Sul carattere della conoscenza iniziatica

«È l’ora propizia per le imprese equivoche di ogni falso misticismo, che mescolano curiosamente le confusioni spiritualistiche con la sensualità materialista. Le forze spirituali sono in invadenza dappertutto. Non si può dire più che il mondo moderno manchi di sovrannaturale. Se ne vede apparire d’ogni specie e varietà. E il gran male di oggi non è più il materialismo, lo scientismo, ma è una spiritualità scatenata. Ma il sovrannaturale vero non ne risulta riconosciuto in maggior misura. Il “mistero” avvolge tutto, s’installa nelle regioni buie dell’Io, che esso devasta, al centro della ragione, che esso scaccia dal suo dominio. Si è pronti a riintrodurlo dappertutto, eccetto che nell’ordine divino, ove esso risiede realmente».

Con questa citazione tratta da Défense de l’Occident del cattolico Henry Massis, del 1927, Julius Evola, orientando in modo diretto ed inequivoco il lettore, apriva in modo assai significativo il primo capitolo della sua celebre opera Maschera e Volto dello Spiritualismo Moderno, che, uscita in prima edizione nel 1932, raccogliendo saggi precedentemente usciti, sarebbe stata oggetto di riedizioni ed ampliamenti nel 1949 e nel 1971 (prima dell’ulteriore edizione successiva alla scomparsa del barone, nel 2008). Evola riprendeva idealmente tali parole per svilupparle, individuando e smascherando in prima battuta quei rigogliosi gruppi e sétte, dedite, secondo quanto esse stesse rivendicavano, al “sovrannaturale”, ma che, in realtà, si consacravano ad una contraffazione, ad una versione parodistica ed invertita di esso. Così, infatti, proseguiva Evola: «Dottrine esotiche d’ogni genere vengono importate e più esse presentano i caratteri della stranezza e del mistero, più esercitano un fascino. Si può ben dire che ogni intruglio trova un posto nel recipiente “spiritualismo” – adattamenti dello Yoga, varietà mistica spuria, “occultismo” ai margini delle logge massoniche, neo-rosicrucianesimo, regressioni naturalistiche e primitivistiche a fondo panteista, neo-gnosticismo e divagazioni astrologiche, parapsicologia, medianità e simili – a tacer poi di ciò che è mistificazione pura. In genere, basta che qualcosa si scosti dall’ordine di ciò che è convenuto di chiamare normale, basta che esso presenti i caratteri dell’eccezionale, dell’occulto, del mistico e dell’irrazionale perché una notevole quantità di nostri contemporanei ad esso si interessi con una facilità di tanto maggiore. Per ultima, anche la “scienza” ci si è messa: in certe sue diramazioni come psicanalisi e “psicologia del profondo” essa spesso è finita in promiscue evocazioni nelle regioni di frontiera dell’Io e della personalità cosciente. Si è visto inoltre questo paradosso: proprio alcuni rappresentanti di queste discipline “positive” che, per poter giustificare sé stesse, si dettero ad una sistematica denegazione di ogni visione del mondo contenente elementi sovrasensibili, proprio costoro, in un settore a parte, oggi indulgono non di rado a forme primitive di neo-spiritualismo. Ed allora la reputazione che la loro serietà si è acquistata nei domini di loro competenza viene addotta abusivamente come avvallo per il valore di dette forme e si trasforma in un pericoloso strumento di seduzione e di propaganda (…). È così che ampi settori del mondo occidentale stanno esalando un caos spirituale che lo fa rassomigliare stranamente al mondo asiatizzato della decadenza ellenistica. Né vi mancano i Messia, in varia edizione e vario formato».

Parole che risuonano straordinariamente profetiche ed attuali, a distanza di così tanti anni, ed alla luce di tutti gli sviluppi che le correnti neospiritualistiche contro-tradizionali hanno assunto e continuano ad assumere camaleonticamente nel tempo, per incanalare nella direzione sbagliata quel bisogno di spiritualità, o comunque di “altro”, rispetto alla mera, greve materialità, che nell’essere umano non può essere totalmente cancellato.

