Concludiamo lo speciale dedicato a René Guénon, che ci ha accompagnato lungo l’intero anno (ma, ovviamente, su RigenerAzione Evola i contributi di e sul maestro di Blois ci saranno sempre), con un articolo poco conosciuto di Julius Evola, uscito inizialmente sulla rivista Il Ghibellino nel 1963, e poi ripubblicato anni dopo, nel 1977, a cura della sezione di Genova del Centro Studi Evoliani, sul celebre bollettino interno che rappresentava l’organo di collegamento tra i vari Centri Studi Evoliani che, successivamente alla scomparsa di Evola, vantavano sezioni anche all’estero, come in Francia, Canada e Grecia.
L’articolo è significativo perché Evola, in esso, non ripropose un agiografico ricordo di Guénon e della sua opera, come pure diverse volte aveva fatto in precedenza dagli anni Trenta in poi, ma affrontò il tema della “scolastica” guénoniana, vale a dire il fenomeno rappresentato dai “mitomani” di Guénon, dai presunti epigoni, discepoli, successori del maestro, intenti a riprodurne e difenderne pedissequamente e passivamente idee e contenuti, fino a perdere ogni spirito critico, a vedere fantasmi e nemici ovunque, a creare fratture e contrasti aspri con altri ambienti tradizionali, funzionali soltanto al gioco delle forze della sovversione. D’altronde, anche nell’ambiente evoliano è successo e succede, notoriamente, la stessa cosa.
In particolare, Evola inquadrò nel proprio mirino la Rivista di Studi Tradizionali di Torino, rispondendo ad alcuni attacchi gratuiti subiti in seguito alla pubblicazione de La Dottrina del Risveglio, e non soltanto. Nel ribattere, il barone non mancò di riproporre alcune delle sue critiche di fondo all’impostazione stessa di Guénon, che sembrava aver perlopiù messo da parte da diverso tempo: quasi che il fuoco giovanile della polemica col maestro di Blois si fosse riacceso prepotentemente, stimolato dagli attacchi strumentali del gruppo facente capo alla R.T.S..
L’articolo di Evola viene da noi riproposto nella versione curata dal Centro Studi Evoliani sul proprio bollettino, per cui troverete delle note al testo di Evola, e, in calce, una postilla polemica con note, curata sempre dal C.S.E., che volle proporla a seguito di un polemico commento contro Evola e lo stesso C.S.E., da parte della Rivista Studi Tradizionali, successivo alla pubblicazione de L’individuo e il divenire del mondo, curata proprio dal Centro Studi. Ci è sembrato utile riproporre anche le integrazioni da parte del C.S.E., per fornire un quadro “storico” delle polemiche di quegli anni. Polemiche che, tuttavia, come abbiamo detto, non hanno mai cessato di animare gli ambienti tradizionali, sia sul fronte evoliano che su quello guénoniano, sia internamente che esternamente. Tutte energie psichiche “regalate” al nemico (con tanto di rischi concreti che certe ossessioni conducano alla formazione di veri e propri aggregati psichici, eggregori, come vengono inesattamente definiti), che fa della divisione e della discordia la sua arma, ricordiamolo, mentre dovrebbe essere l’Unità verso l’alto a guidare la bussola di un unico Fronte della Tradizione, al di là di contingenze, “equazioni personali”, diversi angoli visuali, diverse sensibilità e quant’altro.
***
di Julius Evola
tratto da Il Ghibellino, V, 1, gennaio 1963, pp. 227-230, e ripubblicato sul bollettino interno del Centro Studi Evoliani, n. 18 del dicembre 1977
René Guénon è certamente da considerarsi come un Maestro del nostro tempo. I suoi contributi alla critica del mondo moderno, alla comprensione del “mondo della Tradizione”, dei simboli e degli insegnamenti metafisici sono di altissimo valore. Io sono stato fra i primi a far conoscere, da circa trent’anni, il Guénon in Italia (e anche nell’Europa centrale) con saggi, traduzioni e citazioni, e con lui sono rimasto in cordiale relazione epistolare fin quasi alla sua morte. Se è augurabile che il pensiero del Guénon eserciti una adeguata influenza, deve però accusarsi un pericolo, il delinearsi di una specie di “scolastica” guénoniana: è l’attitudine e seguire passivamente ogni veduta del Guénon, con uno spirito da “primi della classe”, senza nessun approfondimento o discriminazione, con un vero terrore a cambiare soltanto una virgola nelle sue formulazioni.
