Ancora per il “filone-ombra” con cui cerchiamo di fornire spunti di riflessione più o meno indiretti sulla delicatissima situazione geopolitica in atto, da adattare ovviamente alle contingenze storiche, proponiamo in due puntate un interessante approfondimento di Julius Evola sul cosiddetto Anglo-israelismo, o Israelismo britannico, di cui costituisce emanazione la misteriosa British-Israel World Federation. Come spiegato da Evola nell’articolo, che uscì in piena guerra, nel 1941, su “La Vita Italiana”, l’anglo-israelismo nacque come il tentativo di dare al popolo britannico un’impronta messianica, dimostrandone la discendenza genetica, razziale e linguistica dalle famose dieci tribù perdute d’Israele. L’organizzazione che ebbe storicamente lo scopo di promuovere e di diffondere tale “dottrina” è appunto la British-Israel World Federation, fondata a Londra il 3 luglio 1919, ancora peraltro pienamente attiva (https://www.britishisrael.co.uk) e ramificata in tutte le terre del Commonweath britannico. L’impronta giudaizzante del protestantesimo inglese si ritrova in realtà già agli inizi della potenza britannica, fin dal regno di Elisabetta I (1558-1603), quando cominciò a diffondersi proprio l’idea dell’Inghilterra come “Nuovo Israele”, e si affermò la necessità dell’avvento di un Nuovo Ordine guidato dagli Inglesi, supposti discendenti delle dieci tribù perdute d’Israele, contro il Vecchio Ordine rappresentato allora dall’Impero Asburgico e dalla Romanità cattolica. La colonizzazione inglese in Nord-America comporterà la perpetuazione di tale messianismo nella Nuova Inghilterra, cioè gli Stati Uniti d’America, attraverso il puritanesimo estremista che guidò quella colonizzazione. Il cerchio si chiuse con la saldatura con il cosiddetto sionismo cristiano di matrice inizialmente protestante anglosassone, a tinte veterotestamentarie escatologico-apocalittiche, che dall’Inghilterra sbarcherà in America diffondendosi sempre più, e che dal dispensazionalismo finirà nella subdola ideologia traversale del Neoconservatorismo a stelle e strisce, ingigantendo sempre più il Leviatano dell’America quale nuovo popolo eletto, chiamata da Dio (?) a dispensare il proprio ordine (?) nel mondo intero. Per un approfondimento sul tema e sui suoi sviluppi, non possiamo che consigliare il volume “La Guerra del Tempio” del professor Gianluca Marletta, edito da Irfan Edizioni.
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di Julius Evola
Tratto da “Vita Italiana”, settembre 1941
Più di una volta, su queste pagine, è stato fatto cenno alla cosiddetta British-Israel World Federation, potente organizzazione che comprende oggi milioni di soci e si estende su tutti i domini dell’Impero Britannico e degli Stati Uniti. Vale tuttavia occuparsi più da presso di essa, sulla base del vasto materiale raccolto e organizzato da un’ottima, recentissima monografia di Günther Schlichting uscita nell’ultimo volume delle Forschungen zur Judenfrage a cura del Reichsinstitut für Geschichte del neuen Deutschlands del prof. W. Frank (da p.42 a p.103 del vol. 6, edito dalla Hanseatische Verlags-Anstalt). L’argomento, infatti, è particolarmente interessante perché, se di là dai vari, mutevoli e quasi sempre ipocriti motivi in nome dei quali oggi l’Inghilterra cerca giustificare la sua guerra si volesse cercare l’ultimo, reale significato di questa guerra stessa in relazione ad una specie di fede religiosa, bisognerebbe appunto rifarsi al movimento già accennato, designabile senz’altro col termine di angloisraelismo.

Il logo della British-Israel World Federation
Ci rifaremo dunque essenzialmente alla ricerca dello Schlichting, ricerca approfondita e ricchissimamente documentata, aggiungendo, da parte nostra, solo qualche considerazione generale.
