Dopo Gurdjieff, oggi parliamo di un altro misterioso personaggio proveniente dall’Oriente: Grigórij Efímovič Raspútin (1869-1916), il celebre “mistico” russo, che divenne com’è noto figura molto influente presso la corte dello zar Nicola II di Russia, in particolare dopo l’agosto 1915, quando lo zar prese il comando dell’esercito nella prima guerra mondiale. Julius Evola ebbe modo di fare cenno a Rasputin in un articolo pubblicato sul “Roma” il 21 maggio 1957, intitolato “Rasputin apparteneva alla misteriosa setta?”: la setta in questione era quella dei cd. Khlysty, di cui sembra che Rasputin fece parte, o dalla quale comunque riprese determinati rituali, forse innestandoli sui poteri paranormali di natura sottile di cui probabilmente era dotato. Un’introduzione al riguardo servirà a comprendere ed inquadrare meglio la vicenda in seno alle vicende poco note dello scisma ortodosso in Russia, ed al successivo proliferare di diverse correnti, talvolta di natura molto sospetta e dai pericolosi tratti in odore di eresia.
Bisogna, a tal fine, tornare al XVII secolo, quando, all’interno della Chiesa ortodossa russa, il patriarca ortodosso Nikon introdusse nel 1653 delle riforme, in seguito confermate da un concilio di vescovi nel 1666-1667, per ristabilire l’uniformità tra le pratiche liturgiche della Chiesa greco-ortodossa e di quella russa. Ciò, in particolare, a seguito delle critiche sollevate dal Patriarca ortodosso di Gerusalemme Paisios, che nel 1649 era giunto a Mosca e aveva contestato apertamente l’ortodossia dei testi russi.

Dettaglio del dipinto “Boiarinja Morozova” di Vasilij Surikov raffigurante la boiarda Feodosija Morozova arrestata dalle Autorità zariste nel 1671. La donna tiene due dita tese, a simboleggiare il vecchio rituale russo-ortodosso di compiere il segno della croce, con due dita invece che con tre, come previsto dalla riforma di Nikon
Le riforme provocarono una grande inquietudine tra la popolazione russa, in particolare, dopo i concili ecclesiastici che continuarono nell’attuazione delle riforme volute da Nikon, fino a portare all’interno della Chiesa ortodossa russa all’avvio di un graduale processo scismatico, un movimento di protesta chiamato Raskol (in russo traducibile con “strappo” o “scisma”), dalla seconda metà del XVII secolo. Sotto la guida dell’arciprete Avvakum Petrov (1620 o 1621 – 1682), diventato il capo della fazione conservatrice del movimento dei Vecchi Credenti (in russo starovery o staroobrjadcy, cioè “seguaci del vecchio rito”) gli scismatici si opposero pubblicamente alle riforme in tutta la Russia, arrivando a sostenere che la Chiesa Ortodossa fosse caduta nelle mani dell’Anticristo. Tra le riforme più osteggiate, possiamo ricordare:
– l’introduzione del segno della Croce con tre dita tese (come i Greci, per simboleggiare la Trinità) anziché due (per le due nature di Cristo, quella umana e quella divina; la Trinità, in precedenza, sarebbe stata simboleggiata dalle altre tre dita ricurve); i Vecchi Credenti sostennero che l’atto di segnarsi con tre dita tese non simboleggiasse la Trinità divina, ma quella demoniaca del serpente, della bestia e del falso profeta, come descritti nell’Apocalisse di Giovanni;
– la diversa traslitterazione e pronuncia del nome di Gesù: non più Ісусъ (pronunciato “Isus”), ma Іисусъ (pronunciato “Iisus”, con due ‘i’); in particolare, per i Vecchi Credenti l’inserimento della lettera и avrebbe rappresentato la negazione di Cristo, e pertanto tutti coloro che avessero pregato Іисусъ avrebbero di fatto invocato l’Anticristo, di cui Nikon venne considerato il rappresentante in terra;
– la riduzione del numero di Prosophore (pani fermentati utilizzati per l’uso eucaristico) da utilizzare durante l’Eucarestia, che passò da 7 a 5 (poiché, nel cerimoniale, non si distinse più tra clero, famiglia reale e semplici sudditi);
– il numero di Alleluia da intonare dopo il salmo, che fu portato da due a tre; mutamento che avrebbe comportato, per i Vecchi Credenti, una blasfemia per via di un complesso computo liturgico numerico e semantico;
– due modifiche apportate al Credo, in particolare quella che portò all’eliminazione dell’attributo “vero” riferito a Dio, nel passo “E nello Spirito Santo, il Vero Signore, colui che dà la vita”; soppressione che, nel negare la Verità del Signore, ne avrebbe negato l’Essere stesso.
