di Julius Evola
segue dalla prima parte
III. Un sociologo contemporaneo, Heinz Marr [4], ha forgiato i due termini di Bund e bundisch per designare la struttura di tali correnti. Il Bund, nella accezione del Marr, è l’unità propria a delle «minoranze eroiche», è l’unità affettiva e, a un tempo, elettiva, creata da singoli i quali hanno perduto le precedenti forme, o naturali o tradizionali, di organizzazione sociale, ma pure riescono a trascendere la chiusura individualistica e il loro stesso istinto di conservazione, rendendosi capaci di slancio, di coraggio cieco, di incondizionata devozione di fronte a un Capo. Questo tipo nuovo di unità ha vari gradi: da un dato gruppo, può passare ad applicarsi ad un intero partito e, dal partito, per totalizzazione («partito integrale»), può tendere a dar forma all’intero modo d’essere di una nazione. È cosi che sorge un nuovo tipo di Stato – che è propriamente quello corrispondente alle nostre vocazioni politiche.
Ora, il Marr tocca un punto fondamentale quando dice: «Se ogni Bund è una rivolta dell’irratio contro la ratio, non ogni irratio è anche religio». Ossia: anche giunti a questo punto si impone il problema di una legittimazione in senso superiore, nel senso, quasi, di un charisma. E questo è il problema fondamentale di chi affronti il problema dei presupposti spirituali della nuova scienza dello Stato.
Non bisogna illudersi: le vicende di una epoca quanto mai tragica e tempestosa hanno mobilitato, nei singoli, una forza che non è più quella del semplice homo politicus dell’epoca precedente, e ancor meno dell’homo oeconomicus o dell’homo iuridicus. Questa forza – la forza, che fa da cemento al Bund – ha invece, assai più, il carattere di una fede, dunque un carattere metapolitico, «religioso». Come è difficile contestare che in tanti aspetti dei movimenti rivoluzionari attivistici troviamo, trasposti nel secolare, proprio dei fac-simili di quei riti di partecipazione collettiva. che erano propri alle religioni, così è facile vedere, che son poche le idee politiche affermatesi nell’avanzata oltre il fronte sconquassato della democrazia illuminista, che non siano circondate da una specie di alone mistico, attraverso il quale esercitano prevalentemente la loro azione. Una grave responsabilità incombe dunque a coloro che debbono guidare queste forze, se si deve evitare che, ad un certo momento, si verifichi, dopo la alta tensione, la crisi, nella forma o di un collasso, o di una specie di corto circuito. Poiché sulla base di «miti» e di «idee-forza», cioè di idee che valgono solo in quanto «agiscono», non si può andare avanti indefinitamente. mentre la natura stessa delle forze messe in moto esclude che si possa riproporre una «legittimazione» nei termini di un materialismo, sia pur esso collettivistico e nazionale, invece che individuale.
È il momento di rifarci al punto, dal quale in apparenza ci siamo dilontanati, cioè alla determinazione del vero contenuto della nozione di «organismo». Considerazioni analogiche fra le più banali sono quelle che possono fornirci il più sicuro filo conduttore. Parlar genericamente di «organizzazione» non basta, per parlar chiaro: per parlar chiaro occorre dire a quale tipo di organizzazione ci si riferisce. La scala del mondo organico va dalle forme degli invertebrati fino a quelle della specie umana e, in essa, fino all’uomo quale «persona», cioè alla personalità. A tutte queste forme è comune un tipo di coesione vitale fra parte e parte, opposta alla semplice «composizione» determinata, nel mondo inorganico, dalle leggi fisiche e chimiche.

Gerarchia e armonia delle parti nel tutto: nell’uomo come nello Stato.
