Proponiamo tre lettere selezionate sempre dall’opera “Julius Evola – Lettere a Mircea Eliade 1930-1954” – a cura di Claudio Mutti, Quaderno n. 46 della collana dei Quaderni Evoliani editi dalla Fondazione Julius Evola, Edizioni Controcorrente, Roma, 2011, tra le sedici complessivamente ivi pubblicate, corredate dalle relative note, in parte integrate, modificate, adattate o aggiunte dalla Redazione di “Rigenerazione Evola”.
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Roma, 28 maggio 1930
Caro Signore,
ho ricevuto la sua lettera.
Mi ricordo perfettamente di lei. Uno dei suoi amici qui mi aveva già detto che lei era andato in India[1].
Mi piacerebbe molto sapere che cosa ha trovato laggiù nell’ordine di cose che interessa a noi: quello della pratica, più che quello della dottrina e della metafisica.
Pensavo e penso ancora (poiché sono sul punto di aver terminato ciò che ero tenuto a fare in Occidente)[2] di recarmi anch’io in India, per restarvi. Uno dei miei corrispondenti mi ha convinto che non ne valeva la pena, a meno che non ci si spinga verso il Kashmir o il Tibet e si abbia il modo di farsi introdurre in alcuni dei rarissimi centri che conservano ancora la tradizione e che sono eccessivamente sospettosi nei riguardi di qualunque straniero.
Tuttavia le sarei grato se mi informasse su quello che ha trovato in più. Beninteso: non dal punto di vista culturale o metafisico.
Le invio:
Uno degli ultimi esemplari che ancora esistono della collezione completa “Ur” 1928.
La collezione completa “Krur” 1929.
Il mio libro sui Tantra[3].
I miei libri che sono apparsi dopo quest’ultimo sono:
Imperialismo pagano (è una rivolta contro la civiltà moderna)
Teoria dell’individuo assoluto
Fenomenologia dell’individuo assoluto
Gli ultimi due costituiscono l”esposizione sistematica e definitiva della mia dottrina. Attualmente dirigo “La Torre”, di cui allego due numeri[4]. Prima di “Ur” non dirigevo altre riviste.
A parte quello che lei ha ricevuto, non resta che la collezione “Ur” 1927, che è esaurita. Se vuole, posso informarmi se c’è qualcuno che sia disposto a venderla, e a quale prezzo.
La ringrazio per il suo ricordo. Coi migliori auguri.
[Con una sorta di post scriptum, Evola chiede poi ad Eliade notizie circa la possibilità di ricevere tramite il suo amico Douglas Ainslie, diplomatico, critico e poeta scozzese, i primi due volumi, all’epoca appena usciti, dell’opera A History of Indian Philosophy (che complessivamente si sarebbe sviluppata in cinque volumi) di Surendranath N. Dasgupta, studioso di filosofia antica dell’India (N.d.R.)].
J. Evola
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Roma, 15 Dicembre 1951
Caro Signore,
è già passato abbastanza tempo da quando ho ricevuto la sua ultima lettera[5] e la nostra relazione si e ristabilita dopo la guerra. In questo periodo ho sentito parlare spesso di lei e della sua attività. Naturalmente ho letto, con interesse, le opere che ha avuto la cortesia di inviarmi e che non ho mancato di segnalare ad amici i quali potevano interessarsene e probabilmente le hanno anche scritto.
Recentemente è apparsa una nuova edizione riveduta e integrata della mia Rivolta contro il mondo moderno e penso di avervi menzionato anche il suo Traité[6]. Ma a questo riguardo – e lo dico un po’ scherzando – a lei si dovrebbero applicare delle Vergeltungen[7]. Colpisce il fatto che lei abbia una estrema preoccupazione di non menzionare nelle sue opere alcun autore che non appartenga strettamente alla letteratura universitaria più ufficiale, di modo che presso di lei si trova p. es. abbondantemente citato quell’amabile buonuomo[8] di Pettazzoni[9], mentre non si trova una sola parola non solo su Guénon, ma neppure su altri autori le cui idee sono molto più vicine a quelle che le permettono di orientarsi con sicurezza nella materia che lei tratta. Va da sé che questa è una cosa che riguarda solo lei, ma sarebbe il caso di chiedersi se, alla fin dei conti, imporre queste limitazioni “accademiche” sia un gioco che vale la candela … Spero che non me ne vorrà per queste osservazioni amichevoli[10].
