Prospettive dell’exoterismo

Dopo l’articolo “il dono delle lingue” (da noi riproposto come “la via religiosa e la via metafisica”), efficace metafora guénoniana per indicare le svariate forme in cui il Logos divino si manifesta nel mondo sensibile nelle dimensioni spazio-temporali, continuiamo a piccoli passi con qualche approfondimento sul tema esoterismo-essoterismo, monoteismo-politeismo, anche in tal caso senza alcuna pretesa di esaustività, vista la straordinaria complessità e profondità del tema. Proponiamo oggi alcuni passaggi in “pillole”, estrapolati da scritti di Evola e raccolti in tre paragrafetti, che ci apriranno ad altre analisi al riguardo di prestigiosi autori tradizionali.

La posizione di Evola sul rapporto esoterismo-essoterismo è nota: il barone ha sempre considerato la prospettiva devozionale, fideistica, dogmatica, teistica e quindi dualistica di approccio al sacro come una forma spirituale monca, diminuita, imperfetta, non in grado di garantire l’immortalità superiore dopo il venir meno dell’esistenza biologica, immortalità da considerare un’eccezione alla mera persistenza “larvale”. Una prerogativa, quindi, di quei pochi eletti che in vita fossero stati in grado di innalzarsi a forme conoscitive dirette superiori, in grado di creare la giusta predisposizione e trasmutazione dell’individuo, funzionale ad una persistenza olimpica, solare, divina, nel post-mortem. Eppure, vedremo come il concetto di matrice precristiana della cosiddetta “immortalità condizionata”, riservata a pochi eletti, quale contraltare alla persistenza “larvale” della maggior parte delle persone in una sorta di Ade perenne, non fossero anch’esse che una trasposizione, da un angolo visuale differente, di un’unica realtà metafisicamente oggettiva e non suscettibile di interpretazioni, in cui esoterismo ed exoterismo giocano ruoli ben precisi, legati a filo doppio l’uno all’altro, due facce di un’unica medaglia, due rifrazioni di un’unica luce, sullo specchio del manifestato.

Su questo punto il dissenso di Evola con Guénon è sempre stato netto. Ad esempio, fu celebre la critica che il barone rivolse al maestro di Blois per il suo noto saggio Necessità dell’exoterismo tradizionale, che fra breve vi proporremo, contenuto nell’opera postuma Iniziazione e realizzazione spirituale, pubblicata del 1952. Nel suo articolo René Guénon e la scolastica guènoniana, apparso sul periodico “Il Ghibellino” nel gennaio del 1963, infatti, Evola scrisse che “la rottura fra le forme di vita esteriore e i residui tradizionalistici exoterici da una parte, ed ogni possibile orientamento trascendente dall’altra, è ormai da noi profondo e irreversibile”. Anzi, com’è noto, il fatto che ormai le forme essoteriche si stessero gradualmente sfaldando sotto i colpi della dissoluzione propria alla società borghese avanzata, e che il “Dio che era morto”, per dirla con Nietzsche, non era quello della metafisica, ma quello della morale, cioè il “Dio-persona”, era visto come un dato positivo da Evola. Infatti, questa particolare “congiuntura” dei tempi ultimi avrebbe potuto permettere all’uomo differenziato, in un contesto in cui ogni regola stava venendo meno, e quindi “al di là del bene e del male” (dualismo proprio di un approccio religioso e non metafisico al sacro) di affrontare la sfida finale per una superiore, “libera” riaffermazione di sé in chiave trascendente, una trascendenza da riscoprire in sé stessi, tra le rovine del nichilismo, nell’assenza di forme esteriori tradizionali cui appoggiarsi, e quindi “cavalcando la tigre” della dissoluzione.

Per Evola, ovviamente, l’esempio paradigmatico di forma religiosa devozionale, “troppo umana“, fondata sul tipico rapporto dualistico tra individuo e Dio-persona, il dio del teismo, “una proiezione di valori morali e sociali o un appoggio per la debolezza umana” (da Cavalcare la tigre), era rappresentato dal Cristianesimo. Pur non intaccata nelle sue fondamenta, tuttavia la posizione di Evola sulla dimensione exoterica del sacro e sul Cristianesimo, subì nel tempo qualche oscillazione. Già varie volte abbiamo parlato di quell’incredibile resoconto delle esperienze giovanili in stati di post-mortem indotti e vissuti da Evola (Ur, 1928), in cui il barone svelava di aver “compreso”, tramite la conoscenza diretta della Legge Causale degli Enti, oltre che dei canali psichici di comunicazione e delle linee naturali di minor resistenza, “il perché dell’afflizione e delle miserie, apparentemente inesplicabili, di santi e di iniziati“, nonché “la dottrina della cosidetta espiazione vicaria” intorno a cui ruota l’essenza ultima del Cristianesimo quale religione della Salvezza dei tempi ultimi.