Ancora, le processioni religiose secondo il corso del Sole, che furono prescritte per la prima volta in un Rituale del 1602 in riferimento alla celebrazione del matrimonio e poi estese per la consacrazione delle Chiese, furono invertite, e cioè si prescrisse che vennero rivolte in direzione contraria al movimento solare, anche se non è ben chiaro quando sia stata introdotta questa riforma in quegli anni, dato che non sembrerebbe essercene traccia nei testi liturgici stampati sotto Nikon né gli atti del Concilio del 1666-67 (i Vecchi Credenti notavano la presenza del numero del Diavolo presente nell’anno di avvio del Concilio).

Predica dell’arciprete Avvakum Petrov
E vi furono tante altre modifiche di cui non possiamo fare cenno, anche iconografiche (i Vecchi Credenti venerano ad esempio icone a sbalzo di argento e bronzo, e incise su legno, così come quelle dipinte, mentre la Chiesa ortodossa proibisce invece la venerazione delle icone in rilievo). Molti di questi cambiamenti potrebbero apparire marginali per la nostra mentalità, ma non era così per la mentalità ortodossa tradizionale, in cui rito, iconografia e liturgia assumevano (e assumono tutt’oggi) una rilevanza dottrinale e dogmatica, essendo manifestazione stessa della dottrina sacra.
La Chiesa ortodossa lanciò diversi anatemi contro i Vecchi Credenti, che, oltre agli aderenti del movimento, colpirono anche i vecchi riti e messali russi anteriori alla riforma. Ai Vecchi Credenti fu tolto ogni diritto civile, alcuni adepti (incluso l’arciprete Avvakum) furono inoltre arrestati e giustiziati alcuni anni più tardi. Fu tuttavia solo dopo il 1685 che fu posta in essere una persecuzione su larga scala, con torture ed esecuzioni sommarie per tutto il paese. Molti Vecchi Credenti lasciarono la Russia, altri restarono diventando il gruppo religioso maggioritario in alcune regioni; alcuni scelsero la via dell’auto-immolazione sul rogo, altri optarono invece per la ribellione armata. Nel corso dei secoli l’oppressione del governo variò in modo significativo, passando alternativamente da una sostanziale tolleranza a periodi di intensa persecuzione.
Nel 1905 lo zar Nicola II siglò un atto che sanciva la libertà di culto e pose fine nell’impero alle persecuzioni delle minoranze religiose. Ai Vecchi Credenti fu riconosciuto il diritto di costruire chiese, di far rintoccare le campane, di tenere processioni e di auto-organizzarsi gerarchicamente. Fu proibito (come lo era stato sotto il regno di Caterina II) riferirsi a loro come raskolniki (scismatici), un appellativo che questi ultimi avevano sempre considerato diffamatorio. Tuttavia permasero alcune restrizioni, quale la proibizione per gli aderenti a tale fede di diventare funzionari statali. Nel 1971 il patriarcato moscovita revocò l’anatema lanciato sui Vecchi Credenti nel XVII secolo, ma la maggior parte dei gruppi che si rifacevano allo scisma rifiutò di tornare in comunione con le altre Chiese ortodosse.
Attualmente i Vecchi Credenti , oltre che in Russia (dove sono circa due milioni), sono sparsi per tutto il mondo, emigrati sia a causa delle persecuzioni messe in atto dall’autorità zarista che a causa delle persecuzioni durante la rivoluzione bolscevica.