Pochi anni prima della prima edizione di “Maschera”, era nato il famoso «Gruppo di Ur» (i cui singoli membri avevano già avvertito questa pericolosa deriva precipuamente neo-spiritualistica), nel tentativo di colmare l’esigenza della trattazione delle discipline esoteriche ed iniziatiche con serietà e rigore, con riferimenti a fonti autentiche e con uno spirito critico, ponendo, al contempo, particolare accento sul lato pratico e sperimentale. Questa iniziativa si sarebbe concretizzata ed avrebbe preso una certa corposità con la raccolta dei fascicoli pubblicati sotto il titolo di «Ur» dal 1927 al 1928, e di «Krur» nel 1929, nei tre volumi raccolti sotto il titolo di Introduzione alla Magia quale Scienza dell’Io, uscito nel 1971. Inevitabilmente, il lavoro avviato e sviluppato dal Gruppo di Ur avrebbe indirizzato Evola nella pubblicazione di “Maschera”. Ed il periodo, a cavallo tra la fine degli Anni Venti e l’inizio degli Anni Trenta del secolo scorso, fu particolarmente delicato, per la definitiva maturazione del barone in termini correttamente Tradizionali: come abbiamo avuto modo di approfondire tempo fa, l’Evola spigoloso ed ancora non completamente ortodosso dal punto di vista Tradizionale, ancora pesantemente influenzato dall’approccio idealistico delle origini e da propaggini nietzschiane, fortemente critico verso René Guénon, proprio grazie al metafisico di Blois avrebbe corretto e rettificato le sue posizioni più problematiche.

Vogliamo oggi proporvi il primo di tre articoli di Introduzione alla Magia, da noi selezionati, scritti dal giovane Julius Evola sotto lo pseudonimo di EA, con il suo tipico incedere di quegli anni giovanili, ove, fra le righe, i lettori più attenti potranno notare i tratti della mutazione quasi “genetica”, come la definì Evola stesso, della Teoria dell’Individuo Assoluto in senso Tradizionale, con abbandono di ogni deriva sia immanentistica che “culturale”, in cui l’esperienza assumeva un carattere più definito in senso trascendentale rispetto a quanto potesse avere in seno a quell’idealismo magico o “reale” elaborato dall’Evola ancora “filosofo”, che costituiva una sorta di ibrido tra approccio filosofico e approdo metafisico.  Il tutto, con l’obiettivo di dipanare le nubi dell’ignoranza in materia di conoscenza iniziatica e magia, quando non dovuta ad influssi di natura ben più grave, che aleggiano sulla più alta realizzazione e possibilità dell’Essere.

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di Julius Evola (alias EA)

Tratto da “Introduzione alla Magia quale scienza dell’Io” (volume I, pp. 33-41)

Chi si avvicina alle nostre discipline deve, prima d’ogni altra cosa, rendersi conto di questo punto fondamentale: che il problema della conoscenza e il significato stesso di essa vi si presentano in modo affatto diverso che non nei vari domini della corrente cultura.

Dal punto di vista iniziatico conoscere non significa «pensare», ma essere l’oggetto conosciuto. Una cosa non la si conosce realmente finché non la si realizza, il che vale quanto dire: finché la coscienza non possa trasformarvisi.

In questi termini conoscenza fa tutt’uno con esperienza e il metodo iniziatico è un metodo sperimentale puro. Come certezza in genere, qui si assume per tipo quella che si lega a quanto mi risulta per esperienza diretta e individuale. Nella vita ordinaria ha un tale carattere ogni sensazione, emozione o diretta percezione (un dolore, un desiderio, un colore, una luce). Qui parlare di «vero» o di «falso» non ha senso, la cosa è la conoscenza stessa della cosa secondo un È assoluto, un È vissuto che non attende il riconoscimento intellettuale. Non vi sono gradi o approssimazioni o probabilismi in un sapere del genere: o lo si ha, o non lo si ha.

