Quando Evola intervistò il conte Kalergi

A distanza di pochi giorni dagli approfondimenti dedicati da RigenerAzione Evola al progetto della cosiddetta “Internazionale Sovranista” di Steve Bannon, proponiamo ai nostri lettori un documento che ben pochi conoscono, un’esclusiva di estremo interesse, dato il periodo storico e la minaccia rappresentata dall’operazione pianificata da Bannon e da chi per lui per imbrigliare, depotenziare e corrompere forze europee dai connotati atipici e potenzialmente pericolose per i “Grandi Architetti” del Nuovo Ordine Mondiale.

Si tratta di un’intervista che Julius Evola realizzò nella primavera del 1933, nelle vesti – per lui non insolite in quegli anni – di cronista per “Il Regime Fascista” dell’amico Roberto Farinacci, con il Conte Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi, in visita a Roma per incontrare Mussolini. L’intervista-incontro uscì con il titolo di “Paneuropa e Fascismo: colloquio col Conte R.N. Coudenhove Kalergi”. Qualche lettore probabilmente salterà sulla sedia: sì, si tratta proprio di “quel” Kalergi, di colui che nell’area della Destra è considerato il precursore dell’attuale Unione Europea, l’artefice del primo progetto di un’Europa unificata (“Paneuropa”) nell’ambito di una più ampia organizzazione planetaria politicamente retta da un governo mondiale, che federasse vari “continenti politici”, in un contesto di cosmopolitismo, globalizzazione e miscuglio etnico, funzionale alla diffusione di un meticciato globale ed al tramonto della civiltà europea. Toni apocalittici, ricostruzioni inverosimili, citazioni spesso fantasiose e volutamente alterate dalle opere di Kalergi (in particolare dall’opera “Praktischer Idealismus”, come vedremo), hanno fatto crescere il mito del cosiddetto “Piano Kalergi” per la sovversione globalizzatrice etnico-culturale. Non è certamente questa la sede per giungere a conclusioni univoche su questo tema, dato che tutta la vicenda che ha ruotato intorno alla figura di Kalergi è assai oscura. Cercheremo però di dare ai lettori delle informazioni fondamentali, anche per far capire perché Evola era in quegli anni potesse essere interessato a questa figura.

Sicuramente il Conte Richard Nikolaus von Coudenhove-Kalergi era un perfetto cosmopolita già in forza della sua “equazione personale”, come avrebbe detto Evola: nato a Tokio nel 1894, figlio di un diplomatico austriaco, ambasciatore nella capitale nipponica per conto dell’Impero Austro-Ungarico, e di una giapponese, Mitsuko Aoyama, discendente di un’antica famiglia di samurai; cresciuto in Boemia, studiò filosofia e si formò a Vienna (dove sposò nel 1915 Ida Roland, attrice di origini ebraiche), e dopo la prima guerra mondiale dapprima acquisì la cittadinanza cecoslovacca, per poi essere naturalizzato francese. Nel 1921 Coudenhove-Kalergi viene anche iniziato nella loggia massonica viennese “Humanitas”, da cui si distaccherà qualche anno dopo, per evitare che la sua affiliazione nuocesse al suo progetto paneuropeo.