Di fatto i Vecchi Credenti non costituirono mai un corpo monolitico. Ben presto al loro interno si produssero infatti scissioni e nacquero gruppi e sottogruppi che non si riconobbero mai reciprocamente, e si svilupparono forme estremistiche dai tratti spesso, come accennavamo, sospetti; divisioni e frammentazioni che persistono in parte ancora oggi. Attualmente si fa riferimento ai due gruppi maggiori all’interno dei Vecchi Credenti: i Popovcy e i Bespopovcy (al loro interno caratterizzati da infinite correnti e sotto-correnti). I primi rappresentano l’ala più moderata dei Vecchi Credenti, mentre i Bespopovcy, più estremisti, (i “senza-preti”) sono caratterizzati da un atteggiamento di rifiuto del mondo, considerato come ormai dominato dall’Anticristo, profetizzano l’imminente fine dei tempi, praticano l’ascetismo e sostengono la necessità di una stretta aderenza agli Antichi riti e all’Antica fede, arrivando anche a sostenere che ormai la vera Chiesa di Cristo non esista più ed a rinunciare a tutti i sacramenti, tranne che il battesimo.

La danza rituale dei Khlysty in un’incisione d’epoca
Storicamente, dal XVIII secolo in poi, le frammentazioni si susseguirono in modo sistematico, fino a generare gruppi in cui si svilupparono forme molto equivoche. Tra essi particolare rilievo ebbero i Khlysty (il termine sembra avere origini etimologiche derivanti da varianti della parola “Cristo” al plurale, oppure da chlestat, flagellare), setta apparsa nel XVII secolo in Siberia, fondata, forse, dal contadino Daniil Filippovič. La prima traccia documentale della loro presenza risale al 1630. Da essi si distaccarono le sette dei Duchobory ed i Molokani, nonché gli Skopcy (i “castrati”), setta ribattezzata anche “colombe bianche” o “agnelli di Dio”, i cui adepti predicavano la mortificazione estrema del corpo fino a giungere a gravi forme di automutilazione. I Duchobory ed i Molokani (dal russo molokan, “mangiatore di latticini”, dall’unico alimento di cui sembra ci cibassero durante i digiuni) furono considerati come l’equivalente in seno all’ortodossia dei presbiteriani, dei quaccheri, dei protestanti in occidente; i primi finirono infatti per contestare l’elaborata gerarchia e i complessi rituali della Chiesa ortodossa, la sacralità stessa della Bibbia e l’adorazione di immagini sacre, considerata idolatria, propugnando l’uguaglianza ed il pacifismo; i secondi, con molte frammentazioni interne, considerati “letteralisti” nell’approccio alle scritture sacre, consideravano la Bibbia come guida principale e perseguivano approcci individuali alle Scritture, avevano propri presbiteri rifiutando il sacerdozio , le icone, i formalismi liturgici, in nome di un approccio “semplice”, diretto, “interiore” alla religione, propugnando pacifismo, le organizzazioni comunitarie, gli incontri “spirituali” e via dicendo.
