Lo Stato organico

Secondo articolo di Julius Evola in materia di concezione dello Stato, facente parte del gruppo di articoli sul tema pubblicati dal Barone sul finire degli Anni Cinquanta, dopo i ricchi approfondimenti degli Anni Trenta e gli articoli di stimolo politico del primo dopoguerra. Dopo i ragguagli sullo Stato di Platone, sempre sul Popolo Italiano di Pino Romualdi Evola fece uscire nel dicembre 1957 uno scritto sullo Stato organico, prendendo spunto dalla pubblicazione di un’opera di Walter Heinrich, docente all’università di Vienna, uno degli allievi e membri della cd. “cerchia di Spann” (Spann Kreis). Il riferimento è ovviamente al celebre Othmar Spann, “il filosofo dello Stato organico”, come lo definisce Evola stesso, sulla cui concezione ci siamo soffermati alcuni anni fa, con alcuni approfondimenti cui rinviamo: Individualismo e organicismo, il pensiero di Othmar Spann, in due parti (a cura di Azione Tradizionale); due interviste inedite di Evola allo stesso Spann per il “Regime Fascista” di Farinacci: “Stato fascista, impero e idea organica” (1933) e “Solidarietà europea e Società delle Nazioni” (1936); un’intervista molto interessante al professor Giovanni Franchi su “Othmar Spann e la nuova scienza dello Stato”, in due parti; la recensione alla conferenza tenuta dallo stesso prof. Franchi il 21 maggio 2016 presso la Libreria Raido di Roma (ora Libreria Cinabro) intitolata “Il Vero Stato (der Wahre Staat). Othmar Spann e l’idea dello Stato organico”.

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di Julius Evola

Tratto da  “Il Popolo d’Italia”, 12 dicembre 1957

Di recente è uscita a Salisburgo un’opera che s’intitola Economia e personalità. Ne è l’autore Walter Heinrich, studioso austriaco noto per varie pubblicazioni non solo di sociologia ma anche di filosofia e di scienza dello spirito (fra l’altro, a suo tempo egli scrisse una delle più acute analisi del fascismo). L’opera accennata è interessante per essere, anche, l’espressione di una corrente di pensiero politico in un gruppo che si rifà essenzialmente alle dottrine di Othmar Spann, filosofo dello «Stato organico» e deciso avversario di ogni forma di marxismo e di individualismo. Per le dirette connessioni che un tal ordine di idee ha con le eventuali posizioni di una nuova Destra politica, qui faremo una breve disanima del libro dell’Heinrich, limitandoci però alla sua parte politica.

Othmar Spann

La dottrina dello Stato organico è anzitutto importante per la chiarificazione che porta nei riguardi del «totalitarismo», formula, che diversi nostri ambienti tuttora considerano con simpatia, senza le discriminazioni necessarie a che essa non faccia il giuoco degli avversari. Specie come l’ha messa a punto l’Heinrich alla luce delle più recenti esperienze economiche e politico-sociali, la dottrina dello Stato organico, pur essendo assolutamente di Destra e di orientamento tradizionale, è avversa al totalitarismo. Questa opposizione viene giustificata con considerazioni sia morfologiche che storiche.

Come per Spann, per l’Heinrich all’origine di tutta la crisi del mondo moderno sta l’individualismo. le istituzioni del mondo tradizionale erano caratterizzate dal legami organici che del singolo facevano il membro di corpi, unità, comunità particolari anche professionali ricomprese in una più vasta unità nella quale tuttavia conservavano un largo margine di autonomia e di vita propria, secondo una differenziazione in forma di una naturale gerarchia che tutelava i valori della personalità e della qualità.

L’individualismo, attraverso il mito di una falsa libertà, il giusnaturalismo e i principii della Rivoluzione francese ha distrutto quei legami, e dell’uomo ha fatto una unità materializzata priva di radici. Così dovevano sorgere nuovi sistemi politico-sociali nei quali fra il vertice dello Stato e il singolo non esistono più dei corpi intermedi: si vede chiaramente, che da qui prende anche inizio il mondo informe delle masse e che, attraverso sviluppi fatali, l’individualismo si capovolge nel suo opposto, nel collettivismo. Come per lo Spann, così anche per l’Heinrich individualismo e collettivismo stanno perciò sullo stesso piano, si manifestano entrambi come forme di dissoluzione delle unità organiche, l’uno, in un certo modo, continuando l’altro. È come se l’individualismo avesse ridotto ciò che prima aveva una forma in una labile sabbia composta da atomi staccati, la quale è solo suscettibile di un tipo collettivistico, livellatore e coercitivo di aggregazione.