Dinnanzi ai nefasti effetti della prima guerra mondiale, che portò al collasso degli ultimi imperi europei, Kalergi elaborò l’idea di una riunificazione europea (con l’esclusione della Russia e dell’Impero britannico, ma con l’inclusione delle colonie francesi e italiane) sotto l’egida della Società delle Nazioni, di cui trattò nel celebre volume Pan-Europa del 1923, cui seguì la fondazione di un movimento, l’Unione Paneuropea Internazionale, cui avrebbero aderito molti capi di stato, politici ed intellettuali (tra cui Konrad Adenauer, Paul Valéry, Thomas Mann, Rainer Maria Rilke, Francesco Saverio Nitti, Carlo Sforza, Sigmund Freud, Albert Einstein, John Maynard Keynes, Ortega y Gasset) e che sarebbe stato finanziato, tra gli altri, da figure certamente assai significative quali Louis Rothschild e Max Warburg. L’elaborazione iniziale di questo progetto europeo era piuttosto nebulosa, ma sicuramente vi si potevano scorgere echi di cosmopolitismo e pacifismo piuttosto marcati. Nel 1926 Koudenove-Kalergi organizzò la prima conferenza paneuropea di Vienna, durante la quale, più o meno sinceramente, furono individuati alcuni obiettivi del progetto: “l’Unione Pan-europea ribadisce il suo impegno al patriottismo europeo, a coronamento dell’identità nazionale di tutti gli europei. Nel momento dell’interdipendenza e delle sfide globali, solo una forte Europa unita politicamente è in grado di garantire il futuro dei suoi popoli ed entità etniche. L’Unione Paneuropea riconosce il diritto all’autodeterminazione dei gruppi etnici allo sviluppo (…) culturale, economico e politico”.

Ironia della sorte: nel 1934 Kalergi pubblica il libello “Europa erwacht!”, “Europa svegliati!”, proprio mentre nella Germania nazionalsocialista la parola d’ordine è “Deutschland erwacht!”…

Nell’elaborazione di Kalergi, che scrisse varie opere a carattere politico-filosofico, non mancavano in realtà riferimenti di varia natura, da cui emergevano alcune tendenze aristocratiche, antidemocratiche, anticapitalistiche, frutto non solo delle proprie origini mitteleuropee e giapponesi, ma anche della lettura di autori come Nietzsche e Spengler. Negli anni Trenta Kalergi lanciò i propri strali sia nei confronti del Nazionalsocialismo tedesco (che portarono alla messa al bando  di “Paneuropa” in tutta la Germania, dopo l’ascesa di Hitler al potere) che dello Stalinismo, ma si avvicinò particolarmente, non è dato sapere se per motivi puramente tattici o per convinzione, al fascismo italiano ed a Mussolini, da lui individuati, come leggerete nell’intervista, come riferimento fondamentale per definire i nuovi assetti europei. In effetti, negli anni Trenta l’elaborazione paneuropea di Kalergi sembrò virare molto di più verso i principi della gerarchia, dell’autoritarismo, dell’aristocrazia, della personalità e dell’eroismo, arrivando a prefigurare la necessità che gli Stati europei da “federare” assumessero un carattere organico-totalitario (terzo congresso paneuropeo di Basilea nel 1932), in cui l’elemento politico tornasse a controllare ed orientare l’elemento economico, non facendosi più, al contrario, condizionare da esso; il tutto attraverso lo sviluppo dell’idea corporativa fascista, che Kalergi proponeva di estendere a livello continentale istituendo una “camera corporativa europea”.

In tal modo, sarebbero stati lasciati in secondo piano altri principi, tra cui quello democratico, nei cui confronti il Conte sembrò essere, almeno apparentemente, da sempre molto scettico: “Heute ist Demokratie Fassade der Plutokratie” (“oggi la democrazia è la facciata della plutocrazia”), si leggeva infatti nell’altra nota opera di Kalergi, “Praktischer Idealismus”, pubblicata nel 1925. E ancora, sulla rivista Paneuropa, nel 1933, scrisse: “Gli avversari fascisti di Paneuropa hanno spesso tentato di identificare il movimento paneuropeo con l’ideologia democratica. Questo tentativo è però destinato a fallire già solo per il fatto che le mie idee filosofiche non sono mai state democratiche, bensì sempre aristocratiche”.

Reale o di mera facciata, questa “svolta” della concezione paneuropea di Kalergi sarebbe stata salutata con molta partecipazione da Evola, non solo nell’intervista che presentiamo, ma anche in un articolo uscito il mese successivo, nel giugno 1933, su “Il Corriere Padano”, che pubblicheremo tra qualche giorno, in cui il barone parlava espressamente di una “metamorfosi” del progetto paneuropeo di Kalergi, in senso fascista.