Mi è stato detto che sono insorte delle difficoltà per l’edizione Einaudi delle sue traduzioni, a causa di un ridicolo veto comunista. È vero? Se sì, queste traduzioni sono da piazzare di nuovo? (Si tratta, credo, del Manuel e delle Techniques)[11]. E possibile che in questo caso io le possa essere utile, anche se lei dispone già di sufficienti relazioni efficaci, come quelle con l’ambiente di Tucci[12] e per l’appunto di Pettazzoni.
[in questa parte della lettera, Evola chiedeva ad Eliade consigli per piazzare la traduzione in lingua francese di alcuni suoi libri; in particolare, esprimeva il desiderio di poter ottenere la traduzione di “Rivolta contro il mondo moderno”, proponendo il nome dell’editore Payot e offrendosi di contattare il celebre professore e studioso delle civiltà indoeuropee Georges Dumézil, stretto amico di Payot, della cui produzione Evola si proponeva di approfondire la conoscenza, soprattutto con riferimento al tema dell’iniziazione guerriera.
Evola proseguiva poi chiedendo che gli fosse inviata una copia del libro di Eliade “Le Chamanisme e les techniques archaïques de l’extase”, di cui poi Evola stesso curerà la traduzione in italiano, la revisione e la pubblicazione presso l’Editore Bocca nel 1953 (“Lo Sciamanesimo e le tecniche dell’estasi”) e di cui avrebbe parlato ripetutamente nelle successive missive con lo studioso romeno, e chiudeva la presente lettera accennando alla lavorazione di un nuovo libro (“sto raccogliendo del materiale per un saggio sulla magia sessuale”), che sarebbe venuto alla luce nel 1958, sette anni dopo, e cioè “La metafisica del sesso”, che, sempre in un colloquio con Eliade, Evola citerà come facente parte di una triade di libri necessari per affrontare il mondo del dopoguerra, insieme a “Gli Uomini e le rovine” (1953) e “Cavalcare la tigre” (1961). (N.d.R.)]
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Roma, 31 dicembre 1951
Caro Signore,
molte grazie per la sua cortese lettera e grazie anche per aver disposto l’invio del suo nuovo libro[13], che leggerò con particolare interesse. Poi le dirò quali sono le possibilità presso Laterza; va da sé che farò del mio meglio per esserle utile.
Per quanto riguarda i suoi chiarimenti a proposito delle sue relazioni con la “massoneria” accademica, li trovo abbastanza soddisfacenti. Si tratterebbe dunque meno di metodologia che di pura tattica, e contro il tentativo d’introdurre qualche cavallo di Troia nella cittadella universitaria non ci sarebbe nulla da dire. L’importante sarebbe di non lasciarsi prendere, in alcun modo, in un inganno, perché agli ambienti accademici corrisponde una sorta di “corrente psichica”, con la possibilità di una sottile influenza deformante e contaminante. Ma io penso che, sia come fondamento interiore, sia per le sue probabili relazioni con ambienti diversamente qualificati, lei possa difendersi da questo pericolo[14].

