di Adriano Romualdi
tratto da “Il Conciliatore”, marzo-aprile 1970 (“CONTESTAZIONE CONTROLUCE“); segue dalla parte precedente “L’ideologia della contestazione”
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3. I partiti di destra e la «contestazione»
Il problema che si pone a questo punto è il seguente: come mai una «rivoluzione» così sfacciatamente inautentica è riuscita a imporsi alla gioventù, e non solo a quella più conformista, ma anche a quella più energica e fantasiosa? La risposta è semplice: perché dall’altra parte non esisteva più nulla.
Seppellita sotto un cumulo di qualunquismo borghese e patriottardo – sotto il perbenismo imbecille della garanzia «sicuramente nazionale, sicuramente cattolica, sicuramente antimarxista» – la destra non aveva più una parola d’ordine da dare alla gioventù.
In un’era di problemi continentali e europei, essa montava la guardia al bidone di benzina dell’Alto Adige; in un’epoca di crescente eccitazione dei giovani, essa diceva loro «statevi buoni»; in un’epoca di offensive e confronti ideologici, essa dormiva tranquilla perchè le percentuali FUAN nei «parlamentini» restavano stazionarie. Fossilizzata nelle trincee di retroguardia del patriottismo borghese, incapace di agitare il grande mito di domani, il mito dell’Europa, le organizzazioni giovanili ufficiali vegetavano senza più contatto alcuno col mondo delle idee, della cultura, della storia.
E’ bastato un soffio di vento a spazzare questo immobilismo che voleva esser furbesco, ma era soltanto cretino. Bastarono le prime occupazioni per comprendere che dall’altra parte – quella della destra – non c’era più nulla. La cosidetta classe dirigente giovanile si lasciò sommergere in pochi giorni, senza fantasia e senza gloria. Quando le bandiere rosse sventolarono in quelle università che avevano costituito fino a pochi anni prima le roccaforti della destra nazionale, molti guardarono a destra, attesero un segno. Ma il segno non venne: mancavano, più che il coraggio, e i giovani – che erano pronti – l’iniziativa e le idee. Maturata nei corridoi di partito, in un clima furbesco e procacciatore, questa cosidetta classe dirigente giovanile – ormai rarefatta a tre o quattro nomi – non aveva assolutamente niente da dire di fronte alla formidabile offensiva ideologica delle sinistre. Ne era semplicemente spazzata via.
La tragica divisione dell’Europa; il sangue sul muro di Berlino; nove paesi europei ridotti a colonie dell’URSS; 300 milioni di Europei senza peso politico, senza volontà, senza armi atomiche: tutti questi avrebbero potuto costituire, per anni e anni, potenti temi d’agitazione. Infine, la grande bandiera dell’unità europea da sventolare in funzione anticomunista e antidemocratica, contro Russi e Americani. Quale altra classe dirigente non sarebbe riuscita a imporre i suoi motivi all’attenzione della gioventù italiana?
E invece, si riuscì a farsi rinchiudere nel ghetto della banalità più retriva. Ci si incancrenì il cervello su quella bega meschina dell’Alto-Adige. Mentre le sinistre, con tutta una rete di circoli politici e culturali, agitavano, con sempre maggiore fantasia, tutta una serie di temi rivoluzionari, la gioventù di destra era castigata a montar la guardia al «dio-patria-famiglia». Si parlava un po’ di Gentile, il cui patriottismo generico era abbastanza scolorito e tranquillizzante, ma si evitavano con gran cura le tesi antiborghesi d’un Julius Evola. La parola d’ordine era di amare la patria e la conciliazione, di odiare il divorzio, il cinema pornografico e la Süd Tiroler Volkspartei. Fascisti sì, ma con moderazione; dei “nazisti”, neppure parlarne.
Ci si deve poi meravigliare se molti dei migliori giovani di destra siano diventati «cinesi»? Per un giovane di temperamento veramente fascista, le parole estreme, la violenza, le vivaci bandiere dei «cinesi» venivano a surrogare quel che la destra ufficiale, tiepida e invecchiata, non poteva più dare.
Ci si può meravigliare se per reazione, sorse il fenomeno del nazi-maoisti?
Mi affretto subito a precisare che questa reazione, per quanto comprensibile, non era tuttavia giustificabile. In primo luogo, perchè molti di questi nazi-maoisti erano soltanto dei signorini che cercavano di tenersi alla moda. Ma anche quelli che sinceramente speravano di creare un nuovo fronte rivoluzionario, disparvero nella selva di bandiere rosse dei loro «alleati». La loro incerta tematica fu risucchiata dal gergo marxista. Crearon dei dubbi, di cui solo il comunismo si avvantaggiò.