Tuttavia per l’uomo comune una conoscenza siffatta si restringe all’ordine sensibile, il quale ha un carattere finito, contingente ed accidentale. Quel che ordinariamente egli oggi intende per sapere è qualcosa di diverso: è un sistema di concetti, di relazioni e di ipotesi che non ha più carattere di esperienza ma un carattere astratto. Quanto al dato immediato dell’esperienza, ossia quel che risulta direttamente alla propria coscienza, si inclina a concepirlo come semplice «fenomeno» e dietro ad esso si va a porre o a supporre qualcosa, a cui si attribuiscono i caratteri della realtà vera e oggettiva – per la scienza sarà la «materia» o il vario giuoco delle vibrazioni dell’etere, per i filosofi sarà la «cosa in sé» o qualche altra delle loro idee, per la religione sarà l’una o l’altra ipostasi divina. In genere, la situazione è questa: si organizza un sapere – che è il sapere profano – il quale non va oltre l’esperienza puramente sensibile e non ha un certo grado di oggettività se non a patto di trascendere anche tutto quel che ha valore di evidenza individuale e vivente, di visione, di significato realizzato della coscienza. Sembra dunque affermarsi una antitesi, nel senso che ciò che è esperienza pura, per aver carattere finito e fenomenico, non è un «sapere» e quel che si considera come un «sapere», in quanto tale, non è esperienza.

Ebbene, la via iniziatica va oltre questa antitesi, indica una direzione essenzialmente diversa, lungo la quale mai si abbandona il criterio dell’esperienza diretta. Se per l’uomo comune questa esperienza e l’esperienza sensibile sono tutt’uno, l’insegnamento iniziatico sostiene la possibilità di più forme di esperienza, delle quali la prima non è che una particolare. Tali forme corrispondono ciascuna ad un dato modo di percepire la realtà, sono suscettibili a trapassare le une nelle altre e a gerarchizzarsi in modi di percezione aventi un sempre più alto grado di assolutezza. Secondo siffatte prospettive non esiste dunque un mondo di «fenomeni» e un «assoluto» dietro di essi: «fenomenico» è semplicemente ciò che contrassegna un dato grado dell’esperienza e un dato stato dell’Io, e «assoluto» è ciò che è correlativo ad un altro grado dell’esperienza e ad un altro stato dell’Io, a cui il primo può dar luogo per congrua trasformazione. Quanto alla misura dell’assolutezza, la si può indicare approssimativamente così: essa è data dal grado di identificazione attiva, cioè dal grado secondo cui l’Io è implicato ed unificato nella sua esperienza, e secondo cui l’oggetto di essa gli è trasparente nei termini di un significato. E in corrispondenza a tali gradi la gerarchia procede di «segno» in «segno», di «nome» in «nome» sino a raggiungere uno stato di perfetta visione intellettuale superrazionale, di piena attuazione o realizzazione dell’oggetto nell’Io e dell’Io nell’oggetto, che è uno stato di assoluta evidenza rispetto al conosciuto: stato, raggiunto il quale ogni raziocinare e speculare appare superfluo ed ogni discutere privo di senso. Così è noto il detto, che negli antichi Misteri non si andava per «apprendere», bensì per raggiungere, attraverso una impressione profonda, un’esperienza sacra (1).

