Sul significato razziale della mistica fascista (I parte)

di Julius Evola

Tratto da “Vita Italiana”, aprile 1940.

Il Convegno di Mistica fascista che, con partecipazione dello stesso Partito, ha recentemente avuto luogo al Milano (1) ed ha già avuto una vasta e significativa risuonanza, riporta al primo piano dei problemi spirituali che sono fondamentali per chi abbia in vista le più alte potenzialità della Rivoluzione. È vero che, da parte non del tutto disinteressata, si sono affacciate delle reazioni e quasi delle attitudini di scandalo già per il fatto di usare il termine di «mistica». Ma, nel riguardo, si tratta essenzialmente di un equivoco, che i risultati dei lavori del convegno, quando saranno resi accessibili a tutto il pubblico, non potranno che dissipare. Certo, non solo per prevenire dei malintesi, ma anche a che possa servire di punto di riferimento valido sia per noi, sia – eventualmente – per ogni movimento di ricostruzione europea, è necessario dare al concetto di «mistica fascista» una adeguata delimitazione. Ed è appunto a ciò, nell’occasione dell’accennato Congresso e altresì in relazione a quanto noi stessi in esso abbiamo avuto occasione di esporre, che crediamo opportuno di svolgere qui qualche considerazione, intesa, fra l’altro, a mettere in rilievo ad un punto di non poco momento, ma finora non abbastanza considerato, vale a dire il significato che la mistica fascista, nella sua accezione più corretta, ha per lo stesso problema attivo della razza.

Niccolò Giani (1909 – 1941) tra i fondatori della Scuola di Mistica Fascista, di cui fu direttore, incarnò alla perfezione la concezione evoliana della “mistica fascista” quale via dell’azione pura e della dedizione eroica finalizzata al raggiungimento dei più alti apici della “più che vita” (Mehr als Leben)

Cominciando con l’assumere il solo termine di «mistica», vi si debbono distinguere due aspetti, negativo e polemico l’uno, positivo e creativo l’altro. Dal punto di vista negativo, è mistico tutto ciò che non è intellettualistico e razionalistico, tutto ciò che propizia forme di esperienza vissuta, eccedenti, come tali, gli schemi del pensiero astratto e, più in generale le forme della coscienza riflessa condizionata dal cervello e dall’individualità fisica. Arrestarsi a questa definizione negativa dalla «mistica» in genere sarebbe però insufficiente e pericoloso: pericoloso, per le confusioni che essa, presso l’uomo moderno, può propiziare. A causa della sua materializzazione, della ristrettezza dei suoi orizzonti e della sua mancanza di principii, l’uomo moderno è infatti fin troppo portato a identificare cose, che appartengono a domini affatto diversi.

Nell’ordine di ciò che non è più razionale o intellettualistico esistono due zone effettivamente antipodiche, comprendenti l’una il subrazionale, l’altra il superrazionale – da un altro punto di vista, l’uno il subcosciente e l’altro il supercosciente, l’una l’elemento istintivo, naturalistico, subpersonale, l’altro realtà, conoscenze e influenze a cui legittimamente si può applicare la designazione di «supernaturale» e di superpersonale.

Una tale distinzione oggi è di tanto più necessaria, inquantochè si può affermare che la grandissima parte delle tendenze «mistiche» e neo-spiritualistiche contemporanee rappresentano la triste avventura di menti che, spesso con le migliori intenzioni, non sono saltate di là dai limiti della razionalità che per cadere in un dominio rispondente effettivamente all’irrazionale della prima specie, cioè nel dominio di forze di natura prevalentemente subpersonale, subintellettuale, collettivista. Ciò, secondo noi, vale non solo per il cosidetto intuizionismo dell’ebreo Bergson e per le varietà delle correnti e delle sette d’intonazione pragmatistica, teosofistica, spiritualistica, psicanalistica, «occultistica» e modernistica, ma anche per varie filosofie dilettantesche aventi al centro una nuova, superstiziosa religione della «Vita», dell’«Irrazionale», del «Divenire».

Noi così siamo già giunti ad un primo punto di riferimento. Una «mistica fascista» deve rappresentare una precisa reazione contro tutto ciò; essa deve avere per ideale uno sviluppo della personalità, che distolga dagli schemi e delle limitazioni dell’intellettualismo e del razionalismo per condurre non a ciò che sta al disotto, ma a ciò che sta al disopra del razionale. Il nucleo della personalità, costituito dalle qualità virili di lucida presenza a sé stessi, di controllo, di dominio, di azione precisa, in questo sviluppo non deve venire dissolto in forme confuse tra il sentimentalistico, l’estatico e l’istintivo, ma potenziato e integrato.