La pietra dello scandalo, per le ricostruzioni complottistiche più radicali, sarebbe in particolare contenuta nella citata opera Praktischer Idealismus (“Idealismo pratico”); libro che, si dice, sarebbe tuttora censurato in Germania e non acquistabile e/o disponibile in nessuna libreria, e di cui all’inizio degli anni Novanta sarebbe stato confiscato un sunto nella prima e unica copia stampata da un editore. Da quest’opera vengono tratte le frasi più estreme che si trovano in Internet, relative al presunto progetto di “genocidio” degli Europei pianificato da Kalergi e dai suoi sodali: nell’opera l’autore sosterrebbe apertamente che gli abitanti dei futuri “Stati Uniti d’Europa non saranno i popoli originali del Vecchio continente, bensì una sorta di subumanità resa bestiale dalla mescolanza razziale”, affermando senza mezzi termini che “è necessario incrociare i popoli europei con razze asiatiche e di colore, per creare un gregge multietnico senza qualità e facilmente dominabile dall’elite al potere”. L’opera in questione, in realtà, non è mai stata compiutamente e professionalmente tradotta in italiano; ne esistono appunto stralci, commentari, presunte traduzioni poco ufficiali. In rete è reperibile però l’originale tedesco, in cui non compaiono espressioni come quelle indicate (sarebbe stato tra l’altro piuttosto sciocco rendere pubblico un piano cospiratorio di tale portata). L’opera, in sé, era piuttosto articolata: in essa Kalergi trattava problematiche razziali (all’epoca argomento molto in voga), la questione della sovranità, la crisi ed il futuro dell’aristocrazia, le plutocrazie,  lo spirito europeo, la Tecnica ed i suoi rapporti con l’etica, il lavoro, il clima, e così via. Il tutto con argomentazioni per lo più semplicistiche e banali, comunque non supportate da una preparazione sufficiente e da una conoscenza effettiva delle problematiche trattate, ma anche con qualche intuizione interessante quà e là.

Nell’opera, in particolare, e qui veniamo al dunque, è presente sicuramente un’altra frase, altrettanto frequentemente citata al pari delle altre, cui Kalergi arriva, nell’ambito di un approfondimento da lui sviluppato circa consanguineità e mescolanza etnica (Inzucht und Kreuzung), al paragrafo 4 del I capitolo dell’opera (“A proposito dell’uomo rustico e dell’uomo urbano”). A suo giudizio, l’omogeneità di sangue (tipica dell’uomo “rustico”, delle campagne) porta ad una maggiore forza di volontà, ad un maggior carattere, eroismo e forza fisica, ma ad una minore “apertura mentale” e “ricchezza di spirito”; esattamente l’opposto accadrebbe all’uomo “urbano”, caratterizzato invece da sangue misto. A questo punto Kalergi scrive la famosa frase: “L’uomo del futuro remoto sarà meticcio (“Der Mensch der fernen Zukunft wird Mischling sein”). Le razze e le caste di oggi saranno le vittime del superamento di spazio, tempo e pregiudizio. La razza eurasiatica-negroide del futuro (“Die eurasisch-negroide Zukunftsrasse”), simile nell’aspetto alla razza degli antichi Egizi, sostituirà la pluralità dei popoli con una molteplicità di personalità” .