La soglia (iniziatica) resta inaccessibile per chi non ha le chiavi e la possibilità di camminare” (emblema n. 27 dell’”Atalanta fugiens” di Michael Maier, 1566-1622)

Come conseguenza di ciò, l’insegnamento iniziatico considera come un fattore più negativo che non positivo la tendenza della mente a divagare nell’interpretazione e nella soluzione di questo o quel problema filosofico, a metter su teorie, ad interessarsi all’una o all’altra delle vedute della scienza profana. Tutto ciò è vano e non conduce a nulla. Il problema reale ha carattere unicamente pratico, operativo. Quali sono i mezzi per ottenere la trasformazione e l’integrazione della mia esperienza? Ecco quel che ci si deve chiedere. Ed è per questo che l’iniziazione in Occidente è stata associata meno al concetto di un procedimento conoscitivo che non a quello di un’Arte (l‘Ars Regia), di un’Opera (la «Grande Opera», l’opus magicum), di una simbolica costruzione (la costruzione del «Tempio»), mentre in Estremo Oriente la nozione dell’Assoluto e quella di una via si confondono in un sol termine, Tao.

Appare dunque evidente che quello «spiritualismo» più o meno teosofico che oggi riempie la testa dei suoi aderenti con ogni specie di speculazioni e di fantasticherie in sede di cosmologia, di mondi ed enti sovrasensibili e così via, a parte il resto, può riuscire solo a fomentare un atteggiamento sbagliato già in partenza. Iniziaticamente sana è solo l’attitudine sperimentale, pratica, di una mente frenata e di un silenzioso, segreto agire, nel segno dell’aureo detto ermetico: Post laborem scientia. Anzi noi non temiamo di affermare che non altrimenti stanno le cose nei riguardi di tutto ciò per cui l’uomo «colto» di oggi si presume una superiorità e si arroga il diritto di dire la sua. La cultura nel senso profano moderno non costituisce né un presupposto necessario, né una condizione privilegiata per la realizzazione spirituale. Al contrario. Una persona restata fuor dai trivi della cultura, dello scientismo e dell’intellettualismo, ma dall’animo aperto, equilibrata, coraggiosa, è, per la conoscenza superiore, più qualificata che non un qualsiasi accademico, professore, scrittore o «spirito critico» dei nostri giorni. Così coloro che sono davvero qualcosa nell’ordine iniziatico sono riconoscibili pel fatto del loro essere estremamente restii dal teorizzare e dal discutere. Dato che essi scorgano in voi una aspirazione sincera, essi vi diranno soltanto: Ecco il problema ed ecco i mezzi: andate avanti.

Un’altra conseguenza del concetto iniziatico di conoscenza è il principio della differenziazione, anch’esso in netto contrasto con le idee che informano il sapere profano moderno. Di fatto, tutta la «cultura» moderna (con la scienza in prima linea) è dominata da una tendenza democratica, livellatrice, uniformistica. Vale, per essa, come «acquisizione» ciò che, in via di principio, è alla portata di tutti; così una verità, per essa, è tale solo quando tutti possono riconoscerla pur che abbiano un certo grado di istruzione o, al massimo, si prendano la pena di fare certi studi, che però li lasciano perfettamente come sono quali uomini. Cosi possono andare le cose finché si tratti di qualcosa di concettuale e di astratto, da far entrare nella testa come una cosa in un sacco. Ma quando si tratta di esperienza, non solo, ma di esperienza condizionata da una essenziale trasformazione della sostanza della coscienza, debbono sorgere dei limiti precisi.