Inoltre, come ben sanno i più attenti conoscitori di Evola, nella terza storica edizione del 1971 di Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, il barone lasciò spazio ad un’analisi dell’exoterismo cristiano molto più “aperta” alla comprensione del ruolo salvifico solto dall’approccio fideistico-devozionale e sacrificale al sacro, tramite cui i più deboli e, più in generale, l’uomo decaduto di fine ciclo, può trovare un’ancora di salvezza, nell’impossibilità praticamente “fisiologica”, per tale tipo di uomo, di giungere a forme di autotrascendimento conoscitivo diretto, di natura iniziatica, esoterica (con il rischio, per chi tenti oggi di giungere a simili approdi senza averne la predisposizione, la preparazione e la  corretta centratura spirituale, di precipitare in abissi da cui non poter più risalire). In tal senso, alcuni passi tratti dal capitolo VII di Maschera e volto, nella tarda edizione, come dicevamo del 1971 (Parentesi sul cattolicesimo esoterico e sul “tradizionalismo integrale”) sono realmente indicativi. Anche se, poi, emergono in tutta la loro problematicità ulteriori passaggi in cui la funzione salvifica di Cristo quale esempio paradigmatico di “espiazione vicaria“, che il giovane Evola aveva mostrato di aver compreso per “conoscenza diretta” (“mi risultò tutta evidente“), veniva ora tacciata sostanzialmente di “assurdità” in termini sovrasensibili, così come lo scaricamento “deterministico” su altri esseri delle forze generate dal “peccato”, dalle colpe, tramite quelle linee di minor resistenza di cui sempre l’Evola della Legge egli Enti aveva espressamente scritto di aver avuto consapevolezza “con certezza assoluta“.

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1) Guénon, la Tradizione e le sue manifestazioni. Esoterismo ed exoterismo

La critica contro la civiltà moderna era, nel Guénon, potenziata, ma, a differenza di quella di varî autori contemporanei più o meno noti, in lui aveva una precisa controparte positiva: il mondo della Tradizione, considerato come il mondo normale in senso superiore. Era di fronte al mondo della Tradizione che il mondo moderno appariva come una civiltà anomala e regressiva, nata da una crisi e da una deviazione profonda dell’umanità. Questo fu appunto il tema basilare che andò a completare il sistema delle mie idee: la Tradizione. Nel Guénon tale termine ha un significato speciale. Anzitutto viene usato al singolare, con riferimento ad una tradizione primordiale di cui tutte le varie particolari tradizioni storiche premoderne sono state promanazioni, riflessi o forme varie di adattamento e di espressione. In secondo luogo, la Tradizione non ha nulla a che fare con conformismo e con routine; è la struttura fondamentale di una civiltà di tipo organico, differenziato e gerarchico in cui tutti i dominî e tutte le umane attività hanno un orientamento dall’alto verso l’alto. Il centro naturale di tale sistema è una influenza trascendente e un corrispondente ordine di principî, che in ogni civiltà tradizionale sono rappresentati da una élite o da un capo, rivestenti, per tal via, una autorità tanto incondizionata, quanto legittima e impersonale (da Il Cammino del Cinabro, cap. VI, 1963).

Qui può entrare invece in quistione ciò che può fornire la corrente del «tradizionalismo integrale», la quale ha avuto essenzialmente René Guénon come caposcuola. L’idea di base è la nozione di una tradizione primordiale metafisico-unitaria dì là da ogni tradizione o religione particolare. II termine «metafisico» qui è preso non nel senso astratto che ha in filosofia ma con riferimento ad un sapere intorno a quel che non è «fisico» nell’accezione più ampia, e ad una realtà che trascende il mondo soltanto umano con tutte le sue costruzioni. Detta tradizione avrebbe avuto nelle diverse tradizioni storiche particolari tante manifestazioni più o meno complete, con adattamenti alle varie condizionalità ambientali, statiche e razziali, realizzatesi per vie che sfuggono alla ricerca profano. In tale presupposto sarebbe data la possibilità di ritrovare elementi costanti o omologabili negli insegnamenti, nei simboli e nei dogmi di dette tradizioni storiche particolari e rifarsi ad un superiore piano di oggettività e di universalità (da Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, cap. VII, 1971).