“L’importante sarebbe di non lasciarsi prendere, in alcun modo, in un inganno, perché agli ambienti accademici corrisponde una sorta di “corrente psichica”
Quanto alla “metodologia”, lei sa bene che io cerco di seguire una via mediana, poiché, a differenza della maggior parte degli “esoteristi”, mi preoccupo di produrre anche una documentazione abbastanza soddisfacente dal punto di vista “scientifico”[15]. Quello che lei intraprende nel dominio della scienza delle religioni e della mitologia, io l’ho intrapreso molti anni fa, ma nel dominio della filosofia accademica, che era allora l’idealismo assoluto. La direzione era la stessa: far vedere che i problemi più importanti di questa filosofia non possono essere risolti, se non si oltrepassa la “filosofia” tout court. Ma dopo questo contributo, dato con tre libri[16] (uno – Teoria dell’Individuo assoluto – l’ho riveduto recentemente e ritengo utile farlo rieditare come testimonianza)[17], ne ho avuto abbastanza. Non conosco bene l’ambiente della Sorbona; per quanto concerne l’Italia, almeno fino a ieri non era necessario mascherarsi troppo, poiché io stesso avevo ricevuto l’incarico di tenere dei corsi nelle università di Milano e di Firenze[18]; ma la mia conclusione è stata che il gioco non vale la candela; e la repulsione per i tipi e le cabale del mondo universitario ha per me qualcosa di fisiologico.
Siccome lei parla in particolare del signor Guénon[19], penso che un’azione utile consisterebbe nel mettere a punto certi aspetti delle sue dottrine che risentono di un dogmatismo in fondo arbitrario, poiché, in fin dei conti, la mescolanza dei dati tradizionali con punti di vista individuali è stata inevitabile anche nel suo caso. Tanto più che in Francia, ma anche in Italia, si sono formati dei gruppi che seguono il maestro alla maniera dei “primi della classe”, raddoppiando la certezza dogmatica e pretendendo di essere gli unici ad amministrare l’“ortodossia”[20]; la qual cosa è abbastanza fastidiosa e non può non nuocere a quanto vi è di meglio in Guénon.
[in questa parte della lettera, Evola torna a scrivere di questioni editoriali: ringrazia Eliade per la sua intenzione di aiutarlo a pubblicare in francese alcuni suoi libri, sottolineando i tentativi non andati a buon fine con gli editori Gallimard e De Noël e riponendo invece fiducia nell’editore Payot, anche per il fatto che Rivolta e La dottrina del risveglio erano nel frattempo “apparse presso editori molto ‘rispettabili’”, tradotte rispettivamente in tedesco (1935, Runge-Verlag) ed in inglese (1951, Luzac & Co.). Per la cronaca, l’editore Payot non tradusse nessuna di queste opere, ma pubblicò successivamente, nel 1959, Metafisica del Sesso (N.d.R.)].
Mi fa piacere apprendere che lei verrà nuovamente in Italia[21]. Siccome non vorrei perdere l’opportunità di un incontro, la prego di avvisarmi quando i suoi programmi saranno definitivi, affinché possa regolarmi, essendo possibile che in primavera io lasci Roma per un certo periodo[22].
Coi miei migliori auspici – in signo solis invicti – per il nuovo ciclo, molto cordialmente
suo J. Evola
Note
[1] Mircea Eliade aveva soggiornato a Roma nel marzo-aprile 1927 e nell’aprile-giugno 1928, per poi tornare in Romania e partire per l’India nel novembre 1928.
[2] Evola potrebbe riferirsi al fatto di aver da un lato completato 1’esperienza del Gruppo di Ur e dall’altro di aver finalmente pubblicato i due tomi di Teoria e fenomenologia dell’Individuo assoluto (Bocca, 1927 e 1930) che sempre considerò base e cardine del suo pensiero.
[3] L’uomo come potenza, Atanòr, Roma s.d. [1926]; III ed. riveduta e ampliata, Edizioni Mediterranee, Roma 2011. “Crediamo sia importante ricordare en passant che Evola spedì ad Eliade, oltre a diversi suoi libri e riviste, anche il testo che egli aveva scritto nel 1926 sul tantrismo, ossia L’uomo come potenza. Non sarebbe forse da questa lettera [sic: evidente refuso per “lettura”] che Eliade prese spunto per il proprio personaggio di “J.E.’ nel Secretul doctorului Honigberger [“Il segreto del dottor Honigberger”: cfr. quanto esposto nel paragrafo 4 dell’articolo a cura della Redazione di “Rigenerazione Evola” Julius Evola e Mircea Eliade, breve storia di un’ “amicizia mancata”, seconda parte – N.d.R.]. Tutto concorre a portare a questa conclusione” (Marcello De Martino, Mircea Eliade esoterico. Loan Petra Culianu e i “non detti”, Settimo Sigillo, Roma 2008, p. 253).