La frase si riferiva all’intera umanità, non solo alla popolazione europea; può considerarsi un’osservazione, una profezia, o un obiettivo da raggiungere attraverso politiche specifiche? Sicuramente il conte Kalergi si augurava che in Europa diventasse maggioritaria una popolazione con meno carattere e più forza “spirituale” (da intendersi nel senso di “apertura mentale”), e quindi in sostanza una popolazione di sangue più misto che omogeneo, come d’altronde, a suo dire, sarebbero state le nazioni europee, da sempre comunità di “spirito” (sempre in quel senso) più che di sangue. Gli Stati Uniti d’Europa, in buona sostanza, sulla falsariga degli Stati Uniti d’America, avrebbero dovuto preferibilmente avere un connotato multiculturale e multietnico (assicurato, peraltro, dalla prevista inclusione nella “Paneuropa” di colonie africane italo-francesi), che avrebbe garantito quell’ “apertura mentale” e, di conseguenza, una pace planetaria.

Un altro elemento sicuramente presente nell’opera è l’esplicita indicazione dell’ebraismo quale nuova razza d’elite europea: tempratasi dalle persecuzioni subite nel tempo e unitasi ai discendenti dell’antica nobiltà feudale europea, avrebbe rappresentato la nuova aristocrazia europea del futuro  (paragrafo 10, “ebraismo e aristocrazia del futuro” del capitolo dedicato alla “crisi dell’aristocrazia”). I toni sono talvolta equivoci, però, e non facilmente comprensibili: “la battaglia tra Capitalismo e Comunismo intorno all’eredità dello sconfitto spirito aristocratico, è una guerra fraterna di vincenti “aristocrazie cerebrali”, una battaglia tra spirito individualistico e socialistico, tra spirito egoistico ed altruistico, tra spirito pagano e cristiano. Lo Stato maggiore di entrambi i partiti è reclutato nella razza-guida spirituale dell’Europa: l’ebraismo (“aus der geistigen Führerrasse Europas: dem Judentum”). Capitalismo e Comunismo sono entrambi razionalistici, meccanicistici, astratti, urbani. L’aristocrazia della spada è alla fine stata messa in campo. L’azione dello spirito, il potere dello spirito, la fede nello spirito, la speranza nello spirito sono vigili: e con esse una nuova aristocrazia”.

Dopo l’Anschluss Kalergi si rifugiò in Svizzera, per poi trasferirsi all’inizio della guerra negli Stati Uniti d’America, dove insegnò a New York e, sembra, tenne contatti con la resistenza europea ai regimi fascisti. A guerra terminata tornò in Svizzera, e cercò di riavviare il progetto paneuropeo, sostenuto da un certo numero di politici, fra cui Winston Churchill, Konrad Adenauer, Maurice Schumann, Otto d’Asburgo e molti altri. Nel 1947 venne convocato in Svizzera a Gstaad il primo Congresso dell’Unione Parlamentare Europea, che portò alla formazione di un Consiglio d’Europa e di un’Assemblea Parlamentare, forma embrionale dell’attuale Parlamento europeo. Nel 1952, con l’istituzione della CECA, si concretizzò l’idea di Kalergi degli anni Venti di riunire carbone tedesco e acciaio francese sotto un’unica istituzione. Il Conte morì nel 1972; nel 1978 nacque la Fondazione Coudenhove-Kalergi trasformata nel 2008 in European Society Coudenhove-Kalergi, che, com’è noto, premia personalità di spicco che si distinguerebbero per presunte “finalità europeiste”. L’Unione Paneuropea internazionale, pur continuando ad esistere, non sembra avere più (ammesso che l’abbia realmente avuto) un ruolo attivo o centrale nell’attuale vita dell’Unione Europea.

Kalergi insieme all’arciduca Otto d’Asburgo

Sulla base di quanto esposto, ci interessa rilevare che Evola ritenne opportuno, nella primavera-estate del 1933, dare rilievo al progetto paneuropeo di Kalergi, ritenendo che esso si fosse “evoluto”, rispetto alla primissima versione degli anni Venti, assumendo connotati di altra natura, come emerge dall’intervista che vi proponiamo oggi e dall’articolo comparso sul “Corriere Padano”, che sarà pubblicato tra qualche giorno. Erano gli anni in cui Evola intraprese molti viaggi in territorio mitteleuropeo, avviando una fitta rete di contatti con diverse personalità di spicco locali, al fine di verificare la possibilità di creare un’alleanza di ampio respiro di matrice tradizionale e conservatrice in Europa; in tale contesto rientravano contatti con personalità come Everling e Rohan, Spann e lo stesso Kalergi. Su questa interessante tematica RigenerAzione Evola aprirà in futuro un filone a tema.