Se l’ “originalità” è sicuramente fuor di luogo in questo dominio, pure resta vero che l’influenza di un maestro è efficace non quando dà luogo a ripetizioni pedisseque e stereotipe bensì quando costituisce l’impulso per sviluppi e, se necessario, per revisioni, secondo una ricchezza di visuali. D’altra parte il doveroso riconoscimento di quel che di valido e di unico vi è nell’opera del Guénon non deve impedire la constatazione di alcuni suoi limiti, dovuti alla sue “equazione personale” e alla sua forma mentis. E proprio ciò lascia campo libero ad un possibile, fecondo lavoro. L’orientamento personale del Guénon è stato essenzialmente intellettualistico e ”sapienziale”: tutto ciò che riguarda il campo “esistenziale” e operativo, l’esperienza vissuta, le direttive realizzative oltre la semplice dottrina, è quasi inesistente nell’insieme dei suoi scritti.
Da qui, l’accennato pericolo di una “scolastica” (nel senso negativo) guénoniana, la quale può ridurre il tutto a qualcosa di inoperante e di astratto malgrado tutte le pretese (non dimostrate) di molti guénoniani di un sapere che dovrebbe anche essere “‘realizzazione”. Che un pericolo del genere esista, lo dimostra l’orientamento di alcuni ambienti guénoniani di “stretta osservanza”, e un esempio lo abbiamo anche fra noi, con la Rivista di Studi Tradizionali, nata l’anno scorso a Torino, che anche nella veste editoriale ricopia la rivista francese guénoniana Études Traditionnelles. La riproduzione, a cui si dedica, di alcuni articoli del Guénon, insieme a qualche testo o inquadramento teorico, può essere utile. Però il livello resta essenzialmente quello da “primi della classe”: nulla è meno sentito delle esigenze dianzi accennate, spesso è invece ben visibile l’inclinazione al “maestrismo”, cioè lo stile di un parlare ex cathedra e ex tripode con tono perentorio e pedagogico, con una autorità che di certo nessuno dei componenti della rivista possiede per una sua alta statura personale o per opere valide. Naturalmente, proprio quell’ “individualismo” per cui si ha orrore (tanto da allarmarsi già quando si parla di “realizzazione individuale”), con ciò ha ampio modo di soddisfarsi, col “maestrismo” avendo il mezzo di affermarsi, sotto la copertura dell’impersonalità, quel che in psicanalisi si chiama il Geltungstrieb.
E’ piuttosto singolare che un tale atteggiamento di chi “ne sa di più” sia stato preso anche nei miei riguardi, con uno scarso senso delle distanze, in uno scritto uscito nel quarto numero di detta rivista. Già il fine di esso non è chiaro. Posto nella rubrica “Libri”, si penserebbe alla recensione di qualche opera recente. Invece si tratta della mia Dottrina del Risveglio, libro uscito ben venti anni fa ed esaurito (1). Dato però che non ci si limita all’esame di questa opera, ma si prende posizione rispetto a varie idee, in genere, da me difese, sarebbe stato doveroso considerare l’insieme dei miei scritti, dove vi è fin troppo per mostrare in anticipo l’inconsistenza di quelle critiche, il fatto che l’estensore dell’articolo in questione ora scambia per muri porte già aperte, ora prende per porte sfondate saldi muri: non mancando, talvolta, una poco simpatica tendenziosità deformatrice.