[4] La Torre uscì per dieci numeri, dal 1° febbraio al 15 giugno 1930, allorché venne chiusa d’autorità. In precedenza il terzo fascicolo del 1° marzo fu sequestrato per un articolo che attaccava la campagna demografica. Dunque, questa prima lettera di Evola a Eliade venne scritta alla vigilia del sequestro, poco prima che uscisse il decimo e ultimo fascicolo della rivista.
[5] Lettera che non ci è pervenuta e che dovrebbe quindi risalire, considerando le vicende personali evoliane (ospedalizzazione a Bologna, processo dei FAR ecc.) almeno ad un anno prima. E verosimile che, come per tutti i personaggi con cui Evola cercò di riprendere contatto dopo il 1945, l’iniziativa sia partita da lui stesso.
[6] Rivolta uscì per Bocca nell’aprile-maggio 1951. Evola però ricorda male, perché il libro di Eliade non vi è citato. Nella III ed. del 1969 sono citati positivamente il Traité (come Manuel, in francese “manuale”, N.d.R.) e Le mythe de l’éternel retour, e con riserva lo Yoga del 1936. (N.d.R. – con la formula sintetica “Traité” Evola intende riferirsi al celebre Traité d’histoire des religions di Eliade).
[7] In tedesco, “rappresaglie”.
[8] Il francese bonhomme vale anche in senso ironico per semplicione, non privo di dabbenaggine.
[9] Raffaele Pettazzoni (1883-1959) conseguì nel 1913 la libera docenza in storia delle religioni; insegnò all’Università di Bologna e poi all’Università di Roma. Fra le sue opere: Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni: L’essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi (vol. I, 1922), I misteri: saggio di una teoria storìco~religiosa (1924), La confessione dei peccati (1929-1935), L’onniscienza di Dio (1945), Saggi di storia delle religioni e di mitologia (1946).
[10] In realtà, Eliade rimase particolarmente colpito dalla critica di Evola. Riprendiamo al riguardo quanto esposto nel Quaderno della Fondazione Evola a pag. 73, nota 65, da noi qui riportata (N.d.R.): rievocando un ipotetico incontro con Evola del 1949 (che non può essere avvenuto per le ragioni precisate da Gianfranco de Turris, L’“Iniziato”e il Professore. I rapporti sommersi ftra Julius Evola e Mircea Eliade, in AA.VV., Delle rovine ed oltre: Saggi su Julius Evola, 1995, Antonio Pellicani Editore, Roma, pp. 234-235), Eliade scrive nel suo diario: “Dopo di allora lo avrei rivisto una volta sola, nel 1952 o nel 1953 [fu nel 1952], tuttavia ci scrivevamo regolarmente. Una volta ricevetti da lui una lettera piuttosto amara, nella quale mi rimproverava perché non lo citavo mai, né lui né Guénon [si tratta proprio della lettera in oggetto, n.d.r.]. Gli risposi nel modo che ritenni più opportuno e un giorno bisognerà pure spiegare e giustificare questa risposta. La mia argomentazione è delle più semplici: i libri che scrivo sono destinati al pubblico d’oggi, non agli iniziati. Contrariamente a Guénon ed ai suoi emuli, ritengo di non dovere scrivere nulla che sia loro destinato in modo specifico” (M. Eliade, Fragments d’un journal II. 1970-1978, Gallimard, Parigi 1981, pp. 194).