Non è facile dire quanto Evola fosse stato effettivamente raggirato, quanto Kalergi fosse in buona fede o meno. Di certo Evola ebbe modo di leggere le opere del Conte, per cui se ritenne di procedere in un certo modo, avrà a suo tempo valutato i termini della situazione. Kalergi fu uno strumento di altre forze che lo usarono fin dall’inizio o fu manipolato successivamente? Fece fin da subito un viscido doppio gioco, mentendo consapevolmente, o fu solo un “utile idiota”, un giocattolo nelle mani di altri? Non è possibile dirlo con certezza. Così come non è facile dire quanto lo stesso progetto di “Paneuropa” abbia pesato effettivamente sulle sorti della costruzione delle strutture euro-leviatane dalla fine della seconda guerra mondiale in poi.

Sicuramente certi eccessi delle tendenze più radicali di certo complottismo da quattro soldi (che peraltro producono, notoriamente, l’effetto opposto, tant’è che spesso tali forme vengono volutamente messe in circolo proprio dal nemico per screditare le istanze per lui più pericolose) sono palesi; altrettanto lo sono altri elementi molto discutibili dell’azione e del pensiero di questa misteriosa personalità: forse solo un megalomane, che, in una sorta di transfert, tentò di proiettare su scala internazionale la propria storia personale di “cosmopolita”. O forse, appunto, uno strumento, più o meno consapevole, nelle mani di altri.

***

“Paneuropa e Fascismo: colloquio col Conte R.N. Coudenhove Kalergi”

di Julius Evola

Tratto da “Il Regime Fascista”, 14 maggio 1933

Attualmente si trova a Roma il conte Coudenhove-Kalergi, il noto promotore del cosidetto movimento «paneuropeo», autore, in pari tempo, di varie pregevoli opere di filosofia e di politica. Il conte Coudenhove è venuto fra noi principalmente per prendere contatto con Mussolini e per avere una sensazione diretta della parte che l’Italia nuova può avere nei riguardi del problema della unificazione della dilacerata realtà politica e spirituale del nostro continente. Essendo già da tempo in rapporto con lui, abbiamo avuto modo di avere col capo del movimento paneuropeo degli interessanti incontri: ed egli ha anche accolto di buon grado il desiderio, che gli abbiamo trasmesso da parte dell’on. Farinacci, di esporre direttamente per Regime Fascista i suoi più recenti punti di vista europei.

«Vi sono tre grandi problemi politici, in relazione ai quali l’Europa oggi si trova in crisi – ci dice dunque il conte Coudenhove – cioè: il problema della riforma costituzionale, il problema sociale ed il problema europeo in senso stretto. Fra le varie nazioni, l’Italia fascista è quella che ha dato il maggior contributo alla soluzione dei due primi punti. Essa ha già lasciato dietro di sé il problema della riforma costituzionale; ha dato gli elementi necessari per la soluzione del secondo problema, del problema sociale; è destinata ad affrontare efficacemente il terzo e più alto problema: il problema europeo».

«In che senso pensa Lei che la soluzione fascista, in sede di costituzione e in sede sociale – domandiamo – possa avere valore di soluzione internazionale, quanto quelle marxistiche e bolsceviche pretendono di esserlo?».