Vorrei ricordare però quell’episodio, di cui si parlò molto a suo tempo, nel quale un’ibrida assemblea ascoltó insieme e rispettivamente brani di Evola e di Mao-Tze-Tung. Fu come una pausa, un momento di sospensione prima che si urtasse contro l’irriducibilità di due ideologie.
E tuttavia, esso sta a dimostrare come una visione di destra rivoluzionaria e antiborghese avrebbe per lo meno disorientato i contestatori, e come la contestazione avrebbe potuto esser loro strappata di mano se solo si fosse avute alle spalle una tematica meno bolsa e convenzionale.
4. Il significato politico del « movimento studentesco».
Ciò che non ha compreso la destra, la necessità di ringiovanire la sua tematica, lo ha ben compreso il P.C.I.
Il P.C.I. ha coscientemente coltivato tutta una certa mitologia mediante associazioni culturali, politiche, artistiche, alle quali vien garantita la massima libertà critica nei confronti del partito, ma che portano avanti un certo tipo di discorso atto a condurre i giovani nell’area del comunismo. Il fatto è che il partito comunista ha compreso da anni una verità che nel nostro ambiente non è ancora entrata in testa a nessuno, e cioè che un partito estremista, in un momento non rivoluzionario, con una situazione internazionale statica e un certo sonnacchioso benessere all’interno, può portare avanti solo un’offensiva ideologica, appoggiata a minoranze imbevute di un certo mito della vita e che vengon gettate avanti per conseguire effetti psicologici.
Il P.C.I. ha compreso anche che un certo comunismo da cellula, alla russa, è ormai qualcosa di troppo austero coi tempi che corrono, e ha puntato le sue carte sui comunismi esotici, romantici, tropicali, sui poteri negri e gialli, sui comunismi barbutelli, pidocchiosi, fantasiosi, il comunismo del Che e del cha-cha-cha, di Luther King e di Halleluja.

Black power: uno degli esempi del “comunismo alla moda, che piace a una gioventù sempre più sbracata”
E’ questo il comunismo alla moda, il comunismo che piace a una gioventù sempre più sbracata. Il centro d’infezione di questo nuovo comunismo è la casa editrice del miliardario comunista Giangiacomo Feltrinelli (per gli amici «Giangi»), il Giangiacomo Rousseau della nuova rivoluzione. Ogni età ha gli eroi e i giangiacomi che si merita. E’ dalle librerie di Feltrinelli che escono a migliaia i libri sulla droga e sulla Bolivia, sui negri e su Fidel Castro, è là che si posson comprare i distintivi di protesta, é là che fu tenuta a battesimo la rivista «Quindici», organo del «movimento studentesco».
Poco importa che le avanguardie cinesi e castriste snobbino il P.C.I. Esse seminano pur sempre un grano che non sarà mietuto nelle lontane Avana e Pekino, ma dal comunismo nostrano. Il «movimento studentesco» attira i giovani in un ordine di idee che – placatisi i giovanili bollori – farà di loro dei bravi elettori comunisti. Il P.C.I. ha sempre controllato la agitazione studentesca. Nessuno crederà che le occupazioni di facoltà protrattesi per mesi interi siano state possibili senza l’apparato logistico del partito comunista, senza i rifornimenti della FGC. I pacchi-viveri che furono distribuiti a Roma nella facoltà di Lettere occupata, erano involti in carta elettorale del P.C.I. I professori alla testa della rivolta erano i soliti Chiarini, Amaldi, Asor-Rosa. I parlamentari alla testa dei cortei del «movimento studentesco» erano parlamentari comunisti.
Quali risultati politici si aspetta il partito comunista da questa agitazione? Innanzitutto, creare un clima di frontismo giovanile, un fronte comune di giovani cattolici e giovani comunisti contro il governo e, chissà, domani, utili idioti «nazionali» e giovani comunisti contro la NATO. Logorando la preclusione anticomunista nei giovani democristiani, esso pone le premesse per il superamento dell’anticomunismo D.C. In secondo luogo, esso ricatta i socialisti, costringendoli a una «corsa a sinistra» all’interno del centro-sinistra. In terzo luogo, esso pone la sua candidatura alla partecipazione al governo, della quale – a parte l’alleanza atlantica – esistono già tutte le premesse.