Proprio il mondo inorganico può dirsi il modello ideale delle varie concezioni positiviste, economicistiche e razionalistiche della società, e l’Autore dello scritto sopra citato [Carlo Costamagna, n.d.R.] ha avuto perfettamente ragione nello stabilire un rapporto fra tali concezioni e le vedute meccanicistiche in auge nello scientismo del secolo scorso. Una volta posta l’antitesi generica contro tutto ciò che è meccanico e inorganico, si tratta dunque di definire quella, fra le varie forme di organismo, che deve servir da modello analogico per la nuova dottrina dello Stato. A noi sembra alquanto ovvio, nel riguardo, che questo tipo di organizzazione, poiché mira ad una unità che dovrà avere per elementi gli uomini, dovrà più o meno riprodurre quegli stessi rapporti gerarchici, che definiscono la stessa entità umana, che non sono indeterminati e generici, ma precisi, palesandosi nella distinzione e simultanea coordinazione di quattro potenze: la potenza della vitalità pura, la potenza dell’economia organica generale (vita vegetativa, sistema del gran simpatico), la potenza della volontà, la potenza dello spirito. Nessuno vorrà seriamente contestare che, per un uomo degno di questo nome, la condizione normale sia quella di una vita dimostrante la subordinazione gerarchica di queste quattro potenze nell’ordine stessa secondo il quale le abbiamo nominate. E nemmeno dovrebbe esser difficile accorgersi che la corrispondenza di questi principii dell’ente umano in un organismo sociale sono: mondo delle masse, mondo dell’economia, mondo guerriero, mondo spirituale.
IV. Le conseguenze di queste semplici considerazioni sono decisive anche per i problemi, che qui propriamente ci interessano. La prima di tali conseguenze è che ogni organizzazione sociale che si «legittimi» con i principii propri a uno qualunque dei piani gerarchici inferiori, pur potendo avere un suo carattere genericamente «organico» (quindi: antindividualismo, antimeccanicismo e quanto alto si vuole), eserciterà una influenza «inferiorizzante» e propizierà, in un modo o nell’altro, una menomazione della personalità (o, per dir meglio, dello sforzo dell’uomo di realizzare e valere come personalità); ciò, per la semplice ragione che se, p. es., l’economia sarà questo principio-base dell’organismo, è naturale che si avrà una subordinazione ad essa non solo di ciò che le e inferiore (la pura collettività materializzata), ma anche di ciò che le è superiore: e per il singolo, vivere in uno Stato organico in questo senso, significherà trovarsi in un ambiente, in cui tutto tenderà a far di volontà e di spirito degli strumenti rispetto alle forze che nell’uomo corrispondono alla economia, epperò a degradar l’uno e l’altra in un uso inferiore.
Il pericolo non è allontanato quando il sistema poggi su di un principio più alto, come sarebbe quello della volontà, cioè, nella corrispondenza sociale e politica, quando l’esigenza organica metta capo al principio guerriero: al che equivale, più o meno, la concezione attivistica del Bund, già indicata.
Vi è anzi da notare che delle interferenze fra volontà e istinto sono quasi fatali ogni qualvolta la volontà si costituisca fine a sé escludendo che qualcosa di superiore la possa illuminare e giustificare, le possa conferire incrollabilità, continuità e assolutezza. È quel che si riscontra, del pari, anche nel riguardo collettivo: nel mondo più recente di una volontà politica attivistica scalzante la ratio e professante un vangelo di tipo più o meno nietzschiano (del peggior Nietzsche), vediamo qua e là affacciarsi forme, che noi volentieri chiameremmo di nuovo totemismo, significanti appunto una interferenza paradossale fra il piano «eroico» della volontà e quello di una primordialità naturalistica e istintiva. Che cosa si deve infatti pensare quando in certe tendenze contemporanee come «carisma» del nuovo irrazionalismo eroico viene proposta la «razza» o il «popolo», concepiti quasi come enti mistici, gelosi e esclusivisti più del dio ebraico, come enti che rivendicano un diritto assoluto sullo stesso piano dello spirito, elevando il sangue e l’istinto del sangue al livello di un nuovo sacramento e avversando l’idea di una qualunque trascendenza?