«La costituzione fascista può aver valore non pure italiano, ma in genere europeo – risponde il Coudenhove – in quanto esprime un saggio contemperamento del principio autoritario e aristocratico con quel che può esservi di sano nel principio democratico. Essa concede spazio al diritto e all’illuminato comando di personalità superiori, e nello stesso tempo dà salda base al principio del riconoscimento, della libera adesione e della cooperazione disciplinando ogni forza in nome della superiore idea della Nazione. L’anima europea, nella mia concezione, è caratterizzata da tre componenti fondamentali: eroismo, personalità e socialità. Poiché la soluzione fascista le comprende tutte e tre in un saggio equilibrio, così essa ci si presenta come la più atta ad assumere carattere di universalità europea.

«Dal punto di vista sociale il contributo fascista consiste essenzialmente nella nuova idea corporativa quale superamento integrativo di quel che poteva esservi di positivo nel famoso mito marxista della lotta di classe», continua il conte Coudenhove. «A tale riguardo, sulla base di una riforma corporativa da attuarsi all’interno dei principali Stati, non mi sembra anzi da escludersi la stessa idea di una futura camera corporativa europea, intesa a studiare totalitariamente e senza vincoli i problemi tecnici più vitali che si pongono all’economia complessiva dei nostro continente al fine di giungere agli stessi risultati, per i quali, invece, si invocavano le utopie dell’Internazionale rossa. Su questo stesso piano, mi sembra importante rilevare che fra i torti dei regime democratico sta quello di aver dato modo al parlamentarismo di scalare la politica. Per me, è una esigenza imprescindibile in un piano di risanamento separare l’elemento economico dall’elemento politico, cosa che già si ottiene con la trasformazione fascista del Parlamento in Camera corporativa. Naturalmente, il fine, qui non deve essere una scissione, ma restituire alla politica la sua libertà, non vincolarla all’economia (come nell’ideologia di sinistra), permetterle invece un saggio controllo razionalizzatore dall’alto sulla stessa economia quando determinate necessità lo impongano».

Ritornando all’idea di una solidarietà europea, domandiamo al conte Coudenhove, su che piano egli crede che tale collaborazione sia necessaria.

«Nei riguardi di tre principali unità: unità economica, unità di politica estera, nel senso di una politica unitaria delle nazioni europee nei confronti di quelle non europee, infine unità militare. Per un vero risanamento europeo non si saprebbe prescindere dall’intesa delle principali potenze europee su questi tre punti. Per il resto resterebbe a loro la più ampia indipendenza di iniziative».

Sappiamo che al Coudenhove e stato spesso rimproverato il suo pacifismo. Cosi noi affrontiamo in pieno la quistione, domandandogli di che pacifismo egli ha inteso parlare – cioè: se egli difende l’ideale generico e antivirile della pace, denegando il significato superiore, spirituale, che l’esperienza e le prove di una guerra possono offrire sia ai singoli che alle razze – ovvero se egli difende un pacifismo intereuropeo, destinato solo ad unificare le varie forze europee, non escludendo che per il blocco unitario e concorde di potenza europea, che cosi si otterrebbe, possa valere nuovamente e ancora un ideale imperiale e suprematistico delle nostre razze di fronte alle restanti forze del mondo.

Il Conte Kalergi nel secondo dopoguerra

Il Coudenhove non ha difficoltà a riconoscere che le sue idee si muovono, in fondo, soprattutto nella seconda direzione. Ed egli ricorda come spesso abbia invocato la pacificazione interna europea solo perché è puerile persistere nel paralizzare reciprocamente le forze economiche e militari dei vari stati europei – laddove di fronte alle tre massime potenze antieuropee: Russia, Asia ed America, si imporrebbe e sarebbe salutare una unità difensiva e fors’anche offensiva europea.