Daniil Filippovič, il fondatore dei Khlysty, sosteneva di essere una sorta di alter Christus e predicava che chi l’avesse seguito avrebbe potuto far emergere in sé il Cristo già presente spiritualmente in ogni membro della setta durante la sua vita terrena (in ciò sarebbe consistita la seconda venuta di Cristo: un avvento in senso interiore), attraverso l’ascetismo, il vegetarianismo, l’astemia, ma soprattutto per mezzo di un rituale piuttosto particolare, detto Radeniye (“zelo”, “fervore”), su cui Julius Evola si sofferma nel suo articolo. Dopo aver acceso dodici candele nella notte del sabato, gli adepti iniziavano una vorticosa danza rituale, che può ricordare quella dei dervisci, finalizzata ad invocare la discesa dello Spirito Santo; la danza, accompagnata da musica e canti, assumeva ritmi progressivamente sempre più frenetici, che, all’acme della tensione, si concludeva con la reciproca flagellazione degli adepti ed un’orgia collettiva. All’alba una giovane donna nuda, venerata come la Santa Vergine cristiana che come Madre Terra, offriva ai fedeli chicchi di uva secca, quasi si trattasse di una sorta di sacramento: una evidente miscela di ritualità “pagana” (energie, tensioni sprigionate dal movimento ossessivo, dalla sessualità, dalla terra) con elementi cristiani (lo Spirito Santo e Comunione), in cui facilmente potevano inserirsi motivi e forze oscure, invertite. D’altronde, dopo questi cerimoniali gli adepti, ritenendo di aver ormai ricevuto la Grazia, si consideravano al di sopra di qualsiasi legge morale: è stata notata, in tal senso, l’assimilazione con alcune sette medioevali dell’Europa centro-occidentale, come i Fratelli del Libero Spirito, la Libera Intelligenza e gli Adamiti, nonché con la setta gnostica dei Carpocraziani, con i quali i Khlysty erano accumunati dalla visione distorta della via passiva al peccato e al desiderio come via estrema di liberazione e “redenzione”.

Rasputin insieme a Padre Makarij e Teofane di Poltava
Della setta dei Khlysty si riteneva facesse parte proprio Grigorij Efimovič Rasputin. Nato Grigory Efimovic Novykh, in Siberia, quinto di nove figli, sembra che già da piccolo avesse rivelato doti taumaturgiche e avesse visioni mistiche. Per anni alternò il lavoro dei campi all’allevamento di cavalli e all’attività di vetturino.
Sposatosi nel 1887 con Praskov’ja Fëdorovna Dubrovina, ebbe sette figli: nel 1892, tuttavia, lasciò bruscamente il villaggio, i genitori e la famiglia; trascorse diversi mesi in un monastero ortodosso a Verchotur’e, dove si interessò attivamente alla vita religiosa, imparò a leggere e a scrivere, e incontrò lo starec Makarij; dopo un breve ritorno al suo villaggio e in famiglia Grigorij affermò di aver avuto una visione della Madonna di Kazan; intraprese un lungo pellegrinaggio fino al Monte Athos, i cui esiti sembrano però incerti. Rasputin proseguì comunque i pellegrinaggi presso luoghi santi in quegli anni, vivendo di elemosina per tornare a casa periodicamente per aiutare la famiglia nella semina e nei principali lavori agricoli.
Nel 1903 Rasputin decise di recarsi in pellegrinaggio a Kiev; poi si recò a Kazan’ dove, grazie alla sua profonda conoscenza delle scritture e alle sue interpretazioni assai acute e originali, attirò l’attenzione del vescovo e della classe dirigente. In seguito si diresse verso San Pietroburgo: un viaggio per lui fondamentale. Lì incontrò il religioso Giovanni di Kronštadt, che fu poi canonizzato dalle Chiese Ortodosse, ottenne donazioni per costruire la chiesa del villaggio e incontrò il rettore della facoltà di teologia della capitale, Ivan Stragorodskij. A San Pietroburgo Rasputin soggiornò presso il monastero di Aleksandr Nevskij e incontrò altri influenti esponenti dell’ortodossia russa, come il vescovo di Saratov, Hermogen, Padre Makarij, e il confessore della zarina Alexandra Feodovna, l’archimandrita Feofan (o Theofan): quest’ultimo, unitamente alla principessa Milica del Montenegro e da sua sorella Anastasia, grandi fautrici dei mistici e interessate di spiritismo, lo introdussero ufficialmente a corte il 1° novembre 1905 del calendario giuliano, presentandolo allo zar, Nicola II, e alla moglie Aleksandra.
Rasputin colpì molto favorevolmente la zarina, anche per la capacità di aiutare attraverso la preghiera sia lo zar che il principe ereditario Alessio dalle loro crisi emofiliache, diventando così intimo della famiglia reale, che gli consentì di visitare sempre più spesso la loro riservatissima residenza, situata nel parco di Carskoe Selo. Rasputin riuscì anche a guarire “a distanza” Alessio (dato che era stato momentaneamente allontanato per contrasti con la corte) da una crisi emorragica alla coscia nell’ottobre 1912.
