Spengler ed il regresso delle nascite

Poco tempo fa, nel parlare dei rapporti tra Oswald Spengler e Benito Mussolini, avevamo fatto cenno ad un volume a firma di Richard Korherr, statistico tedesco che lavorò allo Statistisches Reichsamt prima di collaborare con il regime nazionalsocialista. Il libro affrontava il problema del regresso della nascite, tema caro sia a Spengler che a Mussolini, che scrissero due prefazioni per l’edizione italiana di questa opera, pubblicata dalla Libreria del Littorio nel 1928; tema che, peraltro, sta tornando in auge anche ai nostri giorni, fra chi sottolinea, più o meno in buona fede, i rischi della denatalità europea e della prospettiva di una progressiva sostituzione o mescolanza etnica con altri popoli extraeuropei, chi lo auspica, e chi “gioca” pericolosamente con le tematiche del neomalthusianesimo.

Oggi, con un altro piccolo scoop, proponiamo la breve prefazione a quel volume a firma di Spengler, nella quale lo scrittore tedesco elogiava la figura di Mussolini e la sua lungimiranza nell’aver posto al centro il problema della natalità: il neretto che abbiamo lasciato nel testo era presente, significativamente, nell’edizione italiana dell’opera. Lo scrittore tedesco, per contro, criticava con decisione la Germania di quegli anni, persa nel delirio politico-culturale di Weimar, in cui i temi della tutela della salute della stirpe e della natalità erano del tutto assenti, e per contro facevano capolino idee tipiche di un certo intellettualismo “decadentistico-espressionista” da salotto (idee che cominciavano pericolosamente a diffondersi oltre quei “salotti”, per raggiungere “democraticamente” le masse, contribuendo così ad accelerare il processo di disfacimento delle comunità) quali la diffusione delle droghe, la legalizzazione dell’aborto, la ricerca di una sessualità svincolata per principio da qualsiasi “ingombro” legato alla riproduzione, ecc..

Da notare il cenno sprezzante di Spengler al “culto della maschietta, che educa il corpo della donna non per la maternità, ma per gli esercizi sportivi“; un “culto” che, in connessione con la classicità greco-romana, ritroveremo tanto nel nazionalsocialismo che, peraltro, nello stesso fascismo italiano. Tema delicato, in cui Spengler intendeva contrapporre la figura della donna educata al culto della corporeità classica, spartana e sportiva, alla figura della donna giunonica e fertile. Contrapposizione criticabile perchè l’un principio non esclude l’altro, in quanto l’educazione alla salute del corpo e la fertilità non sono di certo da considerarsi in contrasto l’un l’altro, laddove non si estremizzino nè l’una posizione (la donna “da palestra” che rifiuta la maternità in quanto, tra le altre cose, le rovinerebbe irrimediabilmente la “linea”, concetto che ritroviamo in effetti nelle società contemporanee) nè l’altra (la donna “domestica” che rifiuta di dignificare la bellezza del corpo, che va curata non in quanto fine a sè stessa ma in quanto riverbero divino, specchio di armonia, purezza e salute, funzionale anche alla stessa fertilità).

Da notare anche il particolare riferimento spengleriano al “preludio del grido «panem et circenses» che echeggiò ai tempi della civiltà di Roma“: ricordiamo infatti che, nel sistema prefigurato dallo scrittore tedesco, in virtù del principio della cd. sincronicità (Gleichzeit), concettuale e non cronologica, tra le varie fasi della “regressione organica” delle singole civiltà, il Colosseo o comunque i grandi stadi e anfiteatri romani, per le masse che chiedevano panem et circenses, sarebbero il corrispettivo “sincronico” degli odierni maxistadi per i grandi eventi sportivi di massa, e le grandi opere architettoniche ed ingegneristiche della Roma imperiale sarebbero equiparabili, mutatis mutandis, al moderno trionfo della ipertecnologia e delle metropoli.

Riproponiamo ancora, quale breve introduzione a questo scritto, un estratto di “La recezione di Spengler in Italia”, saggio introduttivo al “Tramonto dell’Occidente”, nell’edizione di Guanda, scritto dalla professoressa Margherita Cottone, di cui una parte più estesa avevamo proposto in occasione dell’approfondimento sui rapporti tra Spengler e Mussolini cui facevamo cenno sopra.