«Per quel che riguarda il lato più immediato e politico del problema della solidarietà europea – soggiunge il conte Coudenhove – si tratta soprattutto di controbilanciare la varie forze, più che non tendere a costituire dei blocchi unilaterali di alleanza. Da questo punto di vista, io ritengo essenziale per l’idea paneuropea, gittar le basi di una intesa franco-italiana, e ciò per un doppio fine: anzitutto perché solo per tal via si può giungere ad un equilibrio fra i due massimi elementi della civiltà europea, quello latino e quello tedesco, equilibrio che preverrebbe ogni risorgenza di tendenze egemonistiche sia dall’una che dall’altra parte. In secondo luogo, di fronte ad una intesa franco-italiana verrebbero automaticamente meno le ragioni della Piccola Intesa, e si risolverebbe facilmente il problema relativo ai piccoli Stati dell’Europa orientale: cosa a mio avviso assai importante, perché ritengo che appunto da tali Stati potrebbe partir l’incentivo più prossimo per una nuova conflagrazione, che comprometterebbe certamente i destini di tutta la nostra civiltà».

Il conte Coudenhove sa naturalmente che le nostre idee personali sarebbero piuttosto orientate verso una unificazione europea sulla base preliminare di un blocco italo-germanico aderente nel modo più stretto a idealità di tipo imperiale e fascista. Non nascondendo però l’ostacolo che a prospettive del genere costituirebbe il ritorno della Germania ad un razzismo esclusivista e in fondo materialista, noi domandiamo al Conte, in ogni modo, come egli considera la quistione franco-tedesca.

Kalergi: “Per la sua indipendenza dalle contingenze e dalle crisi dei regimi parlamentaristici, l’Italia oggi è la nazione più atta a condurre una politica internazionale di grande respiro. (…) È giunto il momento, per il Fascismo, di dirigere la sua attenzione (…) al problema dell’Europa (…). E la sensibilità per il momento giusto, unito ad un latino senso d’equilibrio, è una delle doti più spiccate del genio di Mussolini”

«Questa quistione corrisponde effettivamente all’ostacolo fondamentale per la realizzazione di una idea paneuropea – risponde il Coudenhove – ed io ritengo che, per risolverla, il miglior modo è giungervi indirettamente, voglio dire: mediante quella politica internazionale e di equilibrio e di compensazione di forze europee, di cui poco fa ho parlato, e che ha un significato soprattutto tattico e preventivo nei riguardi di una possibile divergenza franco-germanica, restando ferma la maggior affinità che per costituzione politica e formazione etica può esistere fra Germania e Italia.

E qui viene in luce la parte di prim’ordine riservata alla vostra nazione nei riguardi di una possibile «Paneuropa». Per la sua indipendenza dalle contingenze e dalle crisi dei regimi parlamentaristici, l’Italia oggi è la nazione più atta a condurre una politica internazionale di grande respiro. Praticamente, l’Italia ha modo di divenir l’arbitra – col suo atteggiamento – dei rapporti fra Germania e Francia: e questo può essere il primo passo su di una nuova via. È giunto il momento, per il Fascismo, di dirigere la sua attenzione, oltre che al problema sociale e costituzionale, nei riguardi del quale il suo ciclo ricostruttivo è compiuto, al problema dell’Europa, inquantoché, data la situazione attuale e gli ultimi rivolgimenti della politica internazionale europea l’Italia si trova veramente ad avere fra le mani le chiavi del destino del nostro continente. E la sensibilità per il momento giusto, unito ad un latino senso d’equilibrio, è una delle doti più spiccate del genio di Mussolini.

«E appunto la mia ferma convinzione circa la missione supernazionale del Fascismo che mi ha condotto a Roma, ove ho avuto l’onore di essere stato ricevuto due volte e con tutta cordialità dal Duce» conclude il conte Coudenhove-Kalergi. «Ed io spero sinceramente che la nuova Italia resterà fedele alla sua grande tradizione, agendo con ogni mezzo per quella idea europea, formulata già da Dante, attuata spiritualmente dalla Chiesa di Roma, realizzata militarmente l’ultima volta dall’italiano Napoleone, infine, più modernamente ripresa, dal mito mazziniano della “Nuova Europa”».

 



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