L’angloisraelismo ha per base l’antica tradizione, secondo la quale alla morte di Salomone il Regno di David avrebbe dato luogo, per scissione, a due Stati, settentrionale l’uno e meridionale l’altro. Lo stato meridionale, costituito dalle tribù di Giuda e di Beniamino, sussistette per ancora un secolo e dopo il periodo della cattività babilonica si continuò nel popolo ebraico propriamente detto, in quello, che ancor oggi ha un tale nome nel mondo. Invece lo stato settentrionale, al quale appartenevano le dieci restanti tribù delle dodici che originariamente costituivano il popolo ebraico è, per così dire, scomparso dalla storia. Nel 538 a. Cr., in seguito ad un editto di Ciro, gli Ebrei ebbero il permesso di tornare nella loro antica patria: nel riguardo, i testi biblici parlano però soltanto delle tribù di Giuda e di Beniamino, tacendo delle altre dieci tribù. Il nome di Israele, che prima era quello dello stato settentrionale, finì con l’esser trasportato al popolo dello stato meridionale, cioè al popolo propriamente giudaico. Tuttavia il ricordo delle altre tribù restò vivono nella tradizione ebraica. I Profeti annunciarono spesso il ritorno di quest’altra parte del del popolo eletto (cfr. p. e. Isaia, XI, 11; XXVII, 13; Ezechiele, XXXVII, 15-28), sì che già in quel tempo la riconnessione dei due antichi Stati, di quello di Israele e di quello di Giuda, sotto un Re-Messia costituì un tema fondamentale delle speranze messianiche ebraiche.
Dove andarono a finire le dieci tribù dello Stato ebraico settentrionale? Il mistero che le copre andò a determinare durante i secoli ogni specie di congetture. Alcuni vogliono che si fossero recate in Etiopia, altri in India, altri presso il Mar Caspio, e via dicendo. Si determinarono anche, nel riguardo, interferenze con leggende varie, ad esempio con quelle relative al Prete Gianni, ad Alessandro, al popolo di Gog e Magog. Vi è perfino chi, più tardi, suppose che le dieci tribù fossero andare a finire nell’America precolombiana.
Il problema doveva tuttavia acquistar particolare significato religioso e politico solo con l’avvento e lo sviluppo del puritanesimo anglosassone, verso il XVII secolo. Al puritanesimo fu propria la ripresa degli antichi testi biblici e la tendenza a ravvicinare la nazione e la storia degli inglesi alla nazione e alla storia degli Ebrei. Ripresa cioè l’idea di un popolo eletto, destinato a preparare un Regno di Dio sulla terra e fatto, per questo, invincibile e sovrano per volontà celeste, si andò sempre più a fortificare la fede, che un tale popolo fosse proprio quello britannico. Il puritanismo dette dunque luogo ad una specie di messianismo britannico, per il quale il ricordo delle vittorie stupefacenti di Cromwell, della fine della Grande Armada e di altri episodi della storia inglese sembrava già essere quello di segni dal chiaro significato. Il Commonwealth britannico, l’insieme dei domini conquistati dall’Inghilterra spesso con i mezzi più obliqui dovevano così assumer quasi un significato mistico, quello di una specie di base pel regno terrestre di Dio della Promessa.
A volerla fondare biblicamente, sussisteva tuttavia, per questa teoria puritana, una difficoltà fondamentale, cioè il fatto che Dio aveva promesso il Regno, propriamente, al popolo ebraico. È dall’esigenza di superare questa difficoltà e quindi di legittimare compiutamente l’imperium inglese come effetto di elezione e di volontà divina che sorge l’angloisraelismo. La soluzione viene senz’altro trovata attraverso l’affermazione della discendenza del popolo britannico dal popolo ebraico e l’utilizzazione ad usum delphini dell’enigma relativo alle dieci tribù del regno settentrionale d’Israele scomparse dalla storia. Queste dieci tribù altro non sarebbero che gli anglosassoni. Discendenti, dunque, della parte principale del popolo ebraico, gli Inglesi potrebbero rivendicar senz’altro per sé stessi la dignità di popolo eletto da Dio per un legittimo dominio di tutte le terre.

Richard Brothers
In varie leggende medievali, le radici delle quali sono antichissime, si parla di una pietra, detta pietra dei re o del destino, che come un oracolo nei tempi primi avrebbe designati i sovrani legittimi. Si tratta, qui, di un motivo che ricorre nelle tradizioni di molti popoli, figurando nella stessa leggenda del Graal secondo la redazione di Wolfram von Eschenbach. Una tale pietra figura anche in Inghilterra. Nel 1296 fu portata a Westminster, ove essa tuttora si trova. Essa ebbe una parte importante nella teoria del diritto divino dei sovrani inglesi. Per il fatto, che nel Medioevo l’idea della sovranità sacrale spesso arruolò imagini di re biblici, come David o Salomone, nel XVI e nel XVII secolo abbiamo dei Tudor e degli Stuart che affermano orgogliosamente di discendere dagli antichissimi re irlandesi, non solo, ma, attraverso di essi, dai re sacerdotali ebraici, trasformando dunque dei puri simboli in rapporti genealogici reali. Ma, fra le tante una tradizione, vuole che la pietra regale di Westminster fosse stata portata da Gerusalemme e fosse quella su cui dormì Giacobbe. Donde un nuovo titolo di legittimazione dell’angloisraelismo: nei sovrani inglesi si continuerebbe la stirpe imperitura dei re ebraici, destinati a dominare su tutto il mondo nell’epoca messianica.
