Un’infondata identificazione. Gentile e il fascismo (I parte)

di Giuseppe A. Spadaro

(Tratto da Ordine Nuovo, Anno 2, n. 4, dicembre 1971)

Per qualcuno nel nostro ambiente, l’idea di sbarazzarsi di Gentile e del suo attualismo equivale a quella di «castrarsi». Per una ormai radicata quanto – almeno per noi – infondata identificazione, Gentile e il fascismo sembrano coincidere, anche se attraverso un’analisi approfondita si potrebbe dimostrare il contrario.

22L’Abbagnano, pur disconoscendo il significato vero del fascismo, trova che «non c’erano particolari affinità tra l’idealismo di Gentile e il fascismo»; non più certamente di quante ce ne potessero essere tra il fascismo e il Croce, altro esponente del neo-idealismo italiano e critico spietato, nella sua giovinezza, della democrazia parlamentare e del dogma egualitario, anche se ragioni di temperamento e di valutazione strettamente politica spinsero il primo ad aderire al fascismo e ad esserne fino all’ultimo un sostenitore, e il secondo, dopo un periodo di benevola attesa (che si protrasse fin oltre l’affare Matteotti) ad orientarsi verso una sempre più ostinata opposizione.

A tale proposito, sintomatica è la posizione assunta dai due filosofi (uno dentro al fascismo e altro dal di fuori) nei confronti della Conciliazione tra lo Stato italiano e la Chiesa, a cui furono entrambi decisamente contrari, accomunati dalla stessa concezione laicistica, e che per motivi quindi nettamente diversi da quelli che determinavano all’incirca nello stesso periodo una analoga opposizione da parte di Evola.

Ancora nell’ottobre del 1927, mentre erano avviate, attraverso il Cardinale Gasparri, quelle trattative che dopo poco più di un anno dovevano andare in porto, Gentile, che considerava come Giolitti la Chiesa e lo Stato due parallele che non s’incontrano mai, scriveva sul «Corriere della Sera»: «(…) La famosa conciliazione, tanto vagheggiata da Cavour e Crispi, è una utopia; e se (…) ci sono utopie belle e utopie brutte, questa della conciliazione non è da mettersi tra le prime». E mentre Croce poté liberamente e senza impacci sviluppare la sua opposizione fino alla discussione in Senato per la firma dei Patti Lateranensi (alle sue argomentazioni rispose duramente Mussolini), a Gentile, che aveva sostenuto nella Vita di Giordano Bruno la preminenza della laicità dello Stato e la religione come tappa, sempre necessaria «alla instituzione dei rozzi popoli, che denno essere governati» –  tappa da superarsi nella filosofia «momento ideale e definitivo dello spirito» – non rimase che accettare la Conciliazione ch’era ormai una «conquista del Regime».

Non si vuole certo negare che l’idealismo, nell’ambito delle componenti storiche e culturali che confluirono nel fascismo, abbia avuto un ruolo importante. Giovanni Gentile fu, all’indomani della Marcia su Roma, chiamato a far parte (come liberale) del primo Governo fascista per il Ministero della Pubblica Istruzione, con il pedagogista Lombardo Radice alla Direzione Generale dell’Istruzione primaria. Egli mise subito in atto (1923) una radicale riforma scolastica che sconvolse i vecchi ordinamenti positivistici e diede alla scuola un’impronta che dura ancora oggi. Questa riforma suscitò tanti clamori e polemiche in campo avverso che il Gentile voleva rassegnare le dimissioni[1]. Un pedagogista cattolico, Luigi Stefanini, nel 1927 non poteva non riconoscere che, «reagendo a quelle dottrine che ripongono il fine dell’educazione nell’acquisto delle abitudini, che negano la libertà in nome del determinismo, il bene nel nome dell’utile, lo spirito in nome della materia, l’idealismo non può non essere accolto con un senso di sollievo e di liberazione. La critica sbrigativa di chi pone allo stesso livello tutti i negatori del trascendente e (…) li coinvolge nella stessa condanna sommaria, non può essere seguita da chi crede che nel campo della filosofia moderna occorra stabilire una gerarchia di valori».