Questo non è il luogo per rimettere partitamente le cose a posto; fra l’altro, ciò sarebbe un dar troppa importanza allo scritto e ripetere considerazioni già da me esposte più volte in altra sede. Così mi limiterò a dire che si sbaglia assai l’autore di tale scritto nel ritenere che la speciale formulazione data dal Guénon in base alla equazione personale, a insegnamenti tradizionali sia l’unica possibile e abbia quasi il carattere di una rivelazione assoluta, che tutto ciò che in un senso diverso io ho creduto di potere e di dovere esporre abbia una minore legittimità. La supremazia della contemplazione (o “conoscenza”) sull’azione, affermata dal Guénon, è contestabile, basandosi essa anzitutto su di una abusiva schematizzazione dei due concetti, che dà all’azione solo le valenze negative e alla contemplazione (o conoscenza) solo quelle positive. Esiste una via tradizionale dell’azione come esiste una via della conoscenza, qualificate, l’una come l’altra, a condurre verso il superamento della condizione umana. Si legga nella Bhagavad-gîtâ ciò che si fa dire alla stessa divinità, quando essa indica la via dell’azione riferendovi perfino la sua suprema forma di manifestazione (c. XI).
Nel campo pratico, realizzativo, proprio a prevenire ogni “scolastica” l’azione deve avere il primato; deve valere il tradizionale post laborem scientia, e l’atteggiamento specifico pratico e ascetico del buddhismo delle origini (oggetto di quel mio libro) è il solo adeguato, e oggi come non mai. Una conseguenza particolare, che interessa un dominio più vasto, e lo stesso problema delle forme tradizionali veramente adeguate, in via di principio, all’Occidente, è la contestazione del primato di una autorità spirituale, abusivamente e unilateralmente identificata con quella a carattere brahmanico-sacerdotale, sull’autorità regale. Ciò è apertamente contraddetto da tutte le principali civiltà-tradizionali a noi note: in Cina, antica India, Giappone, Egitto, Perù, Ellade e Roma antiche, antichi ceppi nordici, ecc. ecc., si ebbe sempre, al vertice, la regalità sacra, mai un re soggetto ad una casta sacerdotale. A tali aspetti dalla tradizionalità si riferì anche l’alto ghibellinismo.
Nel campo iniziatico, si debbono poi «formulate precise riserve (espresse da tempo nel saggio Limiti della “regolarità” iniziatica](2) nei riguardi della concezione quasi burocratica dell’iniziazione prevalentemente prospettata dal Guénon: quella che considera unicamente l’aggregazione (spesso del tutto inoperante) a organizzazioni “regolari”, le quali, peraltro, nel mondo attuale o hanno cessato di esistere, o sono quasi irraggiungibili, o sussistono solo in forme spente e perfino invertite (come nel caso della massoneria – altro preciso dissenso col Guénon).
Il giudizio originario del Guénon sul buddhismo attestava una stupefacente incomprensione; già soppresso nell’edizione inglese di Orient et Occident, il Guénon in seguito lo ha mutato solo in parte, perché ha fatto delle concessioni solo ad un buddhismo “brahmanizzato”, il che equivale a dire ad un buddhismo privato di ciò che esso, nelle origini, ebbe di specifico e di più valido. Questo elemento specifico riguardò una via di realizzazione in un certo modo autonoma, la situazione in cui l’azione dell’individuo qualificato che si volge verso l’incondizionato, perfino con la violenza (lo stesso cristianesimo conosce la violenza di cui la porta dei Cieli è suscettibile a subire, e il detto “voi siete dèi”) è la controparte imprescindibile della discesa di una forza dall’alto, senza “burocrazie iniziatiche”.
Infine è da respingere ciò che il Guénon scrisse in un infelice articolo sulla Necessità di un exoterismo tradizionale, offrendo pericolosi incentivi e alibi ad un conformismo codino e piccolo-borghese. Ben farebbero, i “primi della classe”, ad approfondire il vero senso della cosiddetta Via della Mano Sinistra, via avente un carattere non meno tradizionale di quella della Mano Destra, col vantaggio di mettere ben in rilievo la trascendenza propria ad ogni realizzazione e aspirazione veramente iniziatica. Il Guénonismo astratto e intellettualizzante, da meri “centri di studi”, può anche ignorarlo; ma la rottura fra le forme della vita esteriore e i residui tradizionalisti exoterici da una parte, ogni possibile orientamento trascendente dall’altro, è ormai da noi profonda e irreversibile. Cosi per la quasi totalità di coloro che non hanno la possibilità o la vocazione di staccarsi completamente dal mondo, è difficile che un orientamento “tradizionale” possa concepirsi e realizzarsi in termini diversi da quelli, essenzializzati e liberi (esteriormente) che ho esposto nell’ultimo mio libro, Cavalcare la tigre.