Il primo angloisraelita è stato un certo Richard Brothers (1757-1824), un esaltato di origine canadese che si diceva «nipote dell’Onnipotente» e che nel 1822 fece uscire a Londra un’opera dal titolo: A correct Account of the Invasion and Conquest of this Island by the Saxon, necessary to be known by the English nation, the descendents of the greater Part of the Ten Tribes nella quale vien già chiaramente formulata la tesi della diretta discendenza degli Anglosassoni conquistatori delle isole britanniche dalle dieci tribù perdute d’Israele. Nel corso del XIX secolo le idee di questo fanatico andarono sempre più diffondendosi nelle classi più alte della società inglese, nella corte, nell’esercito e nella Chiesa protestante. Questa fantasia di una mente squilibrata a poco a poco seppe trovare i suoi teorici e i suoi apologeti, assunse un volto preciso, si affermò con crescente energia. Essa, in realtà, andava direttamente incontro all’orgoglio britannico, forniva un mito ed un alibi religioso al cinico imperialismo inglese, sanzionava una feconda alleanza fra la coscienza religiosa puritanizzata e la più cruda prassi politica.
Che per tal via si contaminasse ogni orgoglio di razza e si operasse un tradimento di fronte alle effettive origini nordico-arie dei conquistatori della Irlanda e della Britannia preistorica, facendo dell’Inglese un fratello dell’Ebreo, ciò non ebbe tanto peso rispetto alla preoccupazione di santificare biblicamente l’imperialismo di John Bull. Del resto, erano aperte le vie per rivendicare eventualmente, su altra base, una priorità. Dei teorici angloisraeliti si dettero infatti a dimostrare che davvero Ebrei son solo gli Inglesi, che solo essi possono chiamarsi legittimamente Israeliti, gli altri essendo semplici giudei. Ciò non impediva però che con simili idee fosse data la base per una vasta comunità di intenti e di interessi fra l’elemento anglosassone e quello propriamente ebraico. La silenziosa, ma sistematica infiltrazione dell’elemento ebraico nel sangue e nel mondo finanziario e aristocratico inglese doveva compiere il resto (1).
Dal punto di vista teorico i rappresentanti di questo movimento con una diligenza da api si sono dati alla ricerca di tutti i passi dell’Antico e del Nuovo Testamento, nei quali si parla propriamente di Israele. E poiché Israeliti sarebbero solo gli Inglesi, discendenti dello Stato settentrionale d’Israele, mentre gli Ebrei propriamente detti sarebbero solo i discendenti dei Giudei (delle due tribù di Giuda e Beniamino), così i detti teorici svolgono una esegesi per dimostrare che tutti quei passi delle Sacre Scritture altro non riguardano che il popolo anglosassone, la sua missione, il suo destino.