Da questo che fu un episodio iniziale derivò un immenso prestigio al filosofo, che continuò poi ad esercitare, per le numerose cariche culturali e politiche ricoperte, nonché come creatore e presidente della Enciclopedia Italiana, un influsso e un potere certamente vasti sulla cultura italiana. Il fascismo se ne giovò in parecchie occasioni e del fascismo, in cui vide l’espressione della razionalità assoluta, egli si atteggiò a massimo esponente intellettuale.

In realtà, di esponenti intellettuali il fascismo ne ebbe molti, ed ognuno aA00026698deriva al fascismo per motivi diversi, chi per il suo «pragmatismo» e «relativismo», chi per il suo «vitalismo» e «attivismo», chi per l’«irrazionalismo» e chi in nome del razionalismo assoluto. Gli equivoci, che ci furono, da addebitarsi, da un lato, al fatto che il fascismo andava prendendo volto a poco a poco dal nulla, e dall’altro al fatto che esso infrangeva idoli e dogmi codificati (gli stessi di oggi) che anche se erano dei più banali e dei più assurdi, per essere da lungo tempo radicati presentavano il loro distruttore come «sacrilego», «innovatore», «rivoluzionario», e quindi come «pragmatista», «relativista», empirista» e via dicendo.

Il Fani-Ciotti, su «Critica Fascista» del 15 febbraio 1925, in un articolo intitolato «Le cinque anime del fascismo» credeva di individuare i maggiori pericoli per il fascismo nella corrente di centro sinistra o sindacalista, con tendenza a inquadrare il fascismo negli schemi ideali della democrazia, e nella corrente di centro destra aderente alla concezione gentiliana, che avrebbe potuto fornire un comodo ponte di passaggio al liberalismo.

Appunto per mettere ordine in tanta confusione di idee  e per enucleare sul piano culturale le linee maestre di una concezione fascista, fu promosso da Mussolini il «Primo Convegno fascista di cultura» che si tenne a Bologna il 29 marzo 1925 sotto la Presidenza del Gentile. Ebbene, mentre da parte di questi o dei pochi gentiliani presenti si cercava di dare al fascismo un fondamento nell’idealismo gentiliano, la maggior parte degli intellettuali fascisti prese netta posizione contro di esso.

In verità la dittatura gentiliana nel campo del pensiero, «la satrapia» degli immanentisti hegeliani, come veniva chiamata, non solo non ricevette mai dall’alto il crisma dell’ufficialità, ma non fu mai accettata, anzi attaccata con veemenza da tutte le parti. In primo luogo, forse ad opera dei cattolici i quali temevano ch’egli monopolizzasse la cultura italiana (come del resto faceva presagire il carattere invadente dell’uomo), Gentile non tornò più al Ministero per la Cultura Popolare, o dell’Educazione Nazionale (come più tardi fu chiamato). La stessa riforma gentiliana della scuola fu, durante il fascismo, più volte sottoposta a rimaneggiamenti e modifiche, fino alla Carta della Scuola del 1939 che ne alterò completamente i connotati.

Gli attacchi contro il filosofo si moltiplicavano. Adriano Tilgher scrisse contro di lui «Lo spaccio del bestione trionfante» senza subire altro che una momentanea congiura del silenzio per il titolo troppo irriverente dell’opera. Mario Carli parlava di «vecchie ciabatte del pre-fascismo» e Giuseppe A. Fanelli scrisse un libro, «Contra gentiles», e pubblicò un periodico, «Il secolo fascista», per combattere quello che Papini chiamava il «il nuovo gentilesimo».