[11] Con Manuel, in francese “manuale”, Evola si riferisce evidentemente al Traité d’histoire des religions in precedenza citato. In seguito ad un soggiorno di Eliade a Roma, avvenuto nell’estate del 1949, due commissari politici della rinata democrazia, Carlo Muscetta (critico letterario, collaboratore de “l’Unità” e “Rinascita”, autore per Einaudi e Feltrinelli) ed Ambrogio Donini (storico del cristianesimo e dirigente del P.C.I.) informarono Ernesto De Martino e Cesare Pavese, direttori della “collana viola” di Einaudi, che lo studioso romeno era – per riprendere i termini in cui un altro sinistro sicofante riassumerà l’“avvertimento” di Muscetta e Donini – “uno scellerato fuoruscito dalla Romania, mestatore fascista” (Furio Jesi, Un caso imbarazzante, “Tuttolibri”, 15, 21 aprile 1979). Riassumendo la nota rispetto alla versione del Quaderno della fondazione Evola (N.d.R.): Poiché i due “gendarmi della democrazia” Muscetta e Donini chiesero di far uscire dal catalogo Einaudi tutte le opere del pericoloso “fascista”, Pavese e De Martino dovettero intervenire a denti stretti in aiuto di Eliade, per salvaguardare la “linea aconfessionale” della collana ma anche per evitare ed anticipare l’intervento di qualche “soccorritore” indigesto come lo stesso Evola, che, con il suo editore Bocca di Torino, si stava interessando al Traité di Eliade (Pietro Angelini, L’uomo sul tetto. Mircea Eliade e la “storia delle religioni”, Bollati Boringhieri, Torino 2001, p.57). Patetiche, peraltro, le parole usate da Muscetta e Donini che si ricavano da alcune lettere dell’epoca rivolte a Giulio Einaudi e Antonio Giolitti, che risparmiamo al lettore. Per la cronaca, il “Trattato di storia delle religioni” di Eliade fu faticosamente pubblicato solo cinque anni dopo, “quasi clandestinamente” (P. Angelini, ibidem), nella traduzione di Virginia Vacca e con una prefazione “fatta in casa” dello stesso Ernesto De Martino, in sostituzione di quella ben più qualificata di Georges Dumézil: il che, evidentemente, si commenta da sé.
[12] Giuseppe Tucci (1894-1984), archeologo, antropologo, esploratore, scrittore, accademico d’Italia, fu uno fra i massimi tibetologi d’ogni paese e il più grande orientalista italiano del Novecento. Dal 1925 al 1930 insegnò italiano, cinese e tibetano presso le Università di Calcutta e Shantiniketan; dal 1930 fu docente di lingua e letteratura cinese all’Università di Napoli; dal 1932 insegno religione e filosofia dell’Estremo Oriente all’Ateneo di Roma; nel 1933 fondò, con Giovanni Gentile, l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente. Guidò spedizioni e campagne archeologiche in Tibet, Nepal, Pakistan, Afghanistan, Iran. Nel 1950 avviò il periodico “East and West”, al quale collaborò anche Julius Evola. Una Bibliografia degli scritti di Tucci, compilata da L. Petech e F. Scialpi, si trova in: Raniero Gnoli, Ricordo di Giuseppe Tucci, ISMEO, Roma 1985, pp. 57-79.
[13] Le Chamanisme, cui si accennava nel commento relativo alla parte finale della lettera precedente.