Rappresentazione schematica tratta da pubblicazioni d’epoca della derivazione etnica degli inglesi e, per conseguenza, degli americani, dalle dieci tribù perdute d’Israele, sostenuta dalla dottrina del messianismo anglo-israelitico
Abbiamo, su tale base, un doppio procedimento probativo, l’uno a priori e l’altro a posteriori. Quello a priori consiste appunto nell’argomento genealogico, cioè nella derivazione propriamente razziale degli Inglesi da Israele e della monarchia inglese dalla stirpe regale di David e Salomone. Recentemente, non ci si è peritati di arruolare la storia, l’etnologia, e perfino l’antropologia a sostegno della tesi, riferendosi perfino a razzisti, come l’americano Madison Grant e il tedesco Günther. Ad esempio, si è cercato di far corrispondere le dieci tribù ai Bît-Humri, cioè ai Kumri, questi al popolo dei kimmeroioi o Cimmeri e di individuare un itinerario che dall’Assiria va fino alla Crimea e da là prosegue verso le regioni nordiche. Per il Gay gli stessi Goti sarebbero stati discendenti diretti delle tribù d’Israele. Denominazioni, con radici da, dan o dn, che si trovano in parole come Dacia, Danubio, Dniepr, Dniester, Don, Donez e perfino Danzica sarebbero tracce del passaggio della tribù di Dan, una delle dieci tribù disperse. Il Parker e il Kasken ritengono perfino che già nelle loro sedi palestinesi le dieci tribù fossero state di razza nordica, richiamandosi al carattere nordico riconosciuto da vari razzisti al popolo antico degli Amoriti. E poiché anche gli Inglesi sono per quegli autori eminentemente di razza nordica, si avrebbe qui una nuova prova della sostenuta identificazione. Il problema del rapporto di razza originariamente esistente fra le dodici tribù complessive del popolo ebraico, dato che i discendenti delle due tribù di Giuda e di Beniamino razzialmente han così poco a che fare con i tipi nordici, da tali autori viene però senz’altro trascurato. Anche alla storia dei costumi altri si riferiscono: il Wilson si è dato p. es. a dimostrare la concordanza dei costumi e delle usanze degli Israeliti dell’Antico Testamento con quelli dei Goti, degli Angli, dei Sassoni e degli attuali Britannici, p. es. nel riguardo del particolare significato attribuito alla donna. Anche la costituzione politica e militare di tali popoli, fino al Parlamento Inglese, avrebbe per modello la legge mosaica. Né l’etimologia è stata risparmiata. In un opuscolo, si è giunti a spiegare la parola «britannico» da una parola ebraica, che vuol dire «federato» e il nome di Sassoni da Isaac-sons, figli di Isacco!
Ed ora alla prova a posteriori. Questa si realizza per mezzo delle Scritture. Vengono cioè, prima di tutto, scelti tutti i passi biblici e neotestamentari relativi ad Israele come popolo eletto, e si ragiona così: poiché Dio nell’Antico Testamento ha promesso ad «Israele» il dominio del mondo, la ricchezza, l’invincibilità e un figlio di David che si mantenga nelle generazioni sul suo trono, egli deve aver certamente adempiuto tale promessa. Qualora non l’avesse adempiuta, l’intera Bibbia perderebbe il suo significato, cosa che, da credenti, viene esclusa. Dunque, Dio deve aver realizzata la sua promessa. Il problema allora è solo di scoprire o individuare il popolo, nel quale essa nei tempi attuali si è realizzata. Ecco dunque che, sempre dalle Scritture, si trae una serie di attributi d’Israele come segni di riconoscimento e si va a dimostrare che essi, pertanto, oggi calzano per l’Inghilterra più che per qualsiasi altro popolo. Con il che l’identità di Israele con l’Inghilterra – the Israel-Britain’s Identity – resterebbe dimostrata anche a posteriori. Ecco alcuni di tali contrassegni o segni di riconoscimento: il dominio dei mari (secondo Mosè, IV libro, XXIV, 7), che l’Inghilterra possiede; il possesso di tutte le ricchezze, promesse ad Israele, e la qualità di Israele come popolo che «presterà a molte genti senza prender in prestito da nessuno» – cosa che nuovamente calza per la Gran Bretagna, additivamente per gli Stati Uniti ai quali gli Angloisraeliti fanno l’onore di riconoscere una uguale discendenza; poi il «dominio su molti altri popoli»; il possesso delle «porte» dei propri nemici (e qui ci si riferisce a Gibilterra, a Suez, Malta, Cipro e altre basi inglesi, a Panama dagli americani, ecc.); l’espansione coloniale e infine l’invincibilità e l’incontrastata supremazia su ogni altro popolo. Da tutti questi segni si riconoscerà il popolo d’elezione, «Israele», secondo l’autorità indefettibile della Bibbia; ma questi – si sostiene – sono i segni dell’Inghilterra; quindi l’Inghilterra è la vera Israele. Bisogna che se ne renda pienamente cosciente epperò volga decisamente a realizzare la sua missione divina fino alla fine.
segue nella seconda parte
Nota dell’autore
(1) Nello stesso volume (VI) della «Forschungen zur Judenfrage», pagine 104-252, vi è un ampio e documentatissimo saggio di Wilfred Euler sulla Penetrazione del sangue ebraico nelle alte classi inglesi, con accluso un elenco delle famiglie analogo a quello pubblicato da «Vita Italiana» per gli ebrei nostrani.
'Volto e genesi della “British-Israel World Federation” (prima parte)' has no comments
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