Il Guénon era partito dall’idea di una unità interna, trascendente, delle grandi religioni positive, che interpretò come adattazioni varie, condizionate dal carattere specifico di dati popoli, di date aree e di dati periodi storici, di un insegnamento unico riguardante il sovrannaturale. A tale riguardo doveva distinguersi l’exoterismo dall’esoterismo. È exoterismo tutto ciò che è di pertinenza specifica di una singola tradizione nel suo ambito circoscritto, oltre ad avere in vista la grande massa. L’esoterismo riguarda invece la dimensione interna nella quale una data tradizione comunica con la Tradizione al singolare, su di un piano superdevozionale, intellettuale e metafisico. Su tale piano è pertanto possibile scorgere l’identità sostanziale di simboli, riti e esperienze nelle tradizioni “exotericamente” più diverse. Una scala poteva essere stabilita solo in base alla misura in cui tale identità è più o meno percepita (da Il cammino del cinabro, cap. VIII, 1963).

2) Funzione salvifica della prospettiva essoterica cristiana per l’uomo decaduto?

Se ci si riferisce al primo cristianesimo, esso ci si presenta come una tipica religione del kali-yuga, dell’«età oscura», epoca che nella formulazione occidentale dello stesso insegnamento corrisponde all’«età del ferro», nella quale Esiodo come destino per i più considerò «lo spegnersi senza gloria nell’Ade». La predicazione cristiana, rivolta originariamente soprattutto alla massa dei diseredati e dei senza tradizione dell’ecumene romano, ha avuto per presupposto un tipo umano assai diverso da quello che tradizioni di un livello più alto avevano in vista, un tipo che per quel che riguarda l’accesso al divino si trovava in una situazione disperata. Cosi essa prese in forma di una dottrina tragica della salvazione. Venne affermato il mito del «peccato originale» e indicata l’alternativa di una eterna salvezza o di una eterna perdizione da decidersi una volta per tutte su questa terra, esasperandola con raffigurazioni impressionanti dell’Aldilà e con visioni apocalittiche. Era un modo per suscitare, in certe nature, una tensione estrema la quale, specie se associata al mito di Gesù quale «Redentore», poteva anche dare i suoi frutti: se non in questa vita, almeno in punto di morte o nel post-mortem, qualora questi mezzi indiretti agenti sulla emotività umana fossero giunti a modificare nel profondo la forze basale dell’essere umano.

Nel rivolgersi a più vaste masse, il successivo cattolicesimo ha velato, in una certa misura, la crudezza estremistica di questa vedute, preoccupandosi di fornire dei sostegni per la personalità umana, di cui ha riconosciuto la destinazione sovrannaturale, e di esercitare un’azione sottile sul suo essere più profondo per mezzo del potere del rito e del sacramento.

Il simbolo tradizionale del Cuore, sedes sapientiae, nella versione cristiana del Sacro Cuore di Gesù, che promana fuoco e luce

In questo contesto, si può indicare la possibile ragione pragmatica, pratica, di essere di alcuni aspetti del cattolicesimo. Già certi principi della morale cattolico-cristiana, come quelli dell’umiltà, della caritas e della rinuncia al proprio volere, se intesi nel modo giusto e nel giusto luogo, potrebbero essere stati formulati come un correttivo in vista della chiusura e dall’autoaffermazione individualistica alle quali l’uomo occidentale spesso propendeva. In vista della stessa limitazione sul piano intellettuale, e della corrispondente «umanizzazione » di ogni capacità di visione, può essere stato opportuno presentare nella forma di dogma e secondo autorità ciò che è situato al disopra del comune intelletto ma che ad un livello più alto almeno per una élite può essere invece conoscenza, evidenza diretta, gnosi. È possibile che per una non diversa ragione si sia ritenuto opportuno parlare di «rivelazione» e di «grazia»: per sottolineare il carattere di relativa trascendenza del vero sovrannaturale rispetto alle possibilità di un tipo umano più o meno decaduto e che doveva dimostrarsi sempre più proclive a ogni genere di prevaricazioni razionalistiche e umanistiche. Infine si è già accennato che i rapporti di semplice «fede» in un quadro teistico, con la distanza che essi lasciano sussistere, se sono certamente limitatori (per cui in tradizioni più complete essi sono stati considerati solo per gli strati inferiori di una civiltà), possono essere tali da garantire l’integrità della persona, la quale presso a mistiche panteistiche e in sconfinamenti nel sovrasensibile, come si è detto più volte, può non trovar più un saldo suolo.