Le conoscenze che si raggiungono per tal via non possono essere alla portata di tutti, né a tutti possono esser trasmesse se non degradandole e profanandole. Sono conoscenze differenziate, e la loro differenziazione corrisponde a quella stessa che l’iniziazione, nei suoi vari gradi, determina nella natura umana. Esse perciò non possono esser veramente intese, cioè «realizzate», se non da coloro che si trovano ad uno stesso livello, ossia che abbiano un ugual grado in una gerarchia presentante un carattere rigorosamente oggettivo e ontologico. Cosi, anche a prescindere da quelle esposizioni occultiste o teosofìste, che sono semplici divagazioni o fantasie, negli stessi riguardi del sapere iniziatico ed esoterico effettivo si conferma l’inutilità di una comunicazione e diffusione di carattere soltanto teoretico. Ridurre una conoscenza iniziatica ad una «teoria» è il peggio che si possa fare. Qui, se mai, è l’allusione, il simbolo, che può servire: come a provocare dei lampeggiamenti. Ma se, come conseguenza, non ne deriva l’inizio di un moto dall’interno, anche ciò ha un valore nullo. Il carattere stesso della conoscenza iniziatica impone dunque la differenziazione. Per coloro, per i quali l’esistenza ordinaria e l’esperienza sensibile rappresentano il principio e la fine di tutto è naturale che manchi ogni terreno comune per quanto concerne quel conoscere che, per sua essenza, è realizzazione. Tutto ciò dovrebbe esser visto con perfetta chiarezza, insieme alla sua naturale conseguenza: abbandonare la partita ovvero ammettere, per la verità e la conoscenza, misure diverse da quelle venute a predominare nella cultura e nel pensiero moderno. La via dell’iniziazione è quella che determina differenze sostanziali fra gli esseri e che contro il concetto ugualitario e uniformistico del conoscere riafferma il principio del suum cuique: ad ognuno il suo, ossia quel sapere, quella verità, quella libertà che sono proporzionate a ciò che egli è.

Una obiezione che vale considerare un momento è quella di chi , abituato a muoversi fra cose tangibili e idee «concrete», avanzasse che gli stati e le esperienze trascendenti, cui si è detto, ammesso anche che siano raggiungibili, rinchiusi come sono nella sfera «soggettiva», si esauriscono in un misticismo; che il criterio della conoscenza come esperienza e identificazione è più o meno quello di un semplice sentire e non produce alcuna luce di uno spiegare, di un comprendere, di un render ragione delle cose e, in fondo, di ciò stesso che avviene in noi. – In altri scritti si esaminerà più da presso questa quistione. Qui basterà metter in chiaro due punti.

Il primo è che, come già si è detto, quando si parla iniziaticamente di «identificazione» si tratta sempre di una identificazione attiva, non di un confondersi, perdersi o sprofondarsi; si tratta non di uno stato infraintellettuale ed emotivo, ma di uno stato di chiarezza superrazionale essenziale. In ciò sta la differenza fra la sfera mistica e la sfera iniziatica, differenza essenziale, anche se essa può non riuscire direttamente evidente a coloro i quali, quando non si tratti più né di cose né di concetti astratti, vedono una notte, in cui per loro tutte le vacche sono nere.

Il secondo punto riguarda il concetto stesso dello «spiegare», e qui il discorso, se si dovesse andare a fondo, condurrebbe lontano. Si dovrebbe cominciare col ritorcere l’obiezione, rilevando che nessuna delle discipline di carattere profano ha mai fornito né mai fornirà una qualsiasi spiegazione reale. Chi per «spiegare» intendesse ad esempio il mostrare l’inconcepibilità del contrario, è tenuto ad indicare dove, fuor dall’ambito astratto della matematica e della logica formale (ove la «necessità razionale», cioè appunto l’inconcepibilità del contrario, si riduce alla semplice coerenza rispetto a proposizioni preliminarmente convenute), egli riesca a «spiegare» davvero qualcosa. Noi intendiamo riferire alla realtà concreta – ma qui, dal punto di vista razionale, non vi è assolutamente nulla che sia perché il suo contrario sia inconcepibile a priori, nulla, rispetto a cui, a parte le varie pseudospiegazioni, non si possa sempre domandare: «Perché così e non altrimenti ?».

La scienza antica, tradizionale, cui si lega il sapere iniziatico, ha battuto una via essenzialmente diversa: quella della conoscenza degli effetti nelle loro cause reali, dei «fatti» nei poteri di cui sono le manifestazioni, cosa equivalente alla identificazione con le cause nei termini di uno stato «magico». Solo un tale stato può introdurre nella ragione assoluta di un fenomeno, solo esso «può spiegarlo» in senso eminente perché in esso quel fenomeno è colto, anzi è visto, nella sua genesi reale.