[14] Richiamandoci a quanto commentato da Claudio Mutti nell’Introduzione al Quaderno della Fondazione Evola (pag. 28), è interessante verificare come Evola, in questo passo della lettera, mostrasse di ritenere “abbastanza soddisfacenti” i chiarimenti addotti da Eliade a giustificazione del proprio atteggiamento nei confronti della “massoneria” accademica. Evola dichiarava di credere che i motivi per cui Eliade si asteneva quasi totalmente dal citare lui e Guénon (come lamentato nella lettera precedente) rientrassero in una “pura tattica”, necessaria in un ambiente come quello accademico, pregiudizialmente ostile nei confronti di autori ritenuti “scientificamente scorretti”. Altri interpreti interpretarono diversamente l’atteggiamento di Eliade: ad esempio, Michel Vâlsan, in una lettera a Vasile Lovinescu del 1957, lo giudicava un comportamento “pusillanime o eccessivamente prudente”. Allo stesso modo Paola Pisi (I tradizionalisti e la formazione del pensiero di Eliade, in AA.VV., Confronto con Mircea Eliade. Archetipi mitici e identità storica, a cura di Luciano Arcella, Paola Pisi, Roberto Scagno, Jaca Book, Milano, 1998, p. 76), così commenta: “Nel dopoguerra, forse Eliade avrà evitato di citare i lavori accademicamente non ‘ortodossi’ di Evola o Guénon anche per non urtare gli ambienti della ‘cultura ufficiale’, ma certamente non vi è alcun indizio per ritenere che davvero intendesse far penetrare le idee ‘tradizionaliste’ nella ‘cittadella universitaria’, e solo successivamente abbia mutato parere: la politica del ‘cavallo di Troia’ pare soltanto un espediente ad hominem per giustificare quella che ai suoi interlocutori poteva apparire anche come una mancanza di correttezza scientifica” (N.d.R.).
[15] Cfr. l’introduzione a Rivolta dove Evola, sin dalla prima edizione del 1934, rimasta sostanzialmente identica nel 1951 e nel 1969, esponeva questa sua tesi.
[16] Si tratta di Teoria dell’Individuo Assoluto (Bocca, Torino, 1927; ultima edizione: Edizioni Mediterranee, Roma 1998), Fenomenologia dell’Individuo Assoluto (Bocca, Torino, 1930; ultima edizione: Edizioni Mediterranee, Roma 2007) e, infine, Saggi sull’Idealismo magico (Atanòr, Roma 1925; ultima edizione: Edizioni Mediterranee, Roma 2006). Da ricordare che le prime due opere dovevano inizialmente costituire un unico volume; l’editore Bocca però, per rendere più facile la lettura e più accessibile il prezzo, decise di dividerlo in due tomi). E’ poi significativo menzionare anche L’individuo e il divenire del mondo (Libreria di Scienze e Lettere, Roma, 1926; ultima edizione: Edizioni Mediterranee, Roma 2015), che riunisce il contenuto di due conferenze tenute da Evola nel 1925 per la Lega Teosofica Italiana: si tratta di una sorta di sintesi delle tesi espresse in Teoria e fenomenologia dell’Individuo assoluto, in termini più semplici di quelli molto più tecnici utilizzati per i libri suddetti, ma anche di un approccio “filosofico” alle dottrine tantriche esposto ne L’uomo come potenza, pubblicato in quello stesso periodo (N.d.R.).
[17] Evola dovette aspettare sino al 1973 per la pubblicazione della sua edizione “semplificata” del saggio Teoria dell’Individuo Assoluto presso le Edizioni Mediterranee. Però, con gli anni aveva pressoché mutato idea e sconsigliò l’editore di ristamparlo perché poco comprensibile ai tempi sopraggiunti.
[18] Il ministro Bottai chiese a Evola d’insegnare con regolarità accademica materie razziali all’università, ma questi rifiutò, accettando solo di tenere serie di conferenze presso gli atenei che glielo chiedevano, come avvenne appunto a Milano (marzo-aprile 1940) e Firenze (dicembre 1941).
[19] René Guénon era morto all’inizio dell’anno, il 7 gennaio, al Cairo.
[20] Il riferimento e probabilmente alla rivista francese “Études Traditionnelles”, compilata appunto da seguaci o “allievi” ultraortodossi di Guénon, e con la quale Evola spesso dovette polemizzare.
[21] Eliade sarebbe ritornato in Italia nel maggio 1952, per tenere una conferenza presso la sede dell’ISMEO.
[22] Fino a quando le sue condizioni di salute lo permisero, Evola era ospite in primavera o in estate, o in entrambe le stagioni, di alcuni amici di Bologna in un albergo della città, la “Pensione Nuova”, o nei pressi di Modena.
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