Estratto breve da “La recezione di Spengler in Italia” (saggio introduttivo al “Tramonto dell’Occidente”, Editore Guanda) di  Margherita Cottone

La sintonia ideologica tra Spengler e il regime fascista esisteva di fatto ancor prima della traduzione di Anni decisivi ed era documentata dalla presenza di uno strano, ma significativo volumetto, pubblicato a Roma nel 1928, di un certo Richard Korherr: Regresso delle nascite: morte dei popoli, con prefazione di Spengler e Mussolini.

Il timore comune al nazionalsocialismo ed al fascismo di un invecchiamento della stirpe satura di «Zivilisation» e incapace di rigenerarsi, e l’esigenza di una politica espansionistica e colonizzatrice,  aveva favorito il sorgere e l’affermarsi del concetto biologico e meccanico del «numero come forza» della prolificità come massima espressione della vitalità di un paese. Così dunque scrive Mussolini nella suddetta prefazione: «La dimostrazione che il regresso delle nascite attenta in un primo tempo alla potenza dei popoli e in successivi tempi li conduce alla morte, è inoppugnabile. Anche le varie fasi di questo processo di malattia e di morte, sono esattamente prospettate e hanno un nome che li riassume tutte: urbanesimo o metropolismo».

Il concetto della sterilità quale fenomeno tipico dell’urbanesimo, della Weltstadt, il «colosso di pietra» sede dell’uomo divenuto ormai un parassita, irreligioso, intelligente, infecondo, conclusione e destino inevitabile di ogni grande cultura era già stato analizzato da Spengler nel Tramonto dell’occidente. In questa fase l’atto della procreazione, originariamente un fenomeno essenzialmente naturale, decade e muore nel momento in cui l’intelligenza gli pone problemi e fini. La polemica contro «l’erotismo senza conseguenze, contro il culto della maschietta, che educa il corpo della donna non per la maternità, ma per gli esercizi sportivi» assume nella prefazione al libro del Korherr un tono più specificatamente politico; infatti nonostante la fede pangermanista che informa le sue parole, è abbastanza palese la sfiducia negli uomini e nei partiti che guidano la Germania di allora. Di contro leggiamo parole di encomio ed ammirazione per la figura di Mussolini, l’unico che in Europa ha capito la grande portata di questo fatto, cioè che «la salute diun corpo vivo si estrinseca con la fecondità. La prolificità è una forza politica… La prolificità del popolo italiano è la sua unica arma; quest’arma però è tanto forte che con l’andar del tempo non permetterà agli altri di difendersi contro di essa». Scritta a caratteri cubitali, quest’ultima frase viene messa nell’edizione italiana in grande evidenza.

E’ interessante notare quale ruolo gioco nella politica di avvicinamento di Roma a Berlino questa visione biologistica del pensiero politico. Mussolini, infatti, seguiva con grande attenzione la politica demografica del nazionalsocialismo e laddove, ancora negli anni in cui appariva questo libro, la bassa natalità del popolo tedesco viene vista come presagio della sua morte biologica, l’aumento demografico verificatosi tra il 1933 e il 1935 lo riempiono d’entusiasmo per questa Germania «vitale e dal bell’avvenire» e «contemporaneamente il giudizio sulla presunta inarrestabile decadenza biologica delle democrazie occidentali offriva l’opportunità di spiegare la politica di pace della Francia e dell’Inghilterra sulla base della debilitazione del logoramento della sostanza popolare».

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di Oswald Spengler

prefazione a “Regresso della nascite: morte dei popoli” di Richard Korherr

Questo studio, pieno di constatazioni molto chiare, inconfutabili e impressionanti, non ha bisogno di una prefazione. Lo studio parla da sé. Molti dei particolari in esso contenuti sono noti da lungo tempo e sono stari anche valutati; però, a quanto io mi sappia, non è stato ancora tentato un quadro di insieme di queste verità. Prego che mi sia concesso di dire ancora alcune parole unicamente con riguardo all’avvenire della Germania.