L’accenno ora fatto al sentimentalismo ci conduce ad una ulteriore precisazione. Si tratta di rendersi conto che col «sentimento» non si va certo oltre le limitazioni naturalistiche della condizione umana, di quel che non si vada con l’intelletto astratto. Sentimento e cerebralità sono i due poli di un’antitesi paralizzatrice, essi si condizionano dunque a vicenda, prendono senso l’uno dall’altro, si che il passar polemicamente dall’uno all’altro ha più il senso del voltarsi da una parte e dall’altra del suo letto di un insonne o di un malato, che di un vero destarsi. Grave errore sarebbe dunque concepire la mistica, di cui qui si tratta, come una specie di esaltazione polemica delle facoltà di sentimento e perfino di fede, della parte istintiva e passionale in noi, di contro a quelle di un chiaro equilibrio mentale. Ciò che, a buon diritto, si può chiamare superrazionale e superindividuale sta al di sopra dell’uno e dell’altro dei termini di tale antitesi. Se queste affermazioni possono lasciar perplesso più d’uno, la causa è che molte parole vengono oggi usate per designare cose diverse e spesso tutt’altro di quel che esse in origine esprimevano.

Non sembri iconoclasta il porre, come abbiamo fatto, la stessa «fede» in un piano, in fondo, inferiore, e nemmeno cosa contraddittoria rispetto alla nota formula tripartita del fascismo, avente il «credere» come il primo dei suoi comandamenti. Questa occasione è anzi propizia per accennare rapidamente ai rapporti fra mistica e religione. Lo stesso termine «mistica», riportato alla sua etimologia, si riferisce ad un ordine effettivamente superiore alla semplice religione e alla semplice fede. Il «miste», nell’antichità, voleva dire l’«iniziato», colui che veniva ammesso alla conoscenza e alle realizzazioni proprie ai «Misteri», termine derivato dallo stesso tema di «mistica». Ma quale si sia l’opinione che si ha circa tale conoscenza e tali realizzazioni, certo è che agli occhi dell’uomo antico i «Misteri» rappresentavano unanimemente qualche cosa di più alto della semplice religione, tanto da costituire originariamente un privilegio delle caste superiori. L’uomo comunque «crede», l’«iniziato», invece sa, non certo in senso «intellettualistico», ma nel senso, che certe trasformazioni della sua coscienza lo avrebbero portato a percepire nella forma di evidenza diretta e di chiarezza superrazionale quel che, nel suo riferirsi alle masse, al popolo, nella religione è contenuto in allegorie, simboli, miti o dogmi e si presenta come semplice centro di cristallizzazione di sentimenti, di tendenze devozionali e, al massimo, mistiche nel senso cattivo, divenuto corrente, del termine.

Appare dunque da ciò che se noi vogliamo rifarci alle origini, l’esser sul serio «mistici» non sarebbe cosa né di poco momento, né di poca responsabilità. Ci si chiederà, tuttavia, se noi, portando la quistione su tale piano, non ci allontaniamo da quello in cui un’espressione, come «mistica fascista», può avere un senso concreto. Può sembrare cosi, ma non è. Tralasciando di trarre dalle antiche tradizioni dei riferimenti che, data la brevità di questa esposizione, potrebbero forse apparire poco comprensibili, limitiamoci ad indicare, come vera meta della mistica fascista, l’ordine veramente superindividuale e supernaturale, quella «realtà libera dai limiti di tempo e di spazio», che all’inizio della sua Dottrina del Fascismo Mussolini stesso riconosce e indica come imprescindibile condizione per ogni ordinamento delle volontà e per ogni dominio. È evidente che, a questa stregua, a meno di non depotenziare i termini usati, la mistica fascista non può non interferire con l’ordine stesso che comunemente si ascrive in proprio alla religione e allo stesso ascetismo. Quali sono i punti di affinità e quali quelli di differenza, dal punto di vista dell’esperienza vissuta?

Per evitare di finire, proprio nel trattare di «mistica», in schemi puramente intellettuali, bisogna cominciare con mettere in rilievo che parlando di «realtà sovrannaturale», qui, non si deve pensare per nulla ad un’astrazione o teologica, o filosofica e nemmeno ad un dato ipotetico della semplice fede. Esistono delle culminazioni interiori in cui – se è lecito usare una suggestiva terminologia in lingua tedesca – il Mehr-Leben, vale a dire una estrema intensità di vita, si capovolge e quasi trasfigura in un Mehr-als-Leben, in «più che vivere», in «più che vita». Non si tratta di astrazioni, di «teorie», qui, e nemmeno di sentimentalismi. Si tratta di àpici, capaci di giustificare tutta una esistenza umana e che, per così dire, rendono partecipi di un’altra natura.