Al Congresso di Studi filosofici del ’34 si erano visti i gentiliani battuti, se non addirittura messi al bando, e il Congresso si era tenuto all’insegna: purché non sia Gentile!, che aveva visti uniti anche filosofi di parte avversa.  «Ma alla fine del ’34 lo stesso Mussolini parve prendere posizione contro il filosofo, quando volle Ministro dell’Educazione Nazionale De Vecchi, noto antigentiliano», scrive il Tamaro; e se anche subito dopo sostiene che soltanto motivi di opportunità avevano spinto Mussolini ad una tale scelta, sembra indubbio invece che si volesse ufficialmente imprimere alla cultura italiana, come si reclamava da più parti, un chiaro indirizzo nel senso di un ritorno alla tradizione spiritualistica italiana, da Rosmini a Varisco, in contrapposizione alla «filosofia tedesca», che tra l’altro aveva ispirato in Germania verso la fine del secolo precedente il Kulturkampf anti-cattolico. In ciò c’era di deprecabile soltanto che si facesse una questione di «nazionalismo» anche in un campo in cui l’unico metro valido avrebbe dovuto essere quello della concezione del mondo. È opportuno parlare a questo punto della voce Fascismo dell’Enciclopedia Treccani, che doveva sintetizzare la dottrina del fascismo sia sul piano della concezione del mondo che sotto l’aspetto dei rapporti sociali. De Vecchi, ch’era allora ambasciatore presso la Santa Sede, riferisce che Mussolini aveva dato incarico al Gentile di compilare la voce Fascismo, che sarebbe poi stata avallata dalla sua firma. Il volume dell’Enciclopedia era stato appena dato alle stampe e una delle prime copie esaminata da Pio XI il quale, letta con attenzione la voce Fascismo, rimase indignato e inoltrò attraverso l’Ambasciatore presso la Santa Sede una nota di protesta al governo italiano sotto forma di ultimatum. Si era nel 1932 e da poco era stata superata la crisi che nel ’31 aveva minacciato di mandare a monte il Concordato. Mussolini dovette confessare che la paternità dello scritto non era sua, e assicurare che sarebbe stato sostanzialmente modificato e le poche copie ritirate dalla circolazione.

mussoli-giovanni-gentileConoscendo Mussolini, e come aveva tenuto duro durante la crisi nel difendere i diritti e l’autonomia dello Stato italiano, c’è da credere che la prima versione contenesse i soliti luoghi comuni dell’immanentismo e del relativismo storicistico del Gentile, e che nemmeno Mussolini fosse disposto ad accettarli. Infatti la voce fu riscritta completamente e parecchi brani sono da ritenersi, per lo stile inconfondibile, scritti personalmente da Mussolini.

Ma anche nel campo strettamente politico i gentiliani avevano riportato un netto insuccesso quando, al secondo Convegno di Studi sindacali e corporativi, tenuto a Ferrara nel 1932, Ugo Spirito e Volpicelli, gentiliani di stretta osservanza, avevano lanciata la tesi del «pancorporativismo» e della «corporazione proprietaria», sollevando un coro indignato di proteste. Essi furono accusati di bolscevismo o di radicalismo collettivizzante, per voler attribuire alla corporazione la proprietà dei mezzi di produzione e ridurre tutta la vita sociale all’economia a scapito della politica.

La relazione di Spirito fu disapprovata dal Ministro Bottai perché rappresentava non un passo avanti nel corporativismo, ma un passo fuori dal corporativismo, e a proposito della formula «Stato Nazionale del Lavoro», che ne derivava, Mussolini ebbe ad affermare che non si trattava di costruire lo Stato del Lavoro, ma uno Stato in cui anche il lavoro avesse cittadinanza.