Questi anni furono caratterizzati dai noti eccessi di Grigory in campo sessuale (sia con nobildonne che con prostitute), che gli valsero il soprannome di “Rasputin”, che in russo significa “depravato”, ma anche da una crescente influenza sulle decisioni dello zar, a tal punto che due suoi ex sostenitori, il suddetto vescovo di Saratov, Hermogen e il monaco Sergei Michailovich Trufanoff (Illiodor) cercarono inutilmente per due volte (nel 1911 e nel 1914) di farlo uccidere.
Non è ben chiaro se e quando Rasputin entrò in contatto con i Vecchi Credenti ed in particolare con i Khlysty: alcune fonti narrano che ciò sarebbe avvenuto durante il viaggio a Verchotur’e nel 1892, o comunque durante i pellegrinaggi di quegli anni, in cui Rasputin sarebbe rimasto attratto dalla combinazione di adorazione mistica e licenziosità sessuale dei Khlysty, innestando quella ritualità sulla sua base personale, probabilmente già caratterizzata da poteri e forze sottili; secondo alcuni, avrebbe poi diffuso quella “dottrina” a San Pietroburgo dopo il suo approdo nella città degli Zar.

Rasputin nel suo appartamento di San Pietroburgo insieme ad amici e visitatori, tra cui importanti membri del governo e dell’alta società russa
Dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e l’entrata in campo dell’esercito della Russia zarista, l’influenza di Rasputin a corte divenne ancora più forte, tanto che egli poteva incidere sulle decisioni concernenti il governo e i suoi ministri, ed il clima di sospetto e di odio nei suoi confronti crebbe ancora di più. Nella notte fra il 16 ed il 17 dicembre 1916 del calendario giuliano, Rasputin fu invitato dal principe Feliks Jusupov, la cui moglie era nipote dello zar, e da un gruppo di altri congiurati, tra cui il Granduca Dimitri Pavlovich, cugino dello zar, ad un ricevimento presso Palazzo Jusupov. I congiurati avevano progettato di uccidere Rasputin, sembra per la sua intenzione di far negoziare allo Zar una pace separata con la Germania (ipotesi che in ogni caso non dispiaceva alla zarina Alexandra, originaria di una famiglia nobile tedesca). Dopo aver tentato inutilmente di ucciderlo col veleno e con un colpo di pistola, alla fine i congiurati riuscirono nel loro intento massacrandolo. Il suo corpo fu gettato nel canale Malaja Mojka, tributario del fiume Neva, da cui fu ripescato il suo cadavere due giorni dopo.
Due mesi dopo, nel febbraio 1917, lo zar fu costretto ad abdicare in occasione della rivoluzione di Febbraio, seguita da quella decisiva dell’Ottobre dello stesso anno. Nicola II e tutta la famiglia furono confinati a Ekaterinburg sugli Urali, dove furono uccisi per ordine del soviet locale nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918, a meno di due anni dalla morte di Rasputin. Sembra, a tale riguardo, che Rasputin, tra le sue svariate profezie, avesse previsto che la famiglia Romanov non sarebbe sopravvissuta oltre due anni dopo la sua scomparsa: dopo l’uccisione di Rasputin, Nicola II venne a conoscenza di una lettera che egli gli aveva inviato. Il segretario di Rasputin, Aron Simanovich, scrisse nelle sue memorie il testo della profezia contenuto nella lettera: “Zar della terra russa, quando sentirai suonare le campane che ti informano della morte di Grigorij, allora sappi: se degli assassini mi uccideranno, i contadini russi, i miei fratelli, e tu, zar russo, non avrai nessuno da temere. Resta sul tuo trono e regna. Ma se i tuoi parenti avranno commesso l’omicidio, allora nessuno della tua famiglia, cioè figli e parenti, vivrà più di due anni. Il popolo russo li ucciderà”. In effetti, tra i cospiratori vi era, come detto, uno dei parenti di Nicola II: suo cugino, il granduca Dmitrij Pavlovich.