A vari altri punti qui non posso accennare; d’altronde, ripeto, si tratta di cose da me già chiarite in libri e scritti che l’autore della critica in questione o non conosce, o fa come se non conoscesse. Un ultimo rilievo, a indicarne la tendenziosità. Egli mi fa dire, che, nella revisione dell’etica buddhista, io consiglio, a chi non abbia la capacità di seguire il precetto di castità, l’uso della donna come di una cosa. A parte l’istruirsi, leggendo la mia Metafisica del sesso, su ciò che in un quadro tradizionale ho esposto circa il sesso e le sue possibilità, ciò che ho scritto nel passo incriminato, se ben capito, si riduce alla massima di dare ad un eventuale, non ancora superato impulso fisico verso il sesso la mera soddisfazione che si può concedere al bisogno di nutrimento, ogni repressione puritana potendo condurre a tensioni e intossicazioni interiori che sono notoriamente di ostacolo alla vita spirituale e la distorcono con ”trasposizioni” e simili (vedi certe forme di mistica cristiana). Mi si dice che l’estensore della nota sia, di professione, un giudice (3). Mi auguro che nelle aule dei tribunali non dia prova della stessa obiettività, della stessa informazione e dello stesso spirito di comprensione dimostrati in questa e in altre sue critiche.
Note a cura del Centro Studi Evoliani (1977)
(1) Si fa riferimento ad una recensione firmata dal sedicente G. Ponte, della prima edizione della Dottrina del Risveglio (Laterza, Bari, 1943), nella Rivista di Studi Tradizionali, II, 4, luglio-settembre 1962, pp- 199-209 (n.d. C.S.E.);
(2) Cfr. EA (J. Evola), Sui limiti della regolarità iniziatica, in GRUPPO DI UR, Introduzione alla Magia, vol. III, 3° ediz. Roma 1971, pp. 160-175. Una utile traduzione francese di questo testo è ora apparsa a cura di Pierre Pascal in appendice alla nuova edizione francese de La Doctrine de l’Eveil, Arché, Milano 1976, pp. 285-295 (n.d. C.S.E.);
(3) Una volta tanto aveva ragione il sedicente G. Ponte quando affermava in R.S.T., III, 9, ottobre-dicembre 1963, p. 265, (post scriptum a Julius Evola, o il rinoceronte sull’asfalto), che “di fronte a questa notizia … il nostro contraddittore non è attendibile”. Senonché noi siamo un pochino meglio informati di Evola e sul cosiddetto “Giovanni Ponte” la sappiamo lunga. Il suo vero nome è Franco Musso (con tale autentico nome ha firmato raramente qualche scritto in R.S.T., ad es. nel n. 6) ed abbiamo motivo di ritenere sia l’autore di quasi tutti gli articoli – per lo più polemici – che con diversi nomi (quasi sempre falsi) vengono siglati nella R.S.T.. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, non è di Torino, ma abita a Genova, all’estrema periferia della città, allietato da numerosa prole femminile; non è giudice, ma dipendente di un’industria chimico-farmaceutica genovese. Se poi è vero il detto degli antichi che il corpo è immagine dell’anima, allora quella del nostro Musso-Ponte deve essere proprio del color del carbone, indipendentemente dalla sua barbetta mefistofelica: che sia il primo della classe anche nei tenebrosi convegni convocati dal misterioso “sufo” che gli ha ordinato di farsi mussulmano? (n.d. C.S.E.)
***
POSTILLA DEL CENTRO STUDI EVOLIANI (1977)
Abbiamo pensato di fare cosa utile ripubblicando questo articolo in occasione dell’ennesimo odioso attacco [1] portato dalla sedicente Rivista di Studi Tradizionali ad Evola in una sorta di ambiguo commento all’uscita de L’individuo e il divenire del mondo, la cui edizione – come è noto – è stata da noi curata. Per i “cappuccetti rossi” della R.S.T. Evola altro non è che un “lupo psichico” da cui fuggire impauriti e noi di Arthos naturalmente siamo i suoi “lupetti cattivi”, in quanto «continuatori fedeli delle sue idee», attestazione avversaria di cui peraltro siamo onorati.
