Quell’incontro con Julius Evola nel lontano 1973

A pochi giorni dall’anniversario della scomparsa terrena di Julius Evola, pubblichiamo con piacere il ricordo inedito di un incontro avvenuto nel 1973, nella casa di Corso Vittorio Emanuele II, tra il barone ed Umberto Salmeri, uno dei tanti giovani militanti assetati di conoscenza e di verità, che frequentavano gli ambienti metapolitici degli anni Settanta, come quello di Ordine Nuovo e non solo.

Umberto Salmeri, che ringraziamo sentitamente per il prezioso contributo, in cui emergono peraltro dettagli assai interessanti, ci ha fatto pervenire in redazione questo suo scritto, dopo aver scoperto la pubblicazione per Cinabro Edizioni di “A colloquio col Barone”, il libro curato da RigenerAzione Evola che ha reso pubblico il contenuto di un’intervista totalmente inedita realizzata a Julius Evola da alcuni giovani militanti romani, sempre nel 1973 presso la sua abitazione romana, e custodita per decenni dal gruppo di Heliodromos.

L’ennesima testimonianza di come Evola non abbia mai rifiutato di incontrare i tanti ragazzi che bussavano alla sua porta alla ricerca di risposte, di una via, di una guida per orientarsi tra le rovine del mondo moderno, per rimanere sempre con la faccia rivolta al sole, pur nel buio sempre più fitto del presente.

Nell’immagine in evidenza, un’eccezionale foto d’epoca di Julius Evola nel suo studio, restaurata a colori da Antonio Pires

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di Umberto Salmeri

Era il 1973, quel lontano 1973, circa mezzo secolo fa, quando le avvisaglie del Kali-yuga ancora non si erano dispiegate in modo così aggressivo, come nell’attuale periodo cupo e doloroso in cui ahimè stiamo vivendo. Per quella nostra generazione il Kali-yuga era un concetto teorico, ancorché inquietante, eppure non lo stavamo ancora vivendo come oggi sulla nostra pelle.

Il palazzo dove abitò Julius Evola a Roma, in Corso Vittorio Emanuele n. 197

Conobbi, sotto il profilo intellettuale, Julius Evola intorno ai diciott’anni, grazie al carissimo amico Mauro, che ora purtroppo non c’è più. Egli era un convinto ordinovista, simpatizzante delle teorie di Franco Freda, che in quegli anni erano molto “trendy” presso quella gioventù che si era stancata della retorica filo-borghese e patriottarda portata avanti dal M.S.I. di Almirante. Mauro, appassionato e grande lettore di testi filosofici, mi mise in mano i famosi “Saggi sull’Idealismo Magico”. Ebbene quel libro esercitò su di me un fascino particolare, un’apertura mentale quasi estatica, tanto da farmi sembrare il pensiero titanico di Nietzsche un qualcosa con i limiti suoi propri, ferma restando sempre la mia grande passione per il pensatore tedesco. Proseguii dunque con “Teoria dell’Individuo Assoluto” e via discorrendo, fino alla lettura dell’opera magna “Rivolta contro il Mondo Moderno”. Conservo quel libro dove vi sono ancora le annotazioni a matita del predetto mio compianto amico. Posso affermare che di Evola ho letto quasi tutto, persino i versetti “dadaisti” di “Raaga Blanda”.

Premesso ciò, nacque in me in quel tempo il desiderio e la curiosità di conoscerlo personalmente, di conoscere da vicino l’autore di quelle opere che costituivano ormai le basi della mia Weltanschauung. Cominciai da buon ventenne a scalpitare e nello stesso tempo ad adoperarmi affinché quell’evento si verificasse. In quegli anni frequentavo il mitico Centro Studi Europa in via degli Scipioni in Roma, diretto da Pino Rauti insieme alla fervida mente organizzatrice di Nicola Cospito. In quella sede, tra le tante, venivano prese anche iniziative relative a contattare personalmente Evola. Venni a sapere che alcuni militanti ed intellettuali della nostra area si erano recati a fargli visita. Ricordo che una volta si formò in quell’ambiente una sorta di “delegazione”, cui mi associai, pronta per eseguire la tanto sospirata visita; ma non se ne fece nulla, perché qualche ora prima venimmo a sapere che il Maestro non stava bene.

Passato del tempo, decisi a questo punto di contattarlo personalmente. La prima telefonata, fatta insieme a Francesco, il mio cugino fraterno, non ebbe successo per gli stessi motivi. Ricordo che eravamo molto emozionati, riuscimmo a sbiascicare due parole ma dall’altra parte della cornetta telefonica ci venne comunicata l’impossibilità di essere ricevuti. Mio cugino, comunque soddisfatto solo per aver sentito la voce di Evola all’apparecchio telefonico, esclamò: ”Maestro la saluto romanamente”…!!! Dopo qualche settimana però avvertii intuitivamente, quasi oserei dire telepaticamente, che le condizioni di salute del Nostro stavano migliorando e dunque decisi, questa volta in piena solitudine, di ritelefonare. Mi imposi un tono di voce calmo e pacato e quindi gli chiesi direttamente un appuntamento, senonché dopo alcune domande da parte sua sulle motivazioni di tale richiesta, che riuscii ad evadere con eleganza, ricevetti finalmente detto appuntamento.

Era un pomeriggio di inizio autunno, arrivai davanti a questo antico palazzo “umbertino” di Corso Vittorio Emanuele, suonai al citofono e feci tutte le scale a piedi di corsa, era il terzo o forse il quarto piano. Mi ricevette all’ingresso una signora dall’aspetto distinto, presumibilmente la badante, che mi introdusse nella stanza dove egli ahimè era costretto a stare per via della nota paralisi. Julius Evola giaceva sul letto, sotto le coperte, con il busto eretto a metà, appoggiato su due cuscini un po’ imbottiti. Eppure aveva un aspetto ieratico, nonostante la situazione di invalidità fisica. Volse lentamente la testa verso di me e mi fissò intensamente con due occhi non umani (1): nel suo sguardo rividi lo stesso di quegli asceti induisti nell’atto dell’assoluta identificazione con l’occhio interno di Shiva. Un cranio leggermente dolicocefalo, sembrava un extraterrestre proveniente da chissà quale antica e misteriosa razza solare. Io lo salutai chiamandolo Maestro e lui si dimostrò da subito cortese e disponibile e, perciò, mi sentii a mio agio e pensai addirittura ad una specie di affinità elettiva esistente con colui che mi stava dinanzi. Mi chiese nuovamente i motivi della visita ed io, citando alcune sue opere che avevo letto, gli risposi che c’erano alcune tematiche che mi sarebbe piaciuto approfondire. Ricordo vagamente che parlammo degli archetipi platonici e della filosofia platonica in genere, poi del Samkhya e del Vedanta. Infatti nel suo “Yoga della Potenza” aveva adombrato alcuni punti riguardo a queste dottrine che non mi erano molto chiari. Dopodiché’, con un salto pindarico, arrivammo a parlare di Esistenzialismo, perché io citai “Cavalcare la Tigre”. Mi accorsi che non aveva molta simpatia per Heidegger e quando gli chiesi cosa ne pensasse di Sartre, rispose giustamente che tutto il suo pensiero era diretto a destabilizzare l’esistente e quindi l’Essere, che appunto per il filosofo in questione era la stessa cosa. Concluse che in fondo quello di Sartre era un nichilismo unidimensionale, dal quale pertanto non si intravedeva una via d’uscita. Dalla speculazione filosofica e teoretica si passò a dialogare di Arte e di Pittura. La cosa mi intrigava in quanto ero e sono un artista visivo. Glielo dissi ed il suo sguardo fu molto compiaciuto. Ovviamente si arrivò a parlare della sua esperienza dadaista. Nella sua narrazione capii che quell’esperienza non l’aveva affatto rinnegata, bensì gli era servita per andare oltre nella sua ricerca interiore, secondo una dimensione ed una vocazione metafisica.

La conversazione si concluse con l’argomento Politica. Mi chiese al riguardo quale fosse il mio orientamento politico ed io ingenuamente risposi che ero di destra. A quel punto nuovamente mi fissò con quei suoi grandi occhi iperluminosi e un po’ dilatati e con tono questa volta severo disse: “Quale destra, a quale destra ci riferiamo”? Capii al volo di essere stato stupidamente vago e risposi prontamente che ero un simpatizzante, anzi un attivista di Ordine Nuovo. Il Maestro pertanto, anche in questa occasione, si mostrò compiaciuto e con quella sua voce afona ma profonda mormorò: …”allora sì che adesso ci intendiamo”! Di riflesso volle sapere se avessi letto il suo “Fascismo visto dalla Destra e Note sul Terzo Reich”. Gli risposi affermativamente, sottolineando che in linea di massima condividevo la sua linea di pensiero, ancorché ci tenni a precisare che però non disdegnavo certe forme populiste e socialisteggianti proprie del Nazionalsocialismo, come per esempio l’organizzazione delle comunità agricole nazional-razziali ed altre iniziative di tal genere. Ricordo che mi sorrise simpaticamente, scuotendo leggermente la testa (sapevo che su certe questioni non era del tutto d’accordo). Io ero ancorato ad “Ordine Nuovo” ma in parte strizzavo l’occhio anche a movimenti politici extraparlamentari dell’epoca come “Lotta di Popolo”. Avevo diversi amici che si definivano “nazi-maoisti” e sappiamo tutti come Evola non fosse molto tenero nei confronti di certe risultanze ibride.

Dopo più di un’ora di conversazione notai in lui un certo affaticamento fisico e pertanto compresi che era arrivato il momento di congedarmi. Lo feci quindi e lo salutai quasi affettuosamente come fosse un parente. Mi tolsi dalla tasca della giacca una copia, un po’ accartocciata, del giornalino di Ordine Nuovo, quello con l’ascia bicuspide, per intenderci, e gliela lasciai sul comodino. Mi fece capire che aveva gradito quella visita e che addirittura sarei potuto anche tornare.

Una piccola annotazione: qualche mese dopo rammento che “Ordine Nuovo” venne sciolto per opera del Ministro degli Interni, un tal Taviani, ed anche “Lotta di Popolo” mi sembra di ricordare che si sciolse proprio quell’anno.

E’ superfluo dire come mi sentissi dopo la conoscenza personale di Julius Evola, nonché del “corteggiamento” ricevuto dai vari amici che militavano nella mia stessa area politica. Erano terribilmente curiosi e volevano sapere tutto di quel fatidico incontro. Non ebbero però grande soddisfazione perché interiorizzai talmente il fatto, come un qualcosa di prezioso, che il solo parlarne mi dava l’impressione di svalutare quello che per me fu un evento molto particolare. In altre parole, raccontai loro soltanto una minima parte di quell’evento, per me così importante nonché particolarmente suggestivo.

Purtroppo per tutta una serie di motivi, anche miei personali, non ci furono successivamente altre occasioni di incontro se non quella avvenuta alla sua morte, in cui andai con altre persone a rendere omaggio alla salma. In quella circostanza notai che il coperchio della bara appoggiato alla parete era senza il crocifisso. Alcuni dei presenti mi riferirono che era stato da poco divelto per espressa volontà del Maestro. Mi vennero i brividi e ripensai alla sua grande opera “Imperialismo Pagano” ed alla sua stupenda coerenza dimostrata sino alla fine!

C’era in quella casa un grande via vai di persone, quando ce ne andammo mio cugino Francesco mi fece notare che sul libro firma presenze, posto all’ingresso dell’abitazione, si leggeva il nome di una tale Lucilla Hess. Incuriositi ci domandammo chi fosse, se tante volte quel nome fosse collegato a quello di Rudolf Hess, ma sinceramente non riuscimmo a trovare una risposta.

Evola venne cremato e le sue ceneri furono sparse sul suo amato Monte Rosa, ancorché molti di noi in quel periodo pensavano, non saprei dire il motivo, che si trattasse del Monte Bianco.

Finisce qui il mio racconto personale e va da sé che, visto il lungo tempo trascorso, la presente narrazione si è limitata all’esposizione in modo succinto soltanto di alcuni frammenti della mia non più giovane memoria, tralasciando tanti altri argomenti che, in un’ora e mezza di conversazione, avremo sicuramente affrontato, argomenti che però il predetto tempo purtroppo ha trascinato nell’oblio.

Ringrazio la Redazione di RigenerazionEvola per avermi permesso di rielaborare tali piccoli ricordi e di averli potuti esternare, così da rendere un altrettanto piccolo tributo alla memoria del grande Julius Evola, un uomo che è andato oltre la sua veste umana per divenire qualcosa di semi-divino.

Nota redazionale

(1) Anche la testimonianza di Umberto Salmeri conferma il magnetismo “sovrumano” dello sguardo di Evola, un dato confermato da tanti che ebbero modo di incontrarlo e di parlarci: rinviamo ad un nostro particolare approfondimento sulle esperienze oltre la soglia di Evola e sulla cd. “legge degli enti”, in cui sono citati alcuni di questi ricordi personali.



A proposito di...


'Quell’incontro con Julius Evola nel lontano 1973' 1 Commento

  1. 9 Giugno 2022 @ 22:50 umberto salmeri

    Che brivido in questa immagine di copertina! E’ quello lo stesso volto che vidi in quell’incontro di quasi mezzo secolo fa!

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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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