Da ciò procede però come conseguenza importante che sulla via iniziatica l’acquisizione della conoscenza corre parallela a quella della potenza, l’identificazione attiva ad una causa conferendo virtualmente un potere su questa stessa causa (2). I moderni credono che accada lo stesso con la loro scienza, perché attraverso la tecnica essa rende possibile le realizzazioni materiali di cui ognuno sa; ma essi si sbagliano di grosso, il potere dato dalla tecnica essendo così poco un potere vero quanto le spiegazioni delle scienze profane sono vere spiegazioni. La causa, nell’un caso e nell’altro, è la stessa: è il fatto di un uomo che resta uomo, che non muta in alcun grado sensibile ciò che egli effettivamente è. Ecco perché le possibilità date dalla tecnica hanno un carattere altrettanto «democratico» e, in fondo, immorale quanto le corrispondenti conoscenze: la differenza degli individui, per esse, non significa nulla. È un potere fatto di automatismi, un potere che appartiene a tutti e a nessuno, che non è valore, che non è giustizia, che può far più potente uno senza che, nel contempo, lo faccia comunque superiore.

Senonché ciò è possibile solo perché nel mondo della tecnica, di un atto vero, vale a dire di un’azione che parta direttamente dall’Io e si affermi nell’ordine delle cause reali, non si parla, né si può parlare. Assolutamente meccanicistico e inorganico, cioè privo di relazioni con l’essenza dell’Io, il mondo della tecnica rappresenta anzi l’antitesi di quanto può aver carattere di potere vero, creato da superiorità, segno di superiorità, incomunicabile, inalienabile, spirituale. E si deve riconoscere che l’uomo col suo sapere di fenomeni e in mezzo alle innumerevoli diaboliche sue macchine oggi è miserabile e sbandato quanto mai, è spiritualmente un barbaro assai più di coloro che egli presunse di poter bollare con un tale nome, è sempre più condizionato anziché condizionante e quindi esposto a reazioni in un giuoco di forze irrazionali che rende effimero il miraggio della sua potenza esclusivamente materiale e su cose materiali. Egli si trova lontano dalla via della realizzazione di sé quanto mai lo fu l’uomo di una qualsiasi altra civiltà: perché un surrogato, da dirsi diabolico, del conoscere e del potere tengono in lui il posto del conoscere e del potere vero.

Il quale, ripetiamolo, nell’ordine iniziatico è giustizia, è sanzione di una dignità, promanazione naturale e inalienabile di una vita integrata, secondo i gradi ben definiti di una tale integrazione. Come il sapere conseguito di là dall’incertezza e dall’ambiguità dei fenomeni sensibili, in quest’ordine non si riferisce a formule o ad astratti principi esplicativi, ma ad enti reali colti per immediata percezione spirituale, del pari l’ideale del potere qui è quello di un’azione effettuantesi non sotto i determinismi naturali ma al disopra di essi, non fra fenomeni ma fra cause di fenomeni con l’irresistibilità e il diritto proprio a chi è superiore: superiore, per essersi effettivamente disciolto dalla condizione umana e per aver conseguito il risveglio iniziatico.

Note dell’autore

(1) SINESIO, Dion., 48.

(2) Una volta compreso che conoscenza significa, iniziaticamente, identificazione e realizzazione, non stupirà più il fatto che in alcuni testi tradizionali, dopo aver spiegato modi o nomi di divinità, si aggiunge che chi li «conosce» acquisisce l’uno o l’altro potere; come non stupirà il sentire spesso parlare di un «segreto» che – «conosciuto» o «trasmesso» darebbe la chiave della forza. Soltanto dei sempliciotti potranno credere che qui si tratti di una qualche formula che si possa comunicare a voce o per iscritto, se non pure per fonogramma.



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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