Queste sono limitazioni della dottrina cattolica, aventi possibili valenze positive, opportune nei riguardi della gran massa degli uomini e in vista  – ripetiamolo – delle condizioni negative dell’epoca ultima, dell’«età oscura». Dato che ci si tenga a questo livello, idee, come quelle di cattolici, quale H. Massis e anche A. Cuttat, potrebbero anche essere giuste: il cattolicesimo rappresenta una difesa dell’uomo occidentale – mentre ogni torma non più dualistico-teista di spiritualità (e a tale riguardo spesso si ama riferirsi all’Oriente) può rappresentare, per lui, un pericolo. Ma quando non ci si tenga più a quel livello, le cose cambiano, e di molto. Se si mira ad aprire positive sui sovrannaturale e si ha in vista, come mèta, ciò che si potrebbe chiamare la superpersonalità, ossia la personalità integrata al disopra delle comuni condizionalità umane, allora riferirsi al cattolicesimo (non parliamo, poi, di quello dei nostri giorni) non è più una limitazione che protegge e preserva ma è un fattore di impietramento che si giustizia da sé per le reazioni che la sua intollerante e faziosità può provocare ed ha provocato in chi miri a quella diversa realizzazione di sé e che abbia portato l’attenzione su tradizioni o dottrine non occidentali e non cristiane nelle quali è più visibile un contenuto metafisico o iniziatico e non la riduzione religiosa, dogmatica o ritualistica di esso con una rigida mito logica teistica.

Oggi difficilmente può essere riattualizzata, se non eccezionalmente in alcuni e presso a crisi esistenziali pericolose, la potenzialità del cristianesimo delle origini come  quella «dottrina tragica della salvazione» di cui si è detto. Per chi fosse da tanto, il problema non si pone e noi diciamo, d’altronde, senza reticenze, che se persone, le quali non hanno conosciuto altro che le vanissime costruzioni della filosofia e della cultura profana plebeo-universitaria di oggi o le contaminazioni dei vari individualismi, estetismi e romanticismi contemporanei, si «convertissero» al cattolicesimo e vivessero veramente almeno la fede, con un totale impegno e possibilmente in un senso «sacrificale», ciò significherebbe non una abdicazione ma già, malgrado tutto, un progresso (Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, 1971, cap. VII).

3) La cd. “espiazione vicaria”, il sacrificio redentivo, le linee di minor resistenza: inesplicabili princìpi metafisici o reductio ad absurdum?

Mi risulta che nel mondo degli «enti» esiste una legge di necessità, paragonabile a quella fisica dell’azione della reazione. Quando si crea una resistenza di contro al vortice di un ente, si crea la causa di un effetto; tanto più, quando si opera un’azione magica. L’effetto è una reazione, cioè una forza dell’ente, che si volge contro chi resiste od agisce. Se l’operatore sa resistere, la forza si scarica altrove, MA IN OGNI CASO SI SCARICA. Le «linee di minor resistenza» allora sono costituite dalle persone strette da un legame di simpatia, od anche di sangue, con chi agisce. Questo, lo so dall’esperienza; e questa conoscenza mi aprì gli occhi sopra un mondo di nuovi significati.

Seppi che è possibile creare dei fatti: pagare con un’altra moneta. Pagare. p. c.. con valori della vita fisica e materiale il grado e il potere conquistato nel sopra-sensibile. Quanto chiaramente lessi il perché dell’afflizione e delle miserie, apparentemente inesplicabili, di santi e di iniziati! Così pure la dottrina della cosidetta «espiazione vicaria» mi risultò tutta evidente: è possibile rimuovere in via sopranaturale mali e «peccati» di altri, però a condizione di prenderli sulla propria persona.

Io però non accettai nessun patto, non scesi a nessuna concessione. Non per paura, non per egoismo, ma per disprezzo dei compromessi e per volontà di signoria assoluta. Riuscii quasi completamente a parare i colpi che volgevano successivamente alla mente (stati di astenia, di sfiducia, di esaltazione, ecc.), poi al mio organismo, poi alla stesso ordine delle cose pratiche in cui mi trovavo. Ed allora accadde che le reazioni cercarono un’altra via, si scaricarono su altri esseri. La seppi con certezza assoluta, pel tramite di visione del fatto che poi doveva accadere, anche a distanza di città; e questa visione balenava dopo le operazioni, ed era accompagnata da un senso di soluzione, analoga alla soluzione delle crisi parossistiche di cui ho detto prima, analoga all’evidenza di un accordo che chiude armonicamente una frase musicale.