Non abbiamo certo intenzione di rispondere a simili amenità, né a tutte quelle altre che la R.S.T. ci ha ammannito con ammirevole pervicacia durante i (troppo) lunghi diciassette anni della sua esistenza: simili individui hanno dimostrato, con la malafede e la volgarità della loro squallida dialettica, di non meritare l’onore del dibattito o dello scontro ideologico, e del resto Evola – come per altri versi Guénon (2) – non ha certo bisogno della nostra difesa. Peraltro siamo convinti che per i felloni e i massoni, più che cavallereschi dibattiti, siano necessarie salutari legnate: speriamo bastino quelle metaforiche.
Già in passato avevamo preannunciato rivelazioni sul conto dei “guénoniani” della R.S.T. ed ora qui ne faremo alcune. E’ già a tutti noto che i collaboratori della R.S.I. sono tutti massoni appartenenti alla loggia “Hiram” di Torino, il che sarebbe già sufficiente qualificazione per noi, i quali siamo fermamente convinti che «l’iniziazione massonica è senz’altro qualcosa di reale: ma una realtà tale da fare inorridire i sani di spirito… Si tratta di una autentica contraffazione dai veri e propri connotati satanici, di cui la stragrande maggioranza degli “iniziati” è ben lungi dal rendersi conto, in primo luogo proprio perché ignota le reali origini e la storia di quel che è la massoneria, la quale non è affatto la continuazione delle corporazioni muratorie medievali, ma qualcosa di assolutamente nuovo ed autenticamente sovversivo, come testimoniato dall’attento esame dei documenti che sono alla base della moderna muratoria settecentesca, documenti oggi accessibili ai seri ricercatori e sconosciuti certamente ad Evola e molto probabilmente (horresco referens) allo stesso Guénon.
Ma indipendentemente da tutto ciò, noi siamo in grado di affermare – sulla base di attendibilissime notizie “in fuga” dalla Loggia (dii lanatos pedes habent) come tra la “Hiram” (cioè la R.S.T.) e certe forze politiche di sinistra esista antica comunella, come nell’imminenza delle elezioni politiche del 1972 in un convegno a Torte Pellice sia stato rivolto l’invito (“dai superiori incogniti”?) ai componenti la “Hiram” di votare e far votare per il Partito socialista italiano (sic!), come il sedicente Giovanni Ponte si sia dichiarato “amico ed estimatore” di Ugo La Malfa (sic!) e così via.
Ed ecco allora spiegato l’accanimento con cui la R.S.T. ha recentemente cercato, con una foga degna di miglior causa, di negare qualsiasi possibilità di portare alle loro logiche conseguenze politiche alcuni aspetti delle dottrine di René Guénon (3), per i quali è innegabile (si veda ad es. La crisi del mondo moderno) la funzione di utile e qualificante supporto ideologico per l’azione di una Destra tradizionale, funzione di cui Guénon era certamente al corrente quando forniva il suo contributo per il Diorama filosofico e per La Vita Italiana di Preziosi (4).
Nel tentativo dei massoni della R.S.T., quindi, non vi sarebbe affatto il nobile proposito di elevare il pensiero del Maestro al di sopra delle parti, bensì una precisa, inconfessabile manovra politica. E non ci vengano a dire, come altra volta è stato osservato ad Evola (5), che il fatto di essere loro massoni (e socialisti) sia «cosa che riguarderebbe solo loro» e che non ha «importanza» la loro «individuale adesione a questa o a quella tradizione»: chi si è assunto la pesante responsabilità di richiamarsi al pensiero di Guénon e di dirigere una rivista che si autodefinisce tradizionale, ha dei precisi doveri verso i propri lettori, nei confronti dei quali deve mostrarsi senza i “veli” di una non esplicitamente confessata fede massonica o politica e farsi conoscere col proprio nome e cognome, senza comode coperture in nome di presunti “superamenti dell’individualismo”. Ma i pseudo-tradizionalisti “di sinistra” della R.S.T. hanno la catena ormai misurata: il loro sporco gioco è stato da tempo individuato e i guénoniani in buona fede sono avvisati: parafrasando lo stesso Guénon (6) diremo che la loro «contraffazione costituisce di per sé un marchio assai significativo dell’origine reale di ciò che lo porta», mettendo «bene in evidenza la natura veramente satanica» degli squallidi fratelli della assai poco “venerabile” loggia ”Hiram”.