In corrispondenza con l’abdicazione dello zar Nicola, nel marzo del 1917, la salma di Rasputin era stata riesumata dai bolscevichi, i quali ne cremarono i resti in modo che il suo luogo di sepoltura non potesse divenire meta di pellegrinaggio per i nostalgici della monarchia zarista. In effetti, fino alla morte, Rasputin si era mantenuto fedele a Nicola II e ad Aleksandra, avendo sempre avuto fede cieca nell’assolutismo imperiale su cui si basava la regalità degli Zar di Russia.
***
“La strana religione dei Khlysti – Rasputin apparteneva alla misteriosa setta?”
di Julius Evola
tratto dal “Roma” il 21 maggio 1957
Di Rasputin, si è parlato fin troppo. Pochi si sono però posto il problema delle relazioni esistenti fra la sua «religione» e la sua non comune personalità e la setta russa dei Khlysti alla quale egli aveva appartenuto. Che Rasputin non fosse un semplice mistificatore dissoluto, che egli possedesse certi poteri supernormali, lo dimostra, se non altro, la sua fine: forti dosi di un potente veleno, come il cianuro, su lui non ebbero alcun effetto, né dei colpi di pistola sparatigli da presso riuscirono ad abbatterlo, per cui egli dovette essere massacrato.

Rasputin con la zarina Alexandra Fëdorovna, i figli e la balia (1908)
Ci si può dunque chiedere se, in genere, si trattasse solo di forze personali di Gregorio Efiomovic (tale era il vero nome di Rasputin) o se in ciò una parte l’avessero avuta la sua precedente esperienza presso i Khlysti e una sua ripresa delle pratiche a questi proprie.
I Khlysti erano una setta segreta tanto che come primo obbligo ogni suo membro non doveva rivelar mai nulla dei suoi riti e delle sue idee ai profani, si trattasse anche del proprio padre e della propria madre. Esteriormente, si conformavano alla ortodossia del cristianesimo russo. Ma per gli iniziati questa era la «falsa credenza» ed essi avevano una «dottrina interna» ove era visibile la riemergenza di riti e concezioni precristiane malamente amalgamati ad alcuni motivi della nuova fede.
Il presupposto dogmatico della setta era che l’uomo è, potenzialmente, Dio. Egli può prendere coscienza di ciò, e quindi esserlo anche di fatto, realizzando, se è uomo, la natura del Cristo (donde la denominazione della setta), se è donna, quella della Vergine, quando provochi la discesa trasfigurante su lui dello Spirito, mediante un rito segreto. Questo rito veniva celebrato a mezzanotte. I partecipanti, uomini e giovani donne, indossavano soltanto una veste bianca su di una nudità completa. Presso a formule invocatorie, si iniziava una danza a ronde, gli uomini costituendo un circolo al centro che si muoveva velocemente nel senso della marcia del sole, le donne formando invece una ronda esterna al primo, con direzione opposta, antisolare. Il moto si faceva sempre più vertiginoso e selvaggio, finché alcuni componenti si scioglievano dalle ronde e si mettevano a ballare isolatamente, come i dervisci giranti, con una velocità tale che – viene riferito – talvolta non se ne distingueva più la figura: la danza. Come tecnica per l’estasi. L’esempio agiva in modo contagioso. Come ulteriore fattore di esaltazione, si aggiungeva il dolore fisico, il flagellarsi reciproco della massa dei convenuti, uomini e donne. Nell’acme di tale frenesia si sentiva avvicinare la trasformazione interiore, l’imminente, invocata discesa dello Spirito. A tal punto, uomini e donne si denudavano strappandosi di dosso le bianche vesti rituali e accoppiandosi promiscuamente: come se dall’amplesso il rito orgiastico venisse portato alla sia intensità-limite.
