Scienza ultima

Ancora sul tema della scienza e della fisica moderna, un articolo di Evola risalente al 1957, dove, in particolare, veniva smontata l’idea che la fisica atomistica contemporanea potesse aver assunto una presunta veste “filosofico-spirituale”, che l’avrebbe innalzata rispetto al mero materialismo. Si rimanda ancora, in tal senso, alla tormentata e significativa vicenda del Bosone di Higgs o “Particella di Dio”, che tanto sta facendo impazzire i fisici in questi anni, e di cui stiamo dando dei ragguagli da un’ottica tradizionale.

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di Julius Evola

Tratto da “Il Popolo Italiano”, 2 agosto 1957 

Illusioni del tempo presente – Scienza ultima

Da un certo punto in qua, in margine agli ultimi sviluppi delle scienze fisiche moderne si è affacciata una specie di filosofia che non manca di far colpo su certo pubblico di un livello culturale da Reader’s Digest. Il quadro da essa presentato è più o meno il seguente: la scienza avrebbe ormai superato il materialismo e si avvierebbe verso una concezione spiritualistica del mondo. Le sue conclusioni investono il dominio della filosofia, e qui, mentre liquidano le vecchie speculazioni inoperanti, partendo dalla realtà spingerebbero verso una nuova metafisica, verso una sintesi del sapere in cui la scienza e le verità della religione, se non pure della mistica, possono accordarsi. A parte i divulgatori, anche certi scienziati, dall’Eddigton allo stesso Einstein, hanno accettato estemporaneamente idee simili. E nei loro riguardi, più che a qualcosa di simile allo scaltro sorriso d’intesa degli auguri mistificatori di Cicerone, è da pensarsi all’inverosimile ingenuità di cui danno prova gli specialisti non appena varcano i ristretti confini dei dominii di loro competenza. La verità è invece che con tutta la scienza di oggi non si è andati di un sol passo avanti né nel campo di un conoscere veramente degno di tale nome, né di una qualunque rimozione della visione disanimata e priva di ogni senso profondo della natura, della vita e del mondo esteriore in genere, che è propria all’uomo del moderno Occidente. Anzi, se mai, è da segnarsi un regresso.

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L’equivoco nasce unicamente dal valore non intellettuale, ma puramente pratico, pragmatico e, nelle ultime conseguenze, industriale della scienza moderna. Perché si è arrivati ai radar, alla bomba atomica e si preannuncia la «seconda rivoluzione industriale», si crede di esser comunque progrediti in un campo diverso da quello del mero sapere profano. Invece, il piano per nulla è cambiato. Dal punto di vista intellettuale, spirituale e umano il valore delle scienze ultime è assolutamente uguale a quello della scienza di ieri, che si definiva meccanicistica e materialistica: si tratta unicamente del perfezionamento di un unico genere di conoscenza, di quella organizzatasi a partire dalla Rinascenza escludendo tutto ciò che non si riduca all’esperienza sensibile e a ipotesi e teorie mutevoli costruite dall’intelletto astratto intorno ad essa.

Il valore di una scienza siffatta è stato già fissato per tempo, una volta per tutte e onestamente dai critici, come il Leroy, il Poincaré, il Brunschwicgs (1), e solo agli ingenui e ai profani si possono prospettare idee, come quelle accennate al principio. Già il concetto di «verità» nel senso tradizionale è estraneo alla scienza moderna; per essa «verità» è solo l’ipotesi più comoda, quella che meglio permette di prevedere i fenomeni e di ricondurli ad una certa unità: ipotesi, che si è pronti a cambiare non appena qualche nuovo fatto non vuole rientrare nello schema precedente – e ciò di continuo, senza un qualche principio che valga per sé, per la sua natura intrinseca, una volta per tutte.