In genere, ciò riguarda quei sistemi che non vedono altro modo per frenare le forze centrifughe e per contenere la molteplicità degli «individui uguali, liberi e coscienti» fuor dalla supercentralizzazione, dai controlli, dall’ingerenza diretta, continua e meccanica dello Stato in ogni dominio della vita pubblica, e, in parte, perfino di quella privata. Noi potremmo osservare che, a tale riguardo, si tratta di una necessità, anche perché il carattere complesso e caotico della civiltà moderna, la molteplicità, la congestione, il disordine e il centrifugalismo delle sue forze lasciano ben scarse possibilità ad un ordinamento complessivo che poggi su basi più naturali. Ma si deve anche riconoscere che, questo, più che un vero ordine, è un disordine provvisoriamente contenuto con mezzi esterni, perché la crisi e l’interna dissoluzione continuano a valere come presupposti, anzi tavola risultano perfino accentuate attraverso tutto ciò che il centralismo ha livellato di antiqualitativo.

Ora, la tesi dell’Heinrich è che un vero superamento del collettivismo e del totalitarismo non può avvenire attraverso un nuovo individualismo e liberalismo in un mondo democratizzato. Esso può solo effettuarsi attraverso qualcosa di nuovo, che rappresenti una effettiva antitesi rispetto sia a individualismo che a collettivismo, quindi una terza via di fronte a questi due fratelli della discordia. Questo terzo termine sarebbe appunto l’ideale dello Stato organico, di uno Stato e di una società organicamente strutturati.

Ciò implica anzitutto un principio di decentralizzazione. Si tratta di concepire un «organismo fatto di organismi», ossia una unità che sia quella sopraelevata ordinatrice e regolatrice di tante unità parziali – sociali, culturali, economiche – aventi, come nel mondo tradizionale (e tipicamente nel medioevo), un largo margine di vita propria, tali da riprendere l’individuo secondo nuovi legami qualitativi ed essenziale, facendolo cessare di essere una semplice unità numerica nel mondo delle masse, della quantità e della democrazia o una rotella sostituibile nel meccanismo centralistico totalitario, reinserendolo in un sistema gerarchico retto dalla legge della «disuguaglianza organico-funzionale».

Il principio di autorità deve essere naturalmente affermato; l’idea dello Stato non va negata, ma anzi rafforzata attraverso un nuovo ethos politico. Solo che, per l’Heinrich, lo Stato deve essere l’omnia potens e non l’omnia facens, deve essere una superiore autorità e un supremo potere, non un ente che interviene e preme dappertutto, burocratizzando e sostituendosi a ciò che può e deve realizzarsi in un sistema differenziato e decentralizzato. Pur riservandosi una suprema funzione decretistica e regolatrice, esso deve dislocare e propiziare competenze e responsabilità in corpi e unirà parziali aventi un proprio volto e una propria autonomia di iniziativa e di esecuzione. Con ciò ci si avvierebbe di nuovo verso un ordine naturale e personalizzato, superando tutte quelle formazioni collettivizzate e estrinseche del mondo moderno (quelle classistiche e partitiche comprese) che per premessa hanno pur sempre la crisi in esso prodotta dall’individualismo.

Se un simile ordine di idee appare accettabile, non bisogna purtroppo farsi illusioni circa le possibilità di una sua effettiva realizzazione. Un sistema organico decentralizzato richiede che al sommo esista, e sia naturalmente riconosciuto, un superiore principio di autorità, quasi come centro spirituale di gravitazione per movimento ordinato delle singole parti e forze; come controparte, esso richiede un senso di lealismo, e di responsabilità, un riguardo per l’interesse del tutto nelle unità parziali, perché solo allora si manterrà quella gravitazione ordinata, fuori da ogni pressione e da ogni misura centralistica coercitiva. Altrimenti la decentralizzazione e le autonomie parziali condurranno solo alla disgregazione. Ma come sperare che al giorno d’oggi queste due condizioni siano realizzate? Dove esiste, oggi – specie da noi – quel superiore, trascendente principio di autorità, che lo Stato dovrebbe incarnare al suo vertice? Dove esiste, nei singoli e nei gruppi, il senso spontaneo della responsabilità e della disciplina – perché si vede, invece, che ognuno – uomini e «categorie» – mira solo al proprio utile e al proprio interesse? E in generale, storicamente, l’individualismo non è forse nato proprio nel punto in cui è venuta meno l’una e l’altra cosa: da un lato, una vera autorità dall’alto, dall’altro, ogni superiore capacitò di riconoscimento e di responsabilità nel singolo? Proprio questo deprecabile stato di fatto spiega, se non giustifica, certi aspetti del totalitarismo. Così, praticamente, la più alta idea di uno Stato organico potrà fiorire soltanto sul terreno creato da un fondamentale cambiamento del clima spirituale dell’attuale civiltà, cambiamento a tutt’oggi affatto problematico.



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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