Note
(1) Cfr.. G. PELLEGRINO, Il lupo e l’agnello, in Rivista di Studi Tradizionali, n° 46, gennaio-giugno 1977, pp. 44-49.
(2) Per il tradizionalista cattolico Piero Vassallo, ad esempio, «l’esperienza guénoniana deve essere rifiutata in blocco» (P. VASSALLO, Il cabalismo di Guénon, ne La Quercia, V, dicembre 1977, p. 14), ma il Vassallo ci aveva abituato ad affermazioni perentorie ancor più sorprendenti, come quella secondo cui «è però fuori dubbio che l’opera guénoniana è un’opera in sé allucinata e allucinante, e per rispetto alle suggestioni che essa contiene e per rispetto all’esplicitazione del rapporto col demoniaco. Per questo Guénon è l’ultimo anello della catena moderna… » (P. VASSALLO, La soluzione gnostica della filosofia moderna, in Renovatio, II, 2, aprile-giugno 1967, pp. 303-304). Come esegeta delle opere guénoniana il Vassallo non è poi da meno quando afferma essere «il Re del Mondo un’opera che solo lettori ingenui posson ritenere tradizionale… Autorità spirituale e potere temporale non è che lo sviluppo politico della teologia atea che Guénon mutuò dalla gnosi» (P. VASSALLO, Il tradizionalismo di Guénon: una cultura da cui la destra deve difendersi, in Nuova destra, II, 17-18, ottobre 1972, p. 4).
(3) Cfr. G. MANARA: Evola parodista, in R.S.T., n° 38, gennaio-giugno 1973, pp. 44-45 (su cui si veda una icastica risposta di Evola in Alcune lettere inedite di Julius Evola (1969-1973), a cura del C.S.E., in Arthos, III, 7, settembre-dicembre 1974, pp. 112-113) e P. NUTRIZIO, Implicazioni politiche dell’opera di René Guénon?, in R.S.T., n° 39, luglio-dicembre 1973, pp. 89-103.
(4) Consigliamo al sedicente “Giovanni Pellegrino” autore dello scritto Dei poeti e loro (sic) fantasticherie filosofiche e del successivo Post scriptum, in R.S.T., n° 42, gennaio-giugno 1975, pp. 50-65, di lustrarsi meglio gli occhiali o perlomeno di informarsi direttamente quando intende riferire dati bibliografici: l’articolo di Guénon da noi edito in Arthos n° 3 (maggio-agosto 1973, pp. 55-61: Problemi della Tradizione) non è stato tratto da “un diorama culturale”, come egli afferma, bensì dal mensile La Vita Italiana (novembre 1937): e ciò basti ad indicare il grado di serietà e di informazione (perlomeno culturale) di cui sono dotati i framassoni dalla “Hiram”. In quanto al citare brani di presunte lettere di Guénon a sostegno di questo o di quello (abitudine frequente della R.S.T.), non ci si potrà mai sottrarre ad una netta impressione di falso se, con una deprecabile “insensibilità documentaria” (forse appunto perché tali brani di lettere esistono solo nella fantasia dei “primi della classe”), non si dirà mai a chi quelle lettere siano state indirizzate e dove, e soprattutto non ne sarà fornita la riproduzione fotografica, a sostegno della loro autenticità.
(5) Cfr. T. -MASERA, recens. a Renovatio, in R.S.T., n° 29, ottobre-dicembre 1968, pp. 200-202.
(6) R. GUÉNON, Le contraffazioni dell’idea tradizionale (I), in R.S.T., II, 4, luglio-settembre 1962, p. 154.
Nell’immagine in evidenza, René Guénon in un’opera di Antonio Pires
'René Guénon e la scolastica guénoniana' has no comments
Vuoi essere il primo a commentare questo articolo?