolini. Si tratta di opere minori, ma di opere ben riuscite, e lo spirito che emana da quella scintillante geometria non è l’aridità dei grattacieli, ma la sostanza dura e lucente dell’anima antica: ordine, misura, forza, disciplina, chiarezza.

E veniamo ad un’arte minore, il cinema. Anche qui faremo alcune riflessioni sparse che possono servire a inquadrare il problema.
Ognuno può vedere che L’assedio dell’Alcazar è un buon film di propaganda fascista. Ma, a rigore, con lo stesso linguaggio, si sarebbe potuta fare anche una epopea antifascista. Vi sono invece talune inquadrature dell’ebreo comunista Eisenstein (abbiamo in mente alcuni fotogrammi di Ivan il Terribile) che, per il loro misticismo nazionalista e autoritario non possono non esser definite “di destra”. Così è noto che Fritz Lang, il regista de I Nibelunghi, era un comunista convinto che abbandonò la Germania all’avvento di Hitler. Ma pochi films più del suo capolavoro riescono ad esprimere la Stimmung eroica, mitica e pagana della Germania nazista. E Goebbels dimostrò una notevole intelligenza quando pensò a lui per la regia del film del Congresso di Norimberga.

Antonius Block (interpretato da Max Von Sydow) ed il fedele scudiero Jöns, di ritorno in Svezia dalle Crociate in Terra Santa, nel celebre film di Ingmar Bergman “Il Settimo Sigillo”

Ancora un esempio: Ingmar Bergman. Questo autore non può certo essere detto “fascista” (sebbene i comunisti una volta ci abbiano provato). Ma vi è in talune sue opere una potenza simbolica, che — trasportata dall’arte nel dominio sociale — non può non esercitare talune, precise suggestioni che gli avversari definirebbero volentieri “irrazionalistiche e fasciste”. Abbiamo presenti alcune inquadrature de Il settimo sigillo. Si ricordino i paesaggi mitici e solenni, la presenza dell’invisibile nel cuore del visibile, il dramma dell’eroe. Qui non si vuol bandire nessun messaggio politico, ma l’impressione che lo spettatore ricava dallo insieme è tutt’altro che “democratica”, “sociale” ed “umanistica”.
Naturalmente, anche qui chi decide è l’istinto. Chi è veramente di destra, chi è interiormente improntato da taluni valori, da un particolare ethos saprà immediatamente distinguere le impressioni artistiche che appartengono al suo mondo. Estetica viene da aisthànomai, un conoscere per sensazione immediata.           
Le considerazioni qui svolte non hanno carattere sistematico. Esse vogliono solo affrontare un problema, non definirlo. D’altronde, in questo campo bastano anche degli orientamenti generici. Di là da questi ognuno deve procedere con le sue conoscenze e le sue capacità.
Bastano pochi cenni per tracciare le linee di sviluppo di una cultura di destra. Ma questo astratto orientamento incomincerà a prendere forma quando dei singoli si metteranno a scrivere e a fare.



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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