È questo uno dei casi in cui appare palese a quali pericolose svolte possono esser condotte, per mancanza di superiori principii, le forze religiose delle masse, destate sotto segno politico: caso, dal quale appare evidente che si può benissimo concepire un nuovo tipo sociale «organico» e perfino «mistico», il quale però, mutatis mutandis, non si eleverebbe troppo di là dal livello proprio al pathos collettivistico dei clan e delle orde. E molto vi sarebbe da dire, se l’economia del presente saggio ce lo consentisse, circa quel che Leopold Ziegler [5] ha chiamato il mythos atheos e che nel mondo contemporaneo ha davvero una gran parte, come un confuso surrogato religioso offerto a un bisogno insopprimibile del nuovo mondo politico fatto di volontà, di azione e di autorità: surrogato che, rispetto alla spiritualità vera, costituisce un pericolo perfino maggiore di quello di un materialismo nudo e crudo. Riprendendo l’analogia organica, un mondo retto dalla sola volontà è pregiudicato da una fondamentale contingenza: quando la volontà è abbandonata a sé stessa, quando ha perduta la capacità di riconoscere un principio più alto, essa resta fatalmente aperta ad ogni influenza dal basso; ed è ad influenze del genere che devesi appunto ricondurre ogni varietà del mythos atheos, cioè ogni surrogato politico della vera spiritualità.
Una volta riconosciuto ciò, i compiti che, su tale piano, si pongono alla nuova dottrina dello Stato appaiono sufficientemente delineati. Si tratta di definire le basi di un ordinamento organico integralmente gerarchico, riportando il mondo attivistico della rivoluzione antiborghese a punti di riferimento davvero trascendenti. Trascendere, secondo la sua etimologia latina, vuol dire esattamente: andar oltre innalzandosi. È un insegnamento tradizionale, che l’uomo in tanto può essere «persona», e come tale rivendicare il valore di scopo, e non di mezzo, rispetto a tutto ciò che è in quanto egli partecipi ad un ordine sovrannaturale: in qualsiasi altro caso, egli è destinato ad essere agito da forze, che hanno sempre un carattere «naturale», sub-personale e collettivo.
In queste idee fondamentali sono dati i punti di riferimento necessari per passar oltre la fase irrazionalistica e «mitologica» delle forze antiborghesi, per sorpassare tanto individualismo quanto collettivismo, per poter assumere il concetto della personalità come la base di un ordine integralmente gerarchico e organico.
Nello scritto seguente, dopo aver mostrato l’insufficienza delle più note teorie di filosofia politica e di filosofia del diritto rispetto a questo compito, ci sforzeremo di delineare la via da seguire per venire a tanto, e per fondar dunque anche dal punto di vista dello spirito la dottrina del vero Stato.
FINE
***
Note
[4] Heinz Marr (1876-1940), figlio di Wilhelm Marr, fu un sociologo tedesco, professore presso l’università di Francoforte durante il Nazionalsocialismo (N.d.R.).
[5] Leopold Ziegler (1881-1958), pensatore tedesco celebre per la sua metafisica della tragedia, rimase a cavallo tra un’impostazione filosofica in senso stretto ed un approdo metafisico-tradizionale. Formatosi sui classici dell’idealismo tedesco (Fichte, Hegel e Schelling) e sulla filosofia dell’inconscio di Eduard von Hartmann, anche grazie all’influenza di autori quali Plotino, Meister Eckhart, Jakob Boehme, Nietzsche e lo stesso René Guénon (di cui Ziegler scrisse la prefazione alla traduzione tedesca de “Il re del mondo”) approdò, soprattutto tramite l’analisi dell’essenza del concetto di tragico, a forme di sintesi metafisica, rigettando ogni forma di riduzionismo psicologistico.
Ziegler condannò il pensiero umano configuratosi nell’epoca moderna secondo il modello della scienza, ossia secondo le forme e le categorie della logica generale, contrapponendogli la forma di “pensiero” tradizionale che si esprimeva nelle immagini mitiche e nei simboli. Osservò come la rimozione violenta dei tratti più originari dell’anima, relegati dalla coscienza alla dimensione dell’inconscio, a causa dell’impoverimento della vita comunitaria e della prassi religiosa, avesse generato una società dominata da un’idea di scienza puramente concettuale e utilitaristica, incapace di reinterpretare in maniera corretta l’eterno simbolismo dei culti e dei riti antichi, e di conservarlo attraverso le sue metamorfosi, assumendo in sé il proprio passato e salvandolo.
Si racconta che Edgard Jung, il celebre avvocato e consigliere ideologico di Franz von Papen, assassinato nella notte dei lunghi coltelli ed amico di Ziegler, e con il quale sembra che Evola avesse stretti contatti, intendesse far incontrare i due, che si conoscevano reciprocamente solo di fama. Ma tale proposito, probabilmente per la prematura scomparsa di Jung, non fu mai realizzato (N.d.R.).
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