Kalenberger Bauernfamilie (Adolf Wissel, 1939)

Chi non abbia compreso ancora come tutti i nostri grandi problemi del dopoguerra, la crisi dell’agricoltura congiunta al sempre crescente urbanesimo, la miseria delle abitazioni, la politica tributaria, il problema coloniale, la questione dei confini orientali, quella delle riparazioni ecc., siano connessi ad un problema decisivo, quello della salute interna della massa del popolo tedesco (salute di un popolo significa in questo caso fecondità), non conosce la storia, né il destino dei grandi popoli; costui dovrebbe perciò non parlare di cose politiche.

Il popolo tedesco è il meno logoro fra quelli della razza bianca. Questo è il fatto fondamentale, su cui si basano tutte le situazioni politiche e le possibilità del futuro. Il popolo tedesco non ha come la Spagna, l’Olanda e l’Inghilterra, versato per secoli il suo sangue migliore in un impero coloniale d’oltremare; esso non ha consumato nei secoli XVIII e XIX le sue famiglie migliori in grandi rivoluzioni politiche. Nel 1914 il popolo tedesco superava tutti gli altri in quello che può dirsi la salute di una razza.

Nella guerra mondiale tutti i popoli hanno perduto tanto del loro sangue migliore, che quel vantaggio del popolo tedesco si è mantenuto. Il mondo lo sa e questa è in gran parte la causa dell’odio e della sfiducia che ancora si nutrono verso di noi. La nostra politica ha l’unico compito di conservare questo vantaggio. Tutti i problemi politici del momento non sono altro che conseguenze di questo.

La salute di un corpo vivo si estrinseca con la fecondità. La prolificità è una forza politica. Questo principio vale tanto per una famiglia di contadini, quanto per un grande popolo. La grande portata di questo fatto è stato compresa in Europa, finora, solamente da Mussolini, il quale lo ha proclamato, a favore del suo paese, che non possiede né carbone né capitali e che, a causa della sua situazione geografica, non può figurare quale grande Potenza effettiva, fino a tanto che altre grandi Potenze dominano i mari. La prolificità del popolo italiano è la sua unica arma; quest’arma però è tanto forte che coll’andar dei tempo non permetterà agli altri di difendersi contro di essa.

La Germania invece è guidata da partiti, ovvero sia da schiere di politicanti di professione, che cercano di sfruttare, per lo meno a scopi materiali, la più vile e la più insensata di tutte le rivoluzioni.

Perciò l’agricoltura non rende e i contadini affluiscono sempre più numerosi nelle città, perché le masse elettorali delle città pretendono di avere il pane a buon mercato, poco curandosi se questo pane provenga dall’America oppure sia prodotto dal suolo nazionale. Perciò la Germania è l’unico paese in cui dura ancora quella miseria delle abitazioni che appesta la vita delle famiglie e converte gli inquilini in elettori di tendenze radicali, perché i loro animi sono malcontenti. La lotta per abolire il paragrafo sull’aborto; una schiera di letterati che nei romanzi, nei drammi e nel cinematografo coltivano l’erotismo senza conseguenze; «il culto della maschietta», che educa il corpo della donna non per la maternità, ma per gli esercizi sportivi: tutto questo è un preludio del grido «panem et circenses» che echeggiò ai tempi della civiltà di Roma.

Eppure tutto questo, nella Germania, non ha ancora una base fisica e può per conseguenza essere superato, meglio che nell’America, nell’Inghilterra e nella Francia dove le cose vanno peggio. Qui si tratta della Germania, solamente della Germania, che deve adempiere la sua missione storica, basata sul fatto di essere maturata l’ultima fra i popoli bianchi e di essersi ridestata appena oggi.

Questo però non è un problema della politica, nel senso in cui questa parola viene interpretata oggi da noi, ma dei grandi uomini politici di cui noi purtroppo abbiamo quasi perduto il ricordo. Questi compiti non potranno essere superati dalle chiacchiere parlamentari e dalla politica di partito, ma solamente da persone eminenti, che sappiano imporre i loro fini.



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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