L’ibrido miscuglio di «paganesimo» e di cristianesimo appare, in questi riti, nel fatto che essi avevano per centro una giovane donna, eletta volta per volta, nella quale si vedeva «la personificazione della divinità e, insieme, il simbolo della forza generatrice»; ella veniva adorata sia come la Madre Terra, sia come la Vergine Santa dei cristiani. Si presentava completamente nuda alla fine del rito segreto, a distribuire ai fedeli chicchi di uva secca, nel senso di una specie di sacramento. Questo dettaglio lascia riconoscere facilmente, nella cerimonia segreta dei Khlysti, un prolungamento dei riti orgiastici antichi che si celebravano nel segno dei Misteri della Grande Dea ctonica e della «Dea nuda». È però interessante notare che, nella setta in parola, il sesso veniva rigorosamente limitato a questo uso rituale ed estatico; infatti, in ogni altro riguardo la setta professava un rigido ascetismo, condannava qualsiasi amore carnale, a tal segno, da stigmatizzare lo stesso matrimonio.
Considerando ora Rasputin e le sue idee, troviamo più o meno lo stesso orientamento. È già significativo che il titolo di starez, cioè di santo anziano, comportasse in lui l’associazione col soprannome di Rasputin, che egli sempre conservò, e che deriva da rasputnik, ossia «dissoluto». Lo sfondo sembra ugualmente essere quello di un «erotismo mistico». Quando Rasputin dichiarava: «sono venuto a portarvi la voce della nostra santa Madre Terra e a insegnarvi il beato segreto che essa mi ha trasmesso, circa la santificazione mediante il peccato», noi vediamo tornare il tema della Grande Dea (la Madre Terra) mescolato col concetto cristiano della peccaminosità della carne. Il paradosso, qui, era che nella sessualità scatenata, nella cosiddetta «mischia del peccato», si vedeva un mezzo efficace di «mortificazione», avente gli effetti positivi di una «morte mistica», premessa di una «trasformazione meravigliosa».
Nel suo aspetto astratto questa idea singolare non è peraltro priva di reazione con certe vedute dello stesso cristianesimo, ad esempio con quella difesa notoriamente da Lutero. Secondo Lutero, la stessa «virtù» può essere peccato quando è informata dall’orgoglio della creatura decaduta, che di essa trae vanto e che pretende di salvarsi con le proprie forze. Per cui, cedere alla carne sarebbe un modo di umiliarsi, di distruggere l’orgoglio dell’Io, sempre che si creda, cioè che nella stessa abiezione ci si rivolga a Dio. Donde appunto la formula paradossale di Lutero: pecca fortier, crede fortiter.
Ma questa può essere una semplice superstruttura, nel caso della «religione di Rasputin»; il fatto più profondo e, diciamo così, esistenziale, che rimanda alle pratiche dei Khlysti, doveva piuttosto essere ciò che, in circostanze speciali, il sommovimento degli strati più profondi dell’essere attraverso la sessualità può propiziare. Viene riferito che spesso Rasputin faceva uso della danza, da lui considerata come parte integrante di un tutto che culmina nell’amplesso: prediligendo la musica tzigana (la quale, quando è autentica, è fra le poche conosciute che conservino una dimensione frenetica assai più di ogni rock and roll). È stato detto che le donne con cui, avendole ritenute degne di compiere con lui il rito, Rasputin ballava, «avevano effettivamente il senso di partecipare dell’influenza mistica, di cui lo starez spesso aveva parlato». Il ritmo facendosi sempre più frenetico, si osservava come «il volto della danzatrice si accendesse, come il suo sguardo a poco a poco si velasse, le palpebre si appesantissero e, alla fine, si chiudessero». Allora lo starez portava via la donna quasi priva di conoscenza per unirsi con lei. Per lo più, il ricordo che le donne conservavano di ciò che quindi avveniva era di una estasi quasi mistica, poco attribuibile alla semplice persona di quel rozzo contadino. Non mancò tuttavia chi ne ritrasse una impressione di profondo orrore, e si annovera perfino un caso di semifollia come esito. Ma quando ci si avvia verso queste zone di frontiera della parte sotterranea del proprio essere, la possibilità di tale doppio effetto appare naturale.
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