La scienza ultima non ha fatto penetrare maggiormente l’uomo nella realtà, ma lo ha allontanato di più da essa. In effetti, in cotesta scienza ciò che la natura sarebbe si sottrae sempre di più ad ogni intuizione concreta, si risolve in un complesso astrattissimo, quasi cabalistico di relazioni e di funzioni matematiche. Spazio, tempo, causalità, energia e via dicendo non sono più nulla di ciò che tali parole evocano intuitivamente, ma si mutano con astruse formule algebriche, intelligibili, in fondo, solo per una ristrettissima cerchia. Con gli atomi di ieri e la concezione meccanica della natura ci si poteva ancor rappresentare qualche cosa; con le entità della nuova scienza fisico-matematica non ci si può assolutamente rappresentare più nulla, esse sono semplici elementi di una rete costruita non per un conoscere in senso concreto, intuitivo, vivendo (il solo che importi davvero all’uomo), bensì per aver una presa pratica sempre più grande, ma sempre esterna, sulla natura, che nel suo fondo ultimo resta misteriosa e chiusa all’Io quanto prima.

Con la scienza e la fisica moderna,” il significato ultimo di tutto ciò che vedo – luce, sole, fuoco, acque, cielo, folgori – di ogni processo o fenomeno non mi si è reso più trasparente” (immagine tratta liberamente e senza modifiche da pixabay.com (free simplified pixabay license; author: skeeze)

Appunto al profano si può andar a raccontare che, poiché per la nuova scienza la «materia» si risolve in «energia» o in «luce coagulabile», e poiché essa parla di spazi a più dimensioni, essa porta di là dal materialismo e rompe i limiti dell’esperienza sensibile. Ma come la «materia» di ieri era una entità misteriosa sottraentesi ad ogni precisa definizione, del pari le nuove concezioni sono meri simboli matematici astratti. Introdotte che siano, nulla cambia, quanto alla nostra effettiva esperienza del mondo. Non per l’esistenza reale, ma solo per la mente che si diletta di frivole speculazioni può aver interesse questa sostituzione di ipotesi. Dopo che si è detto che non esiste la «materia», ma la «energia», che noi viviamo in uno spazio curvo con quattro o più dimensioni, e così via, le cose restano proprio come prima, la mia esperienza reale in nulla è cambiata, il significato ultimo di tutto ciò che vedo – luce, sole, fuoco, acque, cielo, folgori – di ogni processo o fenomeno non mi si è reso più trasparente. Di un trascendimento, del passaggio ad un conoscere in profondità, in termini spirituali, non è affatto il caso di parlare .

Così oggi, praticamente, la natura non ci è più estranea che nell’epoca del materialismo; essa è, poi, infinitamente più estranea che all’uomo di altre civiltà e perfino che per le popolazioni selvagge. Perché quando il primitivo presenta forze invisibili dietro le cose, quando il Greco concepiva il mondo come un cosmos, come un organismo vivente, quando un Bruno, un Cusano, un Campanella, un Peracelso e ancor un Goethe coglievano nessi profondi e simboli nella natura, con ciò si incideva realmente sulla situazione esistenziale dinanzi accennata, cioè su quel rapporto esterioristico fra Io e non-Io che resta invece il costante, rigido punto di partenza di ogni scienza moderna, cioè profana. Ma il fatto è che delle conoscenze derivate da quel diverso, spirituale orientamento non saprebbero essere di tipo «democratico». Esse presupponevano un trasformarsi interiormente, un destarsi ad un nuovo sguardo veggente, non il moltiplicare macchine e strumenti col relativo apparato delle matematiche e delle «ipotesi di lavoro». E ciò era cosa di pochi, così come il corrispondente sapere non poteva essere cosa che chiunque, restando quello che è, può apprendere in ogni università e può applicare all’uso di tutti. Basta però avere un qualche senso di questi diversi orizzonti per rendersi conto che le pretese «filosofiche» della scienza ultima sono un puro bluff. L’uomo oggi resta tuffato nella materia quanto mai, e tutta la sua scienza, con conquiste puramente materiali, tecniche e industriali, non fa che rafforzare le sue illusioni, che legarlo sempre di più alla terra.

Nota redazionale

(1) Evola si riferisce qui, con un piccolo errore di resa letterale, al filosofo francese Léon Brunschvicg (1869–1944), fondatore e direttore della Revue de métaphysique et de morale e professore alla Sorbona (1909).



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