Leonìd Il’ìč Brèžnev e Fidel Castro
Di fronte a questo lucido disegno del P.C.I., che si serve della gioventù universitaria come d’una forza d’urto, sta l’inettitudine della attuale classe dirigente della destra giovanile a dire una parola nuova alla gioventù. E’ questa inettitudine che ha condotto a quelle defezioni e a quelle confusioni che si sarebbero potute evitare. Perché è chiaro che si può respingere un certo trito linguaggio benpensante senza cadere per questo nella retorica viet-cong o guevarista. Che si puo alzar la bandiera del nazionalismo europeo senza dimenticare le garanzie necessarie alla sicurezza dell’Europa. Che ci si può battere nelle università contro l’«ordine costituito» ma, contemporaneamente, contro i comunisti.
Poiché la destra, il fascismo, pur nella loro crisi attuale, rappresentano pur sempre l’unica alternativa rivoluzionaria per la gioventù.
Non la rivoluzione dei tranvieri che voglion tremila lire in più; non quella di Fidel Castro solidale con Brezhnev che schiaccia Praga; non quella dei buffoni, dei cialtroni, degli ingannati che parlan di «repressione» mentre mezza Europa geme sotto i cingoli russi. Ma la rivolta dei 400 milioni di Europei contro la pace russa imposta nel 1945.
La rivolta contro la mistificazione comunista che vuol farci dimenticare questa pace e le lacrime di cui gronda. La rivolta contro la prospettiva classista che impedisce ai lavoratori italiani al comprendere che solo l’Europa unita li eguaglierà ai lavoratori inglesi o tedeschi.
La rivolta degli europei per l’unità e la potenza della Europa, che deve passare anche dalle università, spezzando i miti e le menzogne del «movimento studentesco».
'Partiti di destra, contestazione e significato politico del movimento studentesco' 1 Commento
14 Settembre 2019 @ 21:54 Cristian Giovanni
Salve.
Riguardo alla prima parte volevo fare un’osservazione: il nostro sistema universitario è andato qualitativamente a decadere ulteriormente. Non mi rivolgo soltanto alla oramai completa massificazione delle nostre università, ma sulla modalità di formazione delle nuove generazioni. Ci troviamo in un periodo in cui prevale lo studio nozionistico, finalizzato a creare una massa di tecnici in tutti i saperi. Basti pensare allo studio della politica per mezzo della ” scienza politica “. La ” cultura superiore ” di cui ha parlato Adriano Romualdi sta andando a scomparire e continuando così sarà probabile che tra non poco i governi verranno completamente gestiti da scienziati della politica, dell’economia, della società ecc. .
Vorrei pure approfondire la critica di Adriano Romualdi sulle vicende del Sessantotto: tutti questi giovani erano nati dopo la seconda guerra mondiale e ciò gli ha permesso di non avere ricordi sulle ristrettezze economiche che imponevano i tempi della ricostruzione delle economie nazionali. Sono tutti giovani cresciuti nella cultura consumistica importata dall’America; sono giovani che hanno conosciuto soltanto la prosperità economica! E soltanto così si spiega perché questi ” comunisti ” si opposero ad ogni forma di gerarchia sociale, compresa quella più naturale ovvero la famiglia ( uno slogan che avevo letto era ” Meglio nascere orfani ” ). Convinti di poter’ chiedere e fare tutto, senza scendere a compromessi ( ricordo altro slogan ” Siamo realisti, pretendiamo l’impossibile ” ). E aveva ragione Andriano Romualdi quando scrisse in questo articolo: .
Infine possiamo dire che le conseguenze furono un disastro per la destra, ma non solo perché non è stata capace di rinnovarsi ideologicamente ( o comunque di tramutare il suo pensiero in azione nel momento del bisogno ), ma perché ci riuscì bene la sinistra! La radici storico-culturali della ” sinistra radicale ” risalgono proprio nel ’68! Il suo successo si è basato sull’abbandono del linguaggio tradizionale ovvero quello classista ( non funzionava più perché il nuovo capitalismo era stato capace di migliorare le condizioni di vita degli operai; anche qui, meraviglioso Adriano che l’ha evidenziato durante l’articolo! ) per sposare le tematiche che stavano più a cuore agli edonisti di quel tempo, l’ambiente e il femminismo. Ed ecco spiegato come nascono i partiti ” verdi ” che avrebbero avuto subito successo nella Germania dell’Ovest.
Il Sessantotto non rappresenta altro che la vittoria del non-Spirito, ovvero della materia, e la caduta totale delle ideologie politiche. Sorprendentemente lì è morto pure lo stesso comunismo di stampo marxista-leninista.