Niccolò_Giani_scuola-mistica_fascistaSi può dire senza tema di sbagliare che intorno al ’30 le azioni del gentilianesimo erano molto in ribasso. Soprattutto nel secondo decennio del Regime il Gentile ebbe sempre meno da dire avendo ormai il fascismo acquistato una precisa fisionomia e coerenza, soprattutto sul piano strettamente politico. Ne erano avversari irriducibili teorici del calibro di Costamagna, Bodrero, Orestano, Del Vecchio. Tra i giovani, che nutrivano istintivamente diffidenza verso le vecchie cariatidi, ed erano cresciuti in un costume di intransigente fierezza e di spregiudicatezza e aperta critica nel solco dei principi fascisti, egli riscuoteva sempre minor simpatia. Tra questi giovani maggiormente spiccarono Berto Ricci, Guido Pallotta e Nicolò Giani, tutti e tre caduti eroicamente nel secondo conflitto mondiale, accomunati dal sacrificio coscientemente scelto a testimonianza dell’intransigente interpretazione ch’essi avevano dato del fascismo.

Nicolò Giani aveva creato nel 1930, a Milano, insieme a Guido Pallotta e sotto il patronato di Arnaldo Mussolini, la «Scuola di Mistica Fascista» che, pur con quella discutibile denominazione («mistica»), perseguiva il nobile intento di formare un Ordine, interno al fascismo, i cui valori più autentici fossero quelli dell’azione eroica e della ricerca di una dimensione metafisica. Quanto ciò fosse distante dallo idealismo gentiliano e dalla sua concezione laica e razionalista, si può facilmente immaginare.

Per sincerarcene stralciamo alcune frasi significative di Giani pronunciate a conclusione del 1° Convegno Nazionale della «Scuola di Mistica Fascista» nel 1939:

«Il fascismo è un richiamo violento alla tradizione, non un ritorno o una ripetizione. Per noi fascisti la tradizione, come lo dice il significato etimologico e come Evola ha documentato, è e non può essere che dinamica… Se perciò noi comprendiamo benissimo il fascista che provenga dai ranghi del socialismo, non possiamo in nessun modo giustificare il fascista ancora ligio ad una concezione materialistica della vita. Del pari se possiamo concepire un fascista ex-liberale, non ci sentiamo di ammettere in un fascista residuati idealistici, più o meno crociani o diversamente aggettivabili … La mistica non è, né può essere una nozione di cultura da esprimere in quattro parole. Essa è uno stato d’animo, un grado di perfezione dello spirito …».

Di tutt’altro tenore erano invece le idee espresse da Gentile nel ’36 in un opuscolo intitolato «Tradizione italiana», in cui, basandosi sulla sua filosofia, arrivava a invalidare persino quel riferimento alla romanità che nel fascismo era originario e fondamentale. Secondo Gentile la tradizione italiana non aveva nulla a che fare con la romanità, che non era una tradizione viva e operante. «La Roma dei Cesari» era una «veneranda antichità» che si poteva evocare in un «melodramma del Metastasio» ma non poteva essere presa in considerazione da «chi volesse badare seriamente alle cose di oggi». La tradizione italiana era invece quella dei «figli delle varie rivoluzioni»,  a partire da «quella del Comune e dell’Umanesimo, liberanti gli italiani dai due miti medievali dell’Impero e della Chiesa, e dal dogmatismo di una filosofia teologica», era «una tradizione laica», quella del «Risorgimento che ha culminato nel 20 settembre». Il resto era retorica, evasione, abbandono delle «conquiste più preziose del pensiero». Quanto fuori fosse ormai Gentile, coi suoi «figli delle varie rivoluzioni», con le «conquiste preziose del pensiero», dal clima, dall’atmosfera, e soprattutto dalla Weltanschauung fascista, può testimoniarlo la posizione da lui assunta, come sempre imprudentemente a proposito della razza, definita «presunta realtà naturale misteriosa» poco tempo prima che apparissero, a cura del Ministero per la Cultura Popolare, i dieci punti della razza che diedero l’avvio, pur con parecchie confusioni, alla politica razziale del fascismo. In realtà la disuguaglianza delle razze era il corollario necessario alla dottrina della disuguaglianza rigorosamente sostenuta dal fascismo. Il non averlo capito è uno degli indici di astrattezza di una filosofia disposta a concedere la qualifica di «Io creatore» anche all’ultimo ottentotto, e che parlava allo spirito con una inadeguatezza di mezzi e di conoscenze sconcertante.

Il fascismo aveva superato i limiti della contingenza storica che aveva reso possibile il suo successo in Italia, per diventare «merce di esportazione»; si era universalizzato e integrato con l’apporto di componenti prima inesistenti, quale quella razzista, e vi era venuto sempre più a perdere importanza l’aspetto teorico-culturale a vantaggio di quello dommatico-esistenziale (si pensi al trinomio: Credere – Obbedire – Combattere).

Si intensificavano i rapporti con il nazionalsocialismo tedesco e con Aquila ponte Flaminiogli altri fascismi europei in cui sappiamo fosse inesistente la pretesa idealistica e predominasse invece il senso della decadenza europea e dello scontro quasi metastorico di due mondi contrapposti. Gentile restava, a parte qualche scritto occasionale e qualche rara apparizione, sempre più in disparte. Ciononostante, mancando, o essendo tenuto nell’ombra un pensatore di statura superiore, e non volendosi imprimere, anche nel campo della cultura, un indirizzo univoco e formatore, per le numerose riserve interne che condizionano il Regime, il filosofo continuò a esercitare il suo influsso specialmente sull’ambiente accademico, ma senza nessun crisma di ufficialità, insieme all’attualismo convivendo, purché i loro sostenitori facessero professione di fede fascista, le più disparate correnti culturali, grazie a quel clima di sostanziale libertà che il fascismo permise nel campo della cultura, non si sa se più sottovalutandola o se più rispettandola. Ma anche sul piano storico bisogna saper distinguere tra la vastità dell’influsso esercitato dall’idealismo per mezzo del Gentile, e la profondità del fenomeno, l’influsso potendo essere esercitato anche su persone o gruppi che soltanto marginalmente e superficialmente s’interessassero di questioni filosofiche, e comunque su quella grande massa che giudicando dall’esterno in base ai fatti più grossolani e appariscenti era ed è portata a convincersi che Gentile sia stato il «filosofo del fascismo». E fu per far colpo su questa grande massa e soprattutto sulla borghesia, che del fascismo non aveva in fondo capito che un vago nazionalismo e un «ordine» malamente inteso che Gentile fu riportato alla ribalta nel 1943 per tenere un «discorso agli Italiani» in Campidoglio, alla vigilia della disfatta. Egli tornò poi ad assumere, nel periodo rischioso della Repubblica Sociale, con atto di indiscussa responsabilità e fedeltà che è la unica lezione che da lui riconosciamo, la Presidenza dell’Accademia d’Italia.

Questo fatto contribuì maggiormente alla identificazione Gentile-Fascismo, con la confusione che si fa tra l’uomo Gentile, il fascista, che affrontò il rischio derivante dal continuare una battaglia perduta e pagò con la vita per la sua fede politica, e il filosofo, il pensatore, il costruttore (o l’interprete) d’un sistema che nessuna affinità presenta con la Weltanschauung fascista, ma se mai delle larvate e casuali coincidenze limitate all’empiria politica.

Note:

[1] Ma è interessante ricordare che il giudizio espresso dal Croce sulla riforma fu lusinghiero.

CONTINUA… 

 


A proposito di...


'Un’infondata identificazione. Gentile e il fascismo (I parte)' has no comments

Vuoi essere il primo a commentare questo articolo?

Vuoi condividere i tuoi pensieri?

Il tuo indirizzo email non verrà divulgato.

"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

Tutto quanto pubblicato in questo sito può essere liberamente replicato e divulgato, purché non a scopi commerciali, e purché sia sempre citata la fonte - RigenerAzione Evola