Ho detto quali sono le linee naturali di minor resistenza. Aggiungo però che esse sono paralizzate non appena si domini ogni attaccamento e ci si chiuda a ogni risuonanza affettiva. Sono certo infatti che la cosa non accade per ragioni di vendetta o di rappresaglia, ma per una legge naturale ed impersonale del mondo sottile. Ogni legame affettivo è come un tubo psichico di comunicazione fra due persone, e come soluzione prima e più immediata le reazioni respinte dall’una passano, attraverso di esso, sull’altra. Ma la disciplina di «purificazione» su cui si insiste tanto in magia, la realizzazione dell’impassibilità, della neutralità, del distacco, distrugge la comunicazione. Vi è una legge, allora, che conduce le reazioni su altri esseri predestinati e che possiamo anche non conoscere? Lo ignoro, ma lo credo. Quel che è certo da quanto mi risulta finora, è che la reazione, in ogni modo, deve avvenire.

Non nascondo che da questi fatti – i più significativi sono recenti – sono stato assai scosso. Intendiamoci: a scrupoli moralistici, a superstizioni di «bene» e di «male», a manie di pietà e di compassione posso, in me e fuori, imporre il silenzio. Ma se il problema si presentasse altrimenti: se fosse vero che ciò a cui ho accennato accade per una debolezza in me di cui non so, per il fatto che non so chiedere al mio «io» una forza ulteriore; in questo caso, per un punto di nobiltà, di dignità interiore, sentirei una responsabilità inflessibile.

Particolare della “Discesa di Cristo agli inferi” (chiesa di San Salvatore in Chora, Istanbul) (cliccare per ingrandire)

È possibile affermarsi nel sopra-sensibile. È possibile, da là, agire in qualsiasi senso, nel «male» come nel «bene»; è possibile, per sufficiente forza e sufficiente rinuncia, sottrarsi agli effetti, mantenersi in piedi fra colpi che non intaccano, al di sopra di ogni legge – ma gli effetti è possibile anche annullarli, sospenderli nel vuoto? È possibile, in altre parole, spezzare la legge di azione e di reazione degli enti?. Questo, oggi come oggi, non lo so; e stimerei come grande ventura personale incontrare chi, più innanzi di me, sapesse e volesse dirmelo (La legge degli Enti, Ur, 1928).

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La stessa concezione della funzione di salvatore o redentore del Gesú Cristo storico, nella misura in cui essa è presentata nei termini di una «espiazione vicaria», cioè della espiazione, da parte di un innocente, di colpe commesse da altri (in questo caso, del «peccato originale» gravante sul ceppo di Adamo), presenta una intrinseca assurdità. Il presupposto qui è evidentemente una concezione in fondo materialistica e deterministica del sovrasensibìle.

Infatti la teoria, che una colpa non possa essere cancellata se qualcuno non l’espia, implica il riconoscimento di una specie di determinismo o fatalismo, di una specie di karma: quasi che la colpa avesse creato una sorta di carica che in ogni caso deve scaricarsi, se non sull’uno, almeno sull’altro, tanto che il sacrificio di un innocente o di un estraneo può valere, oggettivamente, quanto l’espiazione nella persona dei reo. Tutto ciò rientra in un ordine di idee molto lontano da quella religione della grazia e della libertà sovrannaturale, che vorrebbe essere il cristianesimo in opposto all’antica religione ebraico-farisea della Legge. Già nei primi secoli gli avversari del cristianesimo rilevarono giustamente che se Dio voleva riscattare gli uomini avrebbe potuto farlo con un semplice atta di grazia e di potenza, senza esser costretto a sacrificare, in sede di espiazione vicaria, suo figlio, dando, con ciò, agli uomini l’occasione di compiere un nuovo orrendo delitto e come se la remissione fosse una legge ferrea, quasi fisica, contro cui Dio stesso non può nulla. Ciò dice delle difficoltà che sorgono per chi si tenga, nei riguardi della storia di Cristo, al punto di vista exoterico-religioso e non sappia separare, d’altra parte, il lato interno ed essenziale della dottrina da motivi che provengono da concezioni inferiori e che solo sulla base di esigenze sentimentali (sacrificio divino per l’umanità, amore, ecc.) sono potute passare in primo piano e costituirsi nello stesso cattolicesimo ad «articoli di fede» (Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, cap. VII, 1971).



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'Prospettive dell’exoterismo' Hai 2 commento/i

  1. 26 Novembre 2019 @ 21:25 Massimo

    Sarà stato certamente un refuso, ma l’articolo di Guénon citato nella Vostra introduzione è “Necessità dell’exoterismo tradizionale”.

    Rispondi

    • 28 Novembre 2019 @ 10:41 Julius Evola

      Effettivamente era un refuso. Grazie della segnalazione.
      Continua a seguirci!

      Rispondi


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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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