Ora, per realizzazioni di tale tipo il mondo tradizionale ha conosciuto due vie distinte, che sono la contemplazione e l’azione, e più precisamente il distacco (da non confondersi con «rinuncia» o «mortificazione»), la «semplificazione» e la catarsi ascetica da un lato e, dall’altro, l’affermazione e la trasfigurazione eroica. Esiste in realtà – e nelle nostre opere abbiamo ripetutamente documentato questo asserto – una tradizione di spiritualità eroica, parallela a quella propriamente «religiosa» e ad essa in fondo irriducibile, perché le attitudini presupposte sono effettivamente diverse e ognuna in un suo certo modo primaria. Secondo tale tradizione, l’eroismo, la dedizione eroica, l’azione pura possono svilupparsi in una mistica della gloria e della dominazione e in una liturgia della potenza; presso ad un giusto orientamento dell’animo esse possono essere così ricche di frutti «sovrannaturali» e vie così sicure per il raggiungimento di quegli apici di «super-vita», di cui si è detto or ora, quanto le vie e le discipline della santità e dell’ascetismo propriamente religioso.

“l’eroismo, la dedizione eroica, l’azione pura (…) presso ad un giusto orientamento dell’animo (…) possono essere così ricche di frutti «sovrannaturali» e vie così sicure per il raggiungimento di quegli apici di «super-vita» (…), quanto le vie e le discipline della santità e dell’ascetismo propriamente religioso”

Il Medioevo ghibellino – ultima apparizione, per noi di un tipo «normale» di civiltà in senso superiore – conobbe esattamente tutto ciò e il famoso antagonismo tra il simbolo imperiale e quello religioso fu meno l’effetto di contrastanti ambizioni politiche, che di due forme distinte e irriducibili di spiritualità. Di passata, sia detto che la teoria, secondo la quale alla vita contemplativa spetta il primato rispetto a quella dell’azione, parte da una concezione abbastanza confusa delle possibilità dell’una e dell’altra e, laddove non rifletta esclusivamente uno dei due punti di vista, non è che una posizione di compromesso, pericolosa, perché essa fatalmente finisce in un involontario materializzamento e impoverimento di quanto si rifà ad azione, ad eroismo e gloria. Anche questo è stato trattato da nostri colleghi, soprattutto da J. Evola nella Rivolta contro il Mondo moderno (Milano, 1934) e Il Mistero del Graal e la tradizione ghibellina dell’Impero (Bari, 1937).

Giunti a tali constatazioni, ci sembra chiaro, che una «mistica fascista» debba necessariamente intonarsi alla tradizione dell’azione, dunque mirare ad una realizzazione del sovrannaturale e del superpersonale sulla base delle possibilità spirituali, e a loro modo ascetiche, contenute nell’esperienza della fedeltà guerriera, del sacrificio virile, dell’eroismo e della dominazione. Ciò precisa l’elemento comune e quello distintivo fra mistica fascista e mistica religiosa. Abbiamo  detto «distintivo», e non «oppositivo» o antagonistico. Dal punto di vista tradizionale, ognuno deve realizzare il «sacro» nella forma propria alla sua vocazione e qualificazione e vi saranno quindi vie distinte, ma convergenti nel loro vertice. La realizzazione di un tale vertice, nell’un modo o nell’altro, è l’essenziale. Il fuoco proprio a quella realtà sovraterrena, non come astrazione, ma come realizzazione culminante di «più che vita», senza di cui ogni ordinamento umano sarebbe arbitrario e contingente, può essere alimentato da due colonne, e che battono vie diverse: la mistica fascista può corrispondere ad una di queste colonne, la quale non esclude l’altra, composta da coloro elle sentono la via propriamente ascetica in senso religioso più conforme alla loro natura e alla loro vocazione, ma la integra: le basi o punti di riferimento per le sue realizzazioni saranno la fides guerriera, l’ideale spirituale dello Stato e dell’Impero, la lotta e la guerra come ascesi e vie di attivo superamento, il mito del «Capo», o Duce, infine, al limite, la mors triumphalis, la morte come affermazione di una più alta vita.

Note

(1) Evola fa riferimento al Primo (e di fatto unico) Convegno Nazionale di Mistica Fascista che si tenne a Milano tra il 19 ed il 20 febbraio 1940, in occasione del decennale della fondazione della Scuola di Mistica Fascista intitolata ad Arnaldo Mussolini. Ferdinando Mezzasoma, vice segretario della Scuola e del Partito Nazionale Fascista, presiedette i lavori, incentrati sulla tematica “Perché siamo dei mistici?. L’evento ebbe molto successo: circa 500 furono i partecipanti, con l’adesione della maggior parte degli intellettuali italiani dell’epoca, compresi rettori e docenti universitari, nonchè di esponenti dello spiritualismo cattolico. Evola stesso fu tra i sostenitori di questa iniziativa per le possibilità che essa avrebbe potuto offrire nella creazione di un’élite ispirata ai principi tradizionali (N.d.R.